Anche gli extracomunitari presenti regolarmente in Italia con un permesso di soggiorno di breve durata hanno diritto al bonus bebè e all’assegno di maternità bocciando quindi il requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo. Lo ha stabilito la Corte di giustizia UE nella sentenza alla causa C-350/2020 di ieri, riguardo a due prestazioni specifiche: il bonus bebè e l'assegno di maternità dei comuni. Il principio, tuttavia, opera su tutte le prestazioni di «sicurezza sociale» (malattia, familiari, infortuni, pensioni, disoccupazione, etc.), perché l'Italia non si è avvalsa della facoltà di limitare la parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri.
La questione
Nasce alcuni anni fa dal ricorso in tribunale di nove cittadini stranieri assistiti dall’Asgi, l’associazione italiana dei giuristi dell’immigrazione contro il diniego dell'INPS al riconoscimento dell'assegno di natalità dall'Inps con la motivazione di non avere lo status di soggiornanti di lungo periodo. Il giudice di primo grado ha accolto le loro richieste, sulla base del «principio della parità di trattamento» dalla direttiva Ue 2011/98. La vicenda è proseguita in Corte di Appello, quindi in Cassazione e alla Corte costituzionale. Per gli stessi aspetti, la Cassazione ha investito la Consulta della questione di legittimità anche per l'assegno di maternità dei comuni (art. 74 del dlgs n. 151/2001). La Consulta si è quindi rivolta alla Corte Ue chiedendo la portata del diritto di accesso alla prestazioni sociali riconosciuto dalla Carta dei diritti fondamentali Ue (art. 34).
La decisione
La Corte Ue ha dato ragione ai cittadini extracomunitari rilevando l’esclusione illegittima perché in contrasto con l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e con la direttiva 2011/98 che riconosce il diritto alla sicurezza sociale a tutti gli stranieri con un permesso di soggiorno regolare anche di breve durata. La Corte, infatti, osserva che le prestazioni in parola sono destinate ad alleviare gli oneri del mantenimento di un figlio appena nato o adottato, che costituisce, cioè, una «prestazione familiare» come tale rientrante nell'ambito della sicurezza sociale tutelata per l'appunto dal principio di parità di trattamento tra cittadini.
Portata Applicativa
La decisione ha il pregio anche di ribadire un concetto che va al di là delle singole prestazioni sociali sulle quali la Corte è stata chiamata a pronunciarsi. Tutti gli stranieri legalmente soggiornanti in Italia hanno diritto di accesso alle prestazioni di «sicurezza sociale» e ai «servizi sociali» che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro. Questo diritto discende dalla direttiva Ue n. 883/2004 a cui l'Italia non ha stabilito alcuna deroga (ancorché potesse farlo verso i soggetti che svolgono o che hanno svolto attività lavorativa per almeno sei mesi e sono disoccupati). Di conseguenza anche altre prestazioni sociali (es. buono nido) devono essere riconosciute a tutti gli stranieri legalmente soggiornanti come già affermato da diversi giudici nazionali.
La sentenza della Corte europea ora avrà bisogno di un ulteriore passaggio al giudice nazionale per divenire esecutiva nei confronti dei nove ricorrenti originari. Per applicare il principio a livello generale invece servirà l'approvazione di una norma (indicazioni in tal senso sono contenute nella legge europea 2019-2020 in corso di approvazione in Parlamento). Non è escluso comunque che, nel frattempo il Ministero del Lavoro dia indicazioni all’Inps per iniziare ad accogliere le domande e quindi erogare il sussidio. Secondo l’Asgi «l’Inps dovrà versare le prestazioni a tutti gli stranieri che avevano fatto domanda e se l’erano vista respingere».