L'ordinamento dell'Ente prevede, peraltro, un'attenuazione dell'imposizione contributiva intera a favore dei farmacisti dipendenti pari al 33,33 per cento, del 50 per cento o dell'85 per cento del contributo previdenziale intero, con proporzionale rimodulazione del trattamento pensionistico spettante. In caso di temporanea ed involontaria disoccupazione, tale riduzione spetta per un periodo massimo complessivo di 5 anni contributivi decorsi i quali l'iscritto può pagare il contributo nella misura dimezzata (2.300 euro annui circa) in quanto equiparato all'iscritto che non esercita attività professionale. Il versamento resta comunque obbligatorio per rimanere iscritti all'albo, essere assunti nelle farmacie private o effettuare un concorso pubblico come farmacista.
Per i farmacisti dipendenti la duplicità della posizione assicurativa (ENPAF ed INPS) appena descritta può rendere difficile la maturazione del diritto a pensione in presenza di una carriera precaria che non faccia raggiungere i requisiti contributivi minimi per la pensione ENPAF (30 anni di versamenti; 20 anni di attività; 68 anni e 9 mesi di età). Infatti la contribuzione ENPAF non può essere utilizzata dagli interessati tramite gli istituti della totalizzazione, del cumulo e della ricongiunzione dei periodi assicurativi, in quanto coincidente temporalmente con quella maturati presso l'INPS, né dal 2004 è più prevista la restituzione dei contributi per coloro che non hanno maturato i requisiti vigenti presso l'ENPAF. Pertanto, il rischio è che tali somme restino acquisite alla gestione senza dar luogo all'erogazione di alcuna prestazione pensionistica (è il c.d. fenomeno della contribuzione silente). Non a caso molti iscritti chiedono una revisione delle tariffe di contribuzione e/o l'abrogazione dell'obbligatorietà della contribuzione dovuta dai farmacisti dipendenti.