Sergey

Sergey

Mi occupo di diritto della previdenza e del lavoro. Mi sono laureato nel 1976 in Giurisprudenza alla Cattolica. Dal 1985 lavoro all'Inps.

La riforma delle pensioni di invalidità e delle indennità di accompagnamento è quella che fa più discutere tra tutte le proposte presentate.

La proposta formulata nei giorni scorsi dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli di un possibile taglio alle indennità di accompagnamento e alle pensioni di invalidità è certamente una delle misure piu' controverse di quelle sino ad oggi proposte. Il fatto è che il commissario ha affrontato la questione solo da un punto di vista, quello contabile, trascurando in realtà quelle che sono le conseguenze sociali e le famiglie che ci stanno dietro.

Cottarelli parte dai dati relativi all'incremento della spesa legata alle prestazioni di invalidità,  passate in 10 anni da 7,6 miliardi del 2002 a 13 miliardi nel 2012.

Nell'ultimo decennio le prestazioni legate alla non autosufficienza hanno registrato una crescita di oltre il 30 per cento, un aumento evidentemente legato all'incremento dell' incidenza degli anziani rispetto alla popolazione generale che sta sempre più invecchiando. Le prestazioni di accompagnamento vengono infatti fruite principalmente da anziani, basti pensare infatti che oltre 3 su 4 dei beneficiari hanno oltre i 65 anni. 

Cottarelli ha formulato la proposta di legare la possibilità di ottenere l'assegno di accompagnamento non solo al sorgere del bisogno assistenziale cioè alla perdita dell'autosufficienza da parte del richiedente, ma anche alle condizioni economiche del potenziale beneficiario.

La soglia individuata dal commissario è di 30 mila euro come reddito personale e 45 mila euro come reddito familiare.  

Applicare il criterio reddituale per ricevere l'accompagnamento significherebbe però un passaggio negativo epocale: lo Stato offrirebbe tutela esclusivamente nei confronti delle persone indigenti non autosufficienti negando, in questo modo, quello che viene considerato, anche negli altri paesi europei, un diritto di cittadinanza di cui è possibile fruire indipendentemente dalle proprie risorse economiche.

Attualmente l'accesso all'indennità per la non autosufficienza è un diritto di tutti i cittadini riconosciuto alla stregua del diritto all'accesso alle prestazioni sanitarie.

Negli altri stati europei tuttavia è vero che spesso l'importo è graduato a seconda del bisogno e delle condizioni economiche del beneficiario in modo da adattarsi alle esigenze specifiche dell'utente. Si pensi ad esempio che in Germania e Austria l'assegno può oscillare tra i 250 e i 1700 euro mensili. Ma si tratta di paesi in cui l'assistenza sociale è comunque su di un livello difficilmente comparabile con quello di un paese, l'Italia, in cui lo Stato si è del tutto disinteressato alla tutela dei non autosufficienti ed ha delegato pertanto le famiglie nella gestione del problema.

Il dietrofront di Renzi ad un possibile intervento sulla materia è stato dunque quanto mai opportuno. 

La risoluzione del problema invalidità e degli esborsi per lo stato deve passare in realtà da controlli più stringenti che lascino agli operatori dei territori minori margini di discrezionalità nel decidere coloro che possono ottenere il beneficio e chi no. L'obiettivo è quello di filtrare le richieste indebite. Del resto è questa discrezionalità che ha consentito l'allegra concessione dei benefici in particolare nelle regioni meridionali. Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia sono infatti le regioni con il più alto tasso di prestazioni di invalidità in pagamento rapportate al numero di abitanti con età superiore a 65 anni. 

L'indennità di accompagnamento - L'indennità di accompagnamento viene fornita alle persone con il 100% di invalidità civile che hanno bisogno di assistenza continua per deambulare o a svolgere gli altri atti della vita quotidiana.

L'assegno è pari a 504 euro mensili e serve a sostenere le spese aggiuntive dovute alla necessità di assistenza continua. La spesa pubblica per questo capitolo è pari a 13 miliardi di euro annui.

La pensione di invalidità - La pensione di invalidità invece è una prestazione che viene erogata alle persone disabili con reddito inferiore ad una determinata soglia e percentuale di invalidità compresa tra il 74 e il 100%.

La ricevono i soggetti entro i 65 anni con disabilità non causata da infortuni sul lavoro cioè in questa condizione dalla nascita o che hanno avuto un incidente o una malattia. Serve a compensare i redditi che l'impossibilità totale o parziale a prestare lavoro impedisce di guadagnare e ammonta a 279 euro al mese per una spesa annua complessiva di 3,6 miliardi di euro.

La misura contenuta nel decreto casa 2014, la tassa piatta è quasi sempre più conveniente del prelievo Irpef.

Con il decreto legge 47/2014, il governo ha abbassato l'aliquota della cedolare secca sugli affitti a canone concordato al 10 per cento, quella prevista per le locazioni a canone libero rimane invece fissa al 21 per cento.

Secondo le stime delle Acli per i locatori che hanno già stipulato un contratto a canone convenzionato la nuova aliquota comporterà quindi un risparmio d'imposta del 5 per cento. Tradotto in soldoni significa circa 180 euro l'anno in meno in tasse per quei canoni mensili sino a 300 euro. 

È chiaro invece che chi deve stipulare un nuovo contratto di locazione dovrà fermarsi un attimo ed effettuare le consuete valutazioni di convenienza. Qui vale un principio generale: chi stipula un contratto a canone concordato deve mettere in conto di ottenere una cifra inferiore rispetto ai valori di mercato, ma consegue il vantaggio di pagare tasse ridotte sul reddito di locazione. 

Insomma il conduttore che voglia stipulare un nuovo contratto di locazione dovrà capire se lo sconto riferito alla cedolare secca sia sufficiente a compensare la riduzione del canone che potrebbe essere ottenuto in regime libero.

Secondo i calcoli del Patronato Acli, immaginando un affitto in regime di libero mercato a 1.000 euro al mese il locatore potrebbe comunque ottenere un vantaggio fiscale accontentandosi di un canone in regime concordato anche pari a 900 euro al mese. Prima della modifica il proprietario non avrebbe avuto interesse invece a stipulare un contratto a canone concordato inferiore a 950 euro al mese. La mini cedolare quindi può rendere più conveniente gli affitti convenzionati superiori a 900 euro al mese.

La soglia è solo indicativa precisano le Acli. Ad incidere sul concordato sono gli accordi locali tra sindacati degli inquilini ed associazioni della proprietà che individuano il range entro cui deve essere definito il canone concordato. Le condizioni possono in realtà cambiare anche all'interno della stessa città. Quindi bisogna fare attenzione ai calcoli.

Ma un dato è certo. La cedolare secca al 10 per cento può comportare vantaggi sia al proprietario che può pagare meno tasse sia al conduttore che può ottenere un prezzo più basso. E un ulteriore fattore che potrebbe stimolare il ricorso al concordato è la crisi economica che in molte città ha limitato gli affitti di mercato rendendo il canone concordato più competitivo. Senza contare che anche i comuni possono determinare la convenienza o meno della cedolare con l'introduzione di agevolazioni e rincari su Imu e Tasi.

La nuova cedolare secca - La cedolare secca, prevista nel decreto sul fisco municipale nel 2011, sostituisce l'Irpef. Le aliquote previste all'inizio erano pari al 21 per cento sui canoni liberi e del 19 per cento su quelli concordati. Dal 2013 l'aliquota del concordato è stata ridotta al 15 per cento e da quest'anno passa al 10 per cento.

Il locatore che opta per la tassa piatta deve comunicarlo con raccomandata all'inquilino e deve rinunciare all'aggiornamento del canone Istat. La tassa piatta inoltre può essere applicata solo sulle locazioni abitative stipulate da privati con inquilini persone fisiche.

Una garanzia universale sostituirà Aspi e mini Aspi. Spetterà a tutti i lavoratori che perdono il lavoro anche non subordinato.

La maggior parte degli interventi in materia di politiche attive e passive per il lavoro è stata demandata al disegno di legge delega che l'esecutivo dovrebbe presentare in Parlamento nei prossimi giorni.

Secondo le anticipazioni fornite dal Ministero del Lavoro le novità dovrebbero razionalizzare, semplificare e rendere più efficienti i servizi per l'impiego e degli ammortizzatori sociali che verranno gradualmente sostituiti dal 2016 con uno strumento universale.

Ma molte novità dovrebbero interessare anche il fronte degli adempimenti previsti per i datori di lavoro oltre ad una completa rivisitazione delle attuali forme contrattuali, giudicate ormai non più in linea con i tempi da Renzi.

L'iter quindi è chiaro. Il governo punta a far approvare un disegno di legge delega attraverso cui poi procedere, entro sei mesi dall'approvazione, alla pubblicazione dei decreti legislativi che riordineranno il mercato del lavoro.

Tra le novità che ha anticipato il dicastero del lavoro c'è la creazione di una Agenzia nazionale per l'Impiego a cui verrà affidata la gestione delle politiche attive e passive del lavoro con la compartecipazione dello Stato, Regioni e Province autonome e con il coinvolgimento delle parti sociali.

L' agenzia dovrebbe anche avere un raccordo con l'Inps e con tutti gli altri enti che hanno competenza in materia di incentivi. Tra gli obiettivi che si prefissa il governo c'è comunque quella di lasciare un maggior spazio alle agenzie private per favorire una migliore mobilità del mercato del lavoro e una maggiore efficienza e rapidità dell'incontro tra domanda ed offerta.

Di grande importanza le misure proposte in tema di ammortizzatori sociali. Renzi propone la sostituzione di Aspi e mini Aspi con un sistema di garanzia universale previsto in favore di tutti lavoratori. L ' ammortizzatore universale riconoscerà tutele uniformi a tutti coloro che perdono il posto di lavoro, anche in forma non subordinata e terrà maggiormente in considerazione la contribuzione accreditata in favore del lavoratore. 

Nella delega vi sarà anche una maggiore tutela alla maternità. Con la garanzia della corresponsione dell'indennità anche favore delle lavoratrici iscritte alla gestione separata, in particolare quelle a progetto, che attualmente vedono subordinato il loro diritto all'effettivo versamento dei contributi da parte del committente in misura sufficiente alla maturazione del diritto stesso. 

Nella delega dovrebbe vedere la luce quella razionalizzazione delle centinaia di forme contrattuali oggi esistenti. Qui  l'intenzione è privilegiare quelle che consentono l'accesso al mercato del lavoro dei giovani. E in questo ambito del resto che si inserisce il contratto di lavoro tanto pubblicizzato nel Jobs act a cui dovrebbe accompagnarsi una modifica dell'articolo 18 per consentire maggiore libertà di licenziamento almeno nella prima fase del rapporto lavorativo.

Inoltre, secondo le anticipazioni del premier, vedrà la luce un testo unico organico che conterrà tutte le tipologie contrattuali al fine di semplificare il settore. 

Alcune semplificazioni dovrebbero toccare anche i datori di lavoro. Che dovrebbero ottenere lo snellimento delle informazioni da fornire ai Centri per l'Impiego in caso di instaurazione e cessazione del rapporto di lavoro oltre ad un alleggerimento di tutti quegli obblighi documentali previsti nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo.

La gestione dei parasubordinati è l'unica dell'Inps ad essere in attivo. 

Niente da fare. Anche con il 2012 e dopo gli effetti "benefici", se così possiamo dire, della riforma Fornero approvata nel 2011 la gestione dei lavoratori parasubordinati, cioè la gestione separata, è l'unica che nel 2012, ultimo anno disponibile, ha regalato alle casse dell'Inps 8,6 miliardi. Il conto resta invece salato per la gestione lavoratori autonomi che ha perso 12 miliardi e quella dei dipendenti pubblici che ha perso 8 miliardi.

Come dire, senza questi contributi l'inps sarebbe in bancarotta. Il problema però è un altro. Questi professionisti senza cassa, associati in partecipazione, venditori a domicilio versano contributi a fondo perduto che non daranno diritto ad alcuna prestazione previdenziale. Si tratta spesso di giovani che nei prossimi anni si renderanno conto di non avere alcuna pensione maturata e che oltretutto non sono tutelati né dai sindacati ne dà lo Stato.

Insomma sono lavoratori che hanno molti doveri e pochi diritti.

Il problema risiede nel cosidetto minimale contributivo. A questi lavoratori viene accreditato un mese di contributi validi ai fini pensionistici, solo qualora dichiarino un reddito mensile di almeno 1.295 euro. Se ad esempio il loro reddito è pari ad un terzo di tale cifra questi lavoratori dovranno lavorare 3 mesi per mettere insieme un mese di contribuzione. E purtroppo sappiamo bene che la maggior parte degli iscritti alla gestione separata non raggiunge questi livelli di reddito.

In pratica si tratta di lavoratori che versano contributi senza poter concretamente riuscire a perfezionare il diritto alla pensione. Senza contare inoltre che l'aliquota contributiva attualmente al 28 per cento ed è destinata ad arrivare al 33 per cento nel 2018. Paghi  molto e ricevi poco. 

Ciò significa che un lavoratore iscritto alla gestione separata con 20 anni di contributi versati dopo il 1995 e con un reddito finale di 32.000 euro rischierà di non poter andare a riposo al compimento di 66 anni nonostante abbia versato più del doppio della media dei parasubordinati ma dovrà comunque attendere i 70 anni per avere una pensione modesta, intorno ai 6 mila euro. 

Ai comuni spetterà la possibilità di introdurre le detrazioni necessarie per non superare gli effetti della vecchia Imu. 

In molti comuni il rischio di rimpiangere il conto della vecchia Imu potrebbe essere concreto soprattutto sulle case che hanno un valore più basso.

È l'effetto dell'introduzione della nuova Tasi che non prevede le detrazioni che nell'Imu cancellavano l'imposta per oltre 5 milioni di abitazioni principali di valore basso e la diminuiva in modo importante anche per quelle di valore medio. L'Imu 2012 escludeva del pagamento infatti tutte le case fino 53 mila euro di valore catastale, una somma però che poteva alzarsi in caso di presenza di figli conviventi sotto i 26 anni concedendo una boccata d'ossigeno a moltissime famiglie italiane.

Ora invece la Tasi chiede un obolo a tutti i contribuenti: se con l'Imu un appartamento con 53 mila euro di reddito catastale non pagava nulla, ora dovrà sborsare, ad aliquota standard, ben 53 euro. Ma le cose rischiano di andare anche peggio in quanto molti comuni, per far quadrare i conti, hanno portato le aliquote vicino o in linea con il massimo valore consentito dalla legge (fissato al 2,5 per mille). Insomma un contribuente che nel 2012 era esente dall'Imu quest'anno rischia di pagare oltre 100 euro.

In verità l'esecutivo ha aggiunto nel decreto legge Salva Roma la possibilità di introdurre un'aliquota aggiuntiva pari allo 0,8 per mille da applicare sulle abitazioni principali oppure sugli altri immobili (altrimenti da dividere tra queste due categorie) per consentire ai Comuni di reintrodurre le detrazioni base.

In pratica i Comuni potranno portare l'aliquota sulla prima casa sino al 3,3 per mille oppure quella per gli altri immobili all'11,4 per mille superando i limiti massimi del 2,5 e 10,6 per mille. Ammessa anche la possibilità di spalmare a metà l'aumento sulle prime case e sulle seconde case. 

È questa ipotesi a cui sta già lavorando, ad esempio, il Comune di Bologna che vorrebbe applicare la super Tasi all'abitazione principale portando l'aliquota al 3,3 per mille e finanziando una detrazione base di 200 euro.

I sindaci potrebbero però anche finanziare detrazioni diverse a seconda dell'aumentare del valore dell'immobile. Ad esempio i Comuni potrebbero riservare sconti maggiori alle rendite catastali più basse e farle diminuire all'aumentare della rendita catastale.

Ma l'incremento della Tasi per finanziare le detrazioni è solamente un'opzione e dunque non è detto che i primi cittadini la introdurranno. E inoltre, se lo faranno, ci sarà inevitabilmente una ulteriore frammentazione della disciplina della tassazione degli immobili a livello locale in quanto ciascun comune avrà le sue regole, le sue aliquote e le sue detrazioni. Insomma per i contribuenti i problemi non sono destinati a diminuire.

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