Sergey

Sergey

Mi occupo di diritto della previdenza e del lavoro. Mi sono laureato nel 1976 in Giurisprudenza alla Cattolica. Dal 1985 lavoro all'Inps.

Tra le modifiche subito in vigore la semplificazione dell'apprendistato e l'abolizione della causale per i contratti a termine.

In materia di lavoro il Consiglio dei Ministri la settimana scorsa ha approvato un pacchetto di misure che dovrebbero incidere in modo profondo sulla legge 92/2012. Le novità sono contenute in un decreto legge, e dunque di immediata entrata in vigore, e in un disegno di legge delega che sarà attuato in un secondo momento dall'esecutivo. Tra i provvedimenti contenuti nel Dl ci sono in particolare le modifiche in tema di apprendistato e contratti a termine; l'idea di fondo dell'esecutivo Renzi è di agevolarne l'uso da parte delle aziende eliminando alcuni vincoli. 

Sul contratto a termine la novità principale riguarda l'abolizione della causale. Le imprese potranno sempre stipulare contratti a tempo determinato senza indicazione della causale, cioè senza indicare i motivi dell'assunzione fermo restando il limite massimo di durata pari a 36 mesi. Attualmente la facoltà di stipulare contratti a termine acausali è possibile solo relativamente al primo rapporto a termine, estensibile una sola volta, nel limite della durata massima di 12 mesi. Secondo la bozza del decreto legge invece la proroga del contratto a termine sarà possibile fino ad un massimo di 8 volte nell'arco dei 36 mesi a condizione però che la proroga sia riferita alla stessa attività.

Il decreto inoltre introduce un vincolo del 20% dei contratti a termine rispetto all'organico complessivo dell'azienda; limite tuttavia che potrà essere "rimosso" tramite il ricorso alla contrattazione collettiva e non sarà operativo nei casi di stagionalità del rapporto di lavoro e con riguardo alle realtà imprenditoriali piu' piccole, cioè fino ad un massimo di 5 dipendenti. Nessuna modifica sembra invece profilarsi per il regime degli intervalli tra un contratto a tempo determinato e l'altro che resterebbero pertanto fissati a 10 o 20 giorni (a seconda della durata del rapporto, rispettivamente se inferiore o superiore a sei mesi).

Relativamente invece al contratto di apprendistato la novità è nell'eliminazione della forma scritta per il piano formativo del lavoratore. La forma scritta resterà solo per il primo contratto e per il patto di prova.

Inoltre viene eliminato il vincolo introdotto dalla precedente legge 92/2012 secondo il quale l'assunzione di nuovi apprendisti è possibile solo qualora alla fine del periodo formativo vengano confermati in servizio almeno il 30% degli apprendisti già impiegati (quota che passerebbe al 50% dal 2015). Per il datore viene altresì cancellato l'obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l'offerta formativa pubblica che pertanto diventa del tutto discrezionale.

Non ci sarà invece l'introduzione del cosiddetto contratto di inserimento a tutele graduali. Almeno non nell'immediato. Il governo ha preferito prendersi più tempo per regolare la materia ed inserire questo provvedimento nel disegno di legge delega che avrà un iter necessariamente piu' lungo. L'intenzione dell'esecutivo è di introdurlo in futuro sulla base di una riorganizzazione delle forme contrattuali attualmente esistenti.

Il governo dovrà stabilire se la salvaguardia dei docenti che hanno raggiunto i requisiti di pensionamento nell'anno scolastico 2011/2012 è meritevole di tutela.

Oggi è previsto il voto in Commissione Bilancio alla Camera sulla proposta di legge Ghizzoni-Marzana di cui è relatrice Barbara Saltamartini. Nell'ultima seduta la Commissione aveva già espresso parere favorevole all'unanimità sul progetto di legge 249 che consente il mantenimento delle previgenti regole di pensionamento agli insegnanti che hanno raggiunto i requisiti per l'eta' pensionabile entro la fine dell'anno scolastico 2011/2012.

La vicenda delle pensioni della scuola va avanti ormai da oltre un anno e sta provocando una spaccatura profonda tra sostenitori e detrattori dell'intervento. Da un lato c'è infatti chi difende la proposta indicando inaccettabile la discriminazione di quei docenti che hanno maturato i requisiti dopo il 31 dicembre 2011 ma pur sempre all'interno dello stesso anno scolastico di riferimento che sono costretti a restare sul lavoro per almeno altri 4-5 anni; dall'altro c'è chi ritiene prioritario destinare le risorse ad avvantaggiare gli esodati piuttosto che quei lavoratori che avrebbero comunque un salario garantito a fine mese.

Ad ogni modo presto la questione rischia di diventare una grana del governo Renzi. Il Ministero dell'Economia e la Ragioneria generale dello Stato hanno dato parere negativo al progetto di legge nei giorni scorsi ma ancora una volta i componenti della Commissione Ncd, Pd, 5 Stelle, e Sel si dicono pronti a votare a favore della proposta. Muro contro muro. In definitiva sarà dunque Renzi a dover sbrogliare la matassa ed indicare soprattutto quali risorse destinare. La proposta infatti costa circa 400 milioni la cui copertura è quantomai incerta.

Nel provvedimento si scaricano i costi sul Fondo esodati istituito dalla legge 228 2012 ma la Ragioneria dello Stato ha bocciato tale intervento. Francesco Boccia presidente della commissione Bilancio si è detto tuttavia positivo: "chiederemo al governo di dare il via libera al provvedimento. In quel caso la Commissione indicherà eventualmente altre poste".

La deroga - La proposta introduce una deroga al regime introdotto dalla cosiddetta riforma Fornero estendendo le vecchie regole di pensionamento al personale della scuola che abbia maturato i requisiti per la pensione entro l'anno scolastico 2011/2012. In pratica vengono ricompresi nel beneficio gli insegnanti che maturano i vecchi requisiti tra il 1° gennaio 2012 ed il 31 agosto 2012. 

La pensione per i beneficiari sarà posta in pagamento dal 1° settembre 2014 nel limite massimo di 4.000 soggetti. La procedura di monitoraggio prevede che l'Inps definisca un elenco numerico delle domande dei lavoratori che intendono avvalersi del beneficio basato, ai fini dell'ordine di priorità, sul criterio progressivo risultante dalla somma dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva vantate dei singoli richiedenti al 31 dicembre 2012.

Con il decreto casa la cedolare secca viene ridotta al 10 per cento per chi affitta a canone concordato. 

Il decreto legge sulla casa è stato finalmente approvato dal Consiglio dei ministri. In attesa della pubblicazione del testo in Gazzetta la novità principale è stata confermata: c'è la riduzione ulteriore dal 15 al 10 per cento dell'aliquota prevista per la cedolare secca in favore di chi affitta a canone concordato. Già con il precedente decreto del fare il governo Letta aveva previsto una riduzione dal 20 al 15 per cento per agevolare e stimolare gli affitti. Ora la misura dovrebbe ulteriormente rendere conveniente su larga scala il ricorso al canone concordato e dare una scossa ad un mercato immobiliare in profonda crisi. 

Nel decreto viene anche previsto un aumento della detrazione Irpef fino a 900 euro annui per inquilini di alloggi sociali che posseggono un reddito inferiore a 15.493,71 euro e fino a 450 euro annui per coloro che hanno un reddito inferiore a 30.987,41 euro. 

Non è passata invece la misura per la quale si era battuto il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi che voleva introdurre un aliquota scontata al 4 per mille sull'imu per chu affitta la casa di proprietà.

Tra le altre misure contenute nel decreto c'è il rifinanziamento di 100 milioni del fondo affitti e di 226 milioni del fondo "morosità incolpevole" che aiuta le persone che in un momento di difficoltà in via temporanea non possono pagare l'affitto. 

Nel decreto è anche previsto un piano di recupero degli alloggi popolari degli IACP pari a 468 milioni di euro. Il piano dovrà essere messo a punto dal Ministero dei Trasporti entro sei mesi dell'entrata in vigore del decreto e verrà finanziato con i fondi revocati alle opere pubbliche bloccate. I fondi serviranno a rendere agibili 12mila alloggi l'anno attraverso opere di recupero edilizio e manutenzione straordinaria.

Tra le misure destinate alle famiglie disagiate ci sono anche incentivi per la vendita degli alloggi iacp agli inquilini che li abitano: qui si prevede un fondo mutui in favore degli inquilini che acquistano l'alloggio con la possibilità di ottenere un contributo in conto interessi massimo dell'1% per 7 anni. 

Lo sconto Irpef annunciato dal premier Matteo Renzi comporterà un bonus fino a 90 euro al mese per i redditi annui lordi inferiori a 25 mila euro. 

La riduzione dell'Irpef sarà effettuata a partire dal prossimo mese di maggio. E sarà incentrata sulle cifre che ha diffuso il premier Matteo Renzi la scorsa settimana nel corso della conferenza stampa al termine del Cdm: 10 miliardi l'intervento complessivo, 10 milioni i lavoratori coinvolti (con esclusione delle partite iva), concentrazione delle risorse in favore dei redditi al di sotto dei 25 mila euro lordi annui, beneficio palpabile per chi guadagna sino a 1.500 euro netti in busta paga. 

L'esatto importo di quanto andrà in busta paga non è ancora certificabile in quanto dipenderà da come verrà formulata la norma ma indicativamente il bonus dovrebbe essere di circa 75-85 euro al mese in più. Vediamo dunque quali potrebbero i vantaggi fiscali conseguibili dai potenziali destinatari.

Innanzitutto la platea dei potenziali beneficiari. E' certo che i destinatari del provvedimento saranno i lavoratori dipendenti che guadagnano tra gli 8 mila e i 25 mila euro annui lordi, si tratta di un numero complessivo di 10 milioni e 436 mila soggetti.

Immaginando un intervento che comporti un incremento delle detrazioni fiscali al crescere del reddito, il bonus pertanto dovrebbe risultare maggiormente elevato per i redditi inferiori a 15 mila euro l'anno e diminuire gradualmente per quelli superiori a tale cifra sino ai 25.000 euro.

Per il primo scaglione, cioè quello tra gli ottomila e 12 mila euro, l'intervento potrebbe portare nelle tasche dei contribuenti circa 91 euro netti al mese il prossimo 27 maggio. La fascia successiva, individuata tra i 12mila e 15 mila euro, potrebbe ottenere un bonus di circa 95-96 euro al mese; la terza fascia, individuabile tra i 15 e i 20 mila euro, dovrebbe portare a casa un bonus di 83 euro. Benefici chiaramente piu' bassi per la quarta fascia, quella tra i 20 e i 25 mila euro lordi l'anno, dove il peso delle detrazioni è diverso: qui il bonus dovrebbe attestarsi intorno ai 60 euro netti in più al mese.

Irrisolto invece il problema degli incapienti cioè di quei quasi 4 milioni di lavoratori che non riescono a raggiungere gli 8.000 euro lordi annui che, pertanto, non sono interessati da un eventuale incremento delle detrazioni o di un intervento sull'Irpef. Per questi lavoratori il governo potrebbe però prevedere un bonus mensile di circa 20-25 euro netti che saranno erogati direttamente dall'INPS. 

I dettagli del provvedimento tuttavia non sono noti in quanto non esiste un testo base adottato dal Consiglio dei ministri. Per conoscere le modalità attuative dell'intervento sull'Irpef proposte dall'esecutivo Renzi bisognerà pertanto attendere la pubblicazione di un decreto legge (previsto verosimilmente per il mese di aprile) dopo il via libera da parte di Bruxelles e l'adozione del nuovo Def previsto per fine marzo.

Nel mirino i trattamenti superiori a cinque o sei volte il minimo Inps. Anche se per il momento Renzi rassicura che non ci saranno nuovi prelievi. 

L'ipotesi presentata dal commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, alcuni giorni fa in Senato ha riacceso i riflettori sulle pensioni d'oro. La proposta è quella di introdurre un contributo di solidarietà temporaneo sugli assegni pensionistici superiori ad una determinata soglia per ricavare una mini-dote che consentirebbe di finanziare gli oneri sulle nuove assunzioni.

Per Cottarelli la soglia può essere individuata intorno ai 2.500 euro al mese ma Renzi, preso in contropiede, ha smentito lo stesso commissario. La proposta però, come ha confermato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, è comunque sul tavolo e tutto ruota intorno alla soglia oltre la quale si potrebbe applicare il "taglio".

Prima di vedere chi potrebbe essere interessato è bene ricordare che sulle pensioni d'oro già è stato reintrodotto un prelievo di solidarietà. L'ultima legge di stabilità infatti ha fatto scattare da gennaio un contributo di solidarietà sulle pensioni più elevate nel triennio 2014-2016. La novità ha colpito i trattamenti pensionistici superiori a 90.000 euro l'anno; si tratta in particolare delle rendite superiori a 14 volte il trattamento minimo Inps, cioè sopra i 6.936,02 euro lordi mensili sui quali è in vigore una decurtazione del 6% relativamente alla parte superiore a tale importo.

Il taglio sale al 12 % per gli importi superiori a 9.908,60 euro e fino a 14.862,90 euro; e ancora il contributo sale al 18% per gli assegni superiori a tale ultima soglia. Contributi importanti che tuttavia portano alle Casse dello Stato risorse modeste pari a circa 12 milioni l'anno al netto delle varie fiscalità.

Innalzare quindi ulteriormente tale contributo su questa fascia, cioè oltre i 90mila euro l'anno, potrebbe quindi non portare molti altri denari in quanto la numerosità di questo insieme è piuttosto scarsa.

Ecco quindi che il nuovo prelievo, se mai vedrà la luce, dovrà necessariamente interessare anche le fasce al di sotto di tale soglia ed intaccare le cd. pensioni d'argento. La tagliola, come accennato, potrebbe scattare su quelle superiori a 5 o 6 volte il trattamento minimo Inps. Stando ai ultimi dati ufficiali dell'Inps sui trattamenti erogati nel 2012, il numero delle persone che hanno percepito l'importo lordo superiore a cinque volte il trattamento minimo, 2.405 euro lordi al mese, è stato pari all'8,6% del totale dei pensionati (l'equivalente di 1.428.219 soggetti). Se si prendono in considerazione gli assegni superiori a 6 volte il trattamento minimo, oltre i 2.886 euro lordi al mese, la platea si restringe al 4,8% del totale (l'equivalente di 800.650 soggetti).

Su questi assegni si potrebbe immaginare, similmente a quanto stabilito dalla legge di stabilità per le pensioni oltre 90mila euro lordi annui, un taglio del 5 per cento sulla parte eccedente 5 o 6 volte il trattamento minimo.

Ma l'esecutivo potrebbe, come è stato fatto osservare, anche applicare un contributo di solidarietà basato su un ricalcolo dell'assegno in chiave contributiva per le pensioni che superino quelle soglie. In tal modo si otterrebbe un "riequilibrio di solidarietà" che potrebbe portare allo Stato risparmi anche più ingenti.

È questa l'ipotesi promossa da diversi esponenti politici tra cui Giuliano Cazzola. L'idea tuttavia dovrà tenere conto inevitabilmente dei paletti fissati dalle sentenze della Corte Costituzionale che si è detta "sfavorevole a forme di prelievo coattivo di ricchezza che vadano a colpire solo taluni fonti di reddito" anche se la stessa sentenza aveva indicato l'esigenza di interventi solidali "a carico dei percettori di importi pensionistici ingiustificatamente elevati".

Declinare queste condizioni tenendo conto anche delle reali esigenze delle fasce medie sarà un'operazione molto difficile e delicata per Matteo Renzi.

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