In primo luogo bisogna ricordare che non ci sono effetti negativi per gli assegni collocati al di sotto di 1.522 euro lordi mensili (cioè sino a tre volte il minimo inps) in quanto anche la nuova normativa garantisce la piena indicizzazione della pensione all'inflazione. Chi ci rimetterà qualcosa sono i pensionati della classe media ed elevata che godono di assegni superiori. Queste pensioni senza la legge di bilancio avrebbero rivisto l'adeguamento nelle misure stabilite dalla legge 388/2000, pari al 90% dell'inflazione per gli assegni sino a 5 volte il minimo (cioè sino a 2.537,1€) e del 75% per la cifra superiore con il ritorno alle fasce progressive (più favorevoli). Il nuovo meccanismo inserito nella legge 145/2018 (legge di bilancio 2019) contiene gli aumenti in misura compresa tra il 97% ed il 40% a seconda della classe dell'assegno applicando la rivalutazione direttamente sulla fascia complessiva del reddito pensionistico. Nello specifico le pensioni tra 3 e 4 volte il minimo vengono rivalutate al 97% dell'inflazione; tra 4 e 5 volte al 77%, tra 5 e 6 volte al 52%; tra 6 ed 8 volte al 47%; tra 8 e 9 volte al 45% e quelle superiori a 9 volte al 40%.
La tabella sottostante mostra, quindi, nelle ultime tre colonne il confronto tra le due normative con riferimento al 2019 utilizzando il tasso di inflazione dell'1,1% già comunicato dall'Istat. Come si vede l'effetto è molto contenuto per gli assegni tra tre e quattro volte il minimo e sale progressivamente per quelli superiori. Così una pensione di 2.800 euro lordi si fermerà nel 2019 al valore di 2.816 euro invece di 2.828 euro, quasi 13 euro al mese in meno in termini di mancata crescita; un assegno di 4.500 euro arriverà a 4.522 euro invece che a 4.543 euro, una differenza di oltre 20 euro al mese ed un assegno di 10mila euro lordi perderà quasi 45 euro al mese in termini di mancata rivalutazione (senza considerare l'effetto del nuovo contributo di solidarietà sulle pensioni superiori a 100mila euro annui).
La novella è, comunque, leggermente più generosa rispetto alla disciplina vigente sino al 31 dicembre 2018 (legge 147/2013). Questa normativa garantiva per le pensioni tra 3 e 4 volte il minimo una rivalutazione al 95% dell'inflazione; tra 4 e 5 volte al 75%; tra 5 e 6 volte al 50%; per le classi di assegno superiori a 6 volte al 45% dell'inflazione. Come si vede nelle prime tre colonne della tabella gli assegni sino a 8 volte il minimo inps (4.059 euro al mese ai valori 2018) godranno quindi di un piccolo incremento rispetto a quanto sarebbe stato concesso prorogando anche nel 2019 le disposizioni di cui alla legge 147/2013; per quelli compresi tra 8 e 9 volte non cambia praticamente nulla, anche la nuova normativa prevede una rivalutazione al 45%; mentre quelli superiori a 9 volte, cioè superiori a 4.566 euro al mese, subiranno un effetto peggiorativo anche rispetto a quanto previsto dalla legge 147/2013. Per questa classe di pensionati la rivalutazione scende, infatti, dal 45% al 40% dell'inflazione.