Niente pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi per i lavoratori o le lavoratrici domestiche o familiari. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l'ordinanza numero 26320 del 7 Settembre 2022 in cui i giudici del Supremo Collegio erano stati chiamati a valutare la legittimità dell'operato dell'Inps circa il rigetto di una domanda di pensione di vecchiaia di una lavoratrice impegnata da diversi anni in lavori domestici e familiari.
La questione
La decisione ha tratto origine dalla domanda di una lavoratrice all'Inps volta alla liquidazione della pensione di vecchiaia in deroga al requisito contributivo di 20 anni sul presupposto stabilito dall'art. 2, comma 3, lett. b) d.lgs. 503/1992 (cd. Deroghe Amato). La disposizione da ultimo richiamata, come noto, fissa un requisito contributivo ridotto a 15 anni, tra l'altro, nei confronti di lavoratori e delle lavoratrici iscritti presso l'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti in possesso di anzianità contributiva al 31.12.1995 che possano vantare almeno 25 anni di assicurazione IVS a condizione di essere stati occupati per almeno 10 anni per periodi di tempo inferiori a 52 settimane l'anno. (Qui i dettagli).
La lavoratrice aveva complessivamente maturato un'anzianità contributiva di 790 settimane, inferiore rispetto alle 1.040 settimane stabilite dalla Riforma Amato per il pensionamento di vecchiaia ma superiore alle 780 settimane richieste secondo la disciplina pensionistica previgente. Essendo in possesso di anzianità contributiva al 31.12.1995 la lavoratrice non poteva avvalersi dell'uscita a 70 anni e 7 mesi unitamente a 5 anni di contributi prevista per i contributivi puri e, pertanto, aveva invocato la Deroga Amato per maturare una pensione e non perdere la contribuzione versata all'inps.
La domanda era stata però respinta dall'Inps sul presupposto che la lavoratrice aveva lavorato nel periodo di tempo appena citato con un contratto a tempo pieno non integrando, pertanto, i requisiti per l'attivazione della deroga ed essendo irrilevante, come sosteneva invece l'interessata, che le settimane contributive accreditate per ciascun anno di lavoro fossero inferiori a 52 per effetto della bassa retribuzione e della relativa contrazione dell'anzianità contributiva accreditabile nel periodo considerato. La lavoratrice, insoddisfatta della valutazione dell'Istituto, ha quindi proposto ricorso presso le Corti di Merito risultando vittoriosa salvo soccombere innanzi al Giudice di Cassazione che ha accolto la tesi dell'Inps.
La tesi della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha sostanzialmente ribadito quanto già affermato in diverse sentenze pronunciate negli ultimi cinque anni a seguito di numerose istanze prodotte soprattutto da lavoratrici del settore privato impiegate in lavori domestici e familiari. Secondo i giudici di Piazza Cavour, infatti, la predetta ipotesi derogatoria riguarda esclusivamente quelle peculiari attività lavorative che, per non coprire l'intero anno solare, non potevano far maturare la maggiore contribuzione richiesta dal decreto legislativo n.503/1992.
L'orientamento consolidato della Cassazione, infatti, ha stabilito che «la portata e il contenuto della disposizione fanno chiaramente riferimento all'intento del legislatore di proteggere, con il più favorevole regime previgente, i lavoratori non occupati per l'intero anno solare e non già i lavoratori che, sebbene occupati nell'intero anno solare, possano anch'essi far valere una minore contribuzione». I Giudici hanno citato ad esempio le attività prestate nell'agricoltura o le attività stagionali la cui particolare natura, come noto, non consente di prestare l'attività lavorativa per l'anno intero e, dunque di ragguagliare l'anzianità contributiva richiesta dal 1° gennaio 1993 dalla Riforma Amato per il pensionamento di vecchiaia (20 anni per l'appunto).
Niente beneficio per i lavoratori domestici
Tale criterio, indicano i giudici, non può essere esteso a quei lavoratori e a quelle lavoratrici che, a parità delle altre condizioni richieste dalla norma, possano far valere una minore contribuzione nel decennio di riferimento per aver lavorato per l'intero anno solare, in ragione di un ridotto orario lavorativo settimanale. In particolare come già esposto nella Sentenza della Corte numero 10510/2012: «La deroga all'applicabilità del regime previdenziale introdotto con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, prevista, dall'art. 2, comma 3, lettera b) del citato decreto legislativo, per i lavoratori, con anzianità assicurativa di almeno venticinque anni, occupati, per almeno un decennio, per periodi inferiori all'intero anno solare ("di durata inferiore a 52 settimane nell'anno solare"), non è suscettibile di applicazione analogica, né di interpretazione estensiva e non trova, pertanto, applicazione per i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari che, a parità delle altre condizioni richieste dalla norma, possano far valere una minore contribuzione per aver lavorato, per circa un decennio, per l'intero anno solare, con orario inferiore alle ventiquattro ore settimanali. Né la disposizione si appalesa in contrasto con il canone di ragionevolezza, atteso il consolidato insegnamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità secondo cui la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali, salvo il limite della ragionevolezza, è comunque rimessa alla discrezionalità del legislatore che può sempre intervenire, con leggi peggiorative, persino su trattamenti pensionistici in corso di erogazione».
In sostanza, secondo la Corte di Cassazione, il beneficio del pensionamento di vecchiaia con 15 anni di contributi anzichè 20 anni di cui all'art. 2, comma 3, lettera b) del Dlgs 503/1992 non può essere riconosciuto a quei soggetti, soprattutto lavoratrici che, pur potendo far valere un'anzianità assicurativa di 25 anni, sono stati impiegati nel decennio di riferimento in regime di part-time orizzontale, lavoro a domicilio, lavoro domestico e che, pertanto, hanno subito una contrazione dell'anzianità contributiva al di sotto delle 52 settimane l'anno.
«Il più favorevole regime contributivo - specificano i giudici - è, pertanto, conservato e fatto salvo, dal legislatore della riforma previdenziale del 1992, a protezione di alcune categorie deboli di lavoratori subordinati che non possono far valere la contribuzione annua per l'intero anno solare per essere stati occupati per un periodo inferiore alle cinquantadue settimane, come del resto emerge dal citato criterio di delega al quale il legislatore delegato si è informato».