Rischia il carcere chi attesta lo stato di disoccupazione mentre invece lavora in nero al fine di ottenere (o mantenere) il reddito di cittadinanza. Idem se si omette la dichiarazione di vincite o somme di denaro conseguite per scommesse online o se si omette la dichiarazione di detenzione di uno dei componenti il nucleo familiare. E la condotta può integrare anche il reato di truffa. Sono alcune delle principali conseguenze penali confermate dalla Corte di Cassazione nei primi anni di debutto del reddito di cittadinanza affrontate in un approfondimento della fondazione studi consulenti del lavoro.
I reati
Due le figure delittuose introdotte dal legislatore per contrastare l’indebita erogazione dell’RdC. La prima contenuta nell’articolo 7, co. 1 del dl n. 4/2019 punisce con la reclusione da due a sei anni chi, al fine di ottenere indebitamente il Reddito di cittadinanza, «rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute».
La seconda, contenuta nell’articolo 7, co. 2 del citato dl n. 4/2019, sanziona con la reclusione da uno a tre anni chi omette di comunicare le «variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio», che si sono verificate successivamente alla presentazione della domanda.
La Cassazione ha confermato che entrambe le ipotesi (commissive ed omissive) rientrano nei reati di falsità in atti e personale (reati contro la fede pubblica) e che «sono destinate a trovare applicazione indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge» (Cass. Pen. Sez. III n. 5289/2019).
Le Casistiche
La disamina delle casistiche affrontate in questi anni dalla Cassazione conferma che rientra nella prima ipotesi di reato, ad esempio, l’aver reso una dichiarazione che attesti lo stato di disoccupazione mentre, invece, si svolge un’attività lavorativa in nero (Cass. Pen. Sez. III n. 5289/2019); l’aver omesso di indicare l’importo delle vincite di somme di danaro conseguite per eventi di fortuna nel periodo di riferimento attraverso la partecipazione a scommesse on line (Cass. Pen. Sez. III n. 44365/2021) o lo stato di detenzione di uno dei componenti il nucleo familiare (Cass. Pen. Sez. III n. 44366/2021). Più in generale integra la fattispecie di reato qualsiasi omissione nel dichiarare situazioni ostative al percepimento del reddito di cittadinanza (Cass. Pen. Sez. VII n. 19751/2022).
Integra, invece, la seconda ipotesi di reato (di cui al secondo comma dell’articolo 7, co. 1 del predetto dl n. 4/2019) l’omessa comunicazione del venir meno di uno dei requisiti per l’erogazione del RdC che invece sussisteva al momento della domanda. Ad esempio il sopraggiunto stato di detenzione del figlio per effetto dell’esecuzione di un’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere che ha consentito, indebitamente ed in parte, l’erogazione del beneficio economico (Cass. Pen. Sez. III n. 1351/2022) oppure l’aver intrapreso un’attività lavorativa ancorché in nero (Cass. Pen. Sez. III n. 25306/22).
Reato di truffa
Le ipotesi delittuose ben possono concorrere con il reato di truffa (ex art. 640-bis cp) ove sia accertato l’intento fraudolento, cioè la presenza di «artifizi e raggiri» preordinati al fine di ottenere il reddito di cittadinanza. Ciò perché i beni giuridici protetti dalle due norme sono diversi: il patrimonio dello Stato, di altri enti pubblici o dell’Unione europea da un lato e la fede pubblica dall’altro.
In tal senso la Corte ha confermato il reato di truffa nell’avere reso una «dichiarazione reddituale non conforme alle reali possidenze mobiliari» inducendo in errore l’ente pubblico erogatore che, senza quella dichiarazione falsa, non avrebbe potuto ricevere (Cass. Pen. Sez II n. 17012/2022).
Estorsione ai danni del coniuge
In recenti pronunce gli ermellini hanno pure configurato il reato di estorsione nei confronti del coniuge, intestatario dell’RdC, che minacci l’altro intimandogli di consegnargli il denaro prelevato dalla Carta RdC. Lo strumento, infatti, è «un sussidio che soccorre l’intero nucleo familiare», poiché «viene elargito sulla base di certificazioni relative alla posizione reddituale di tutti i componenti della famiglia» e non solo all’intestatario del reddito. In questo caso, infatti, la violenza è «diretta ad apprendere somme destinate al sostentamento non solo» del soggetto agente (titolare della carta), «ma dell’intera famiglia».
La Corte di Cassazione ha, pertanto, concluso che, quando il Reddito di cittadinanza è stato concesso «sulla base della valutazione della posizione di un intero nucleo familiare», l’apprensione illegittima della carta integra il reato di estorsione.
Sì al sequestro preventivo
Infine la Corte ha confermato che sussistendo il «fumus» dei reati previsti dall’articolo 7, commi 1 e 2, del D. L. n. 4/2019, l’Autorità Giudiziaria può disporre il sequestro preventivo della Carta Rdc, al fine di evitare che, mediante la libera disponibilità di tale documento, il richiedente possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, vale a dire continuare a percepire indebitamente il beneficio economico.