Dopo il nulla nel DEF, il nulla nel Decreto Lavoro. Nemmeno un accenno al ripristino di Opzione Donna nella versione antecedente l’ultima Legge di Bilancio. In pratica in questo 2023 oltre alle uscite previste dalla Legge Fornero ci saranno le poche migliaia di persone che accederanno al pensionamento con la “Quota 103” e l’Ape Sociale nonché le poche centinaia di donne che lasceranno il lavoro con quello che è restato di Opzione Donna riservata a ormai solo a donne svantaggiate.
Molto poco, direi, da parte di un esecutivo che in campagna elettorale ha fatto della modifica della Legge Fornero uno degli argomenti fondamentali che ha permesso poi l’ampia vittoria alle elezioni politiche.
La maggioranza di Governo, però, è composta da tre distinte formazioni politiche all’interno delle quale le “sensibilità” sono molto diverse e variegate. Se da parte della Lega e di Salvini in particolare la cancellazione della legge Fornero è diventata quasi una questione di principio ed è da sempre uno dei suoi cavalli di battaglia, a lui si deve infatti la famosissima “Quota 100” negli anni dal 2019 al 2021, e Forza Italia si è sempre battuta per un innalzamento delle pensioni minime fino ad ipotizzare addirittura l’assegno minimo portato a 1.000 euro, la Meloni da sempre è stata molto più cauta in ambito previdenziale non disdegnando completamente l’attuale legge previdenziale esistente in Italia.
Forte del risultato elettorale raggiunto con il suo partito che ha triplicato i consensi rispetto agli altri due alleati di Governo e forte della sua leadership ha rallentato vistosamente sull’attuazione di una nuova riforma previdenziale, ha di fatto imposto uno stop alle contrattazioni tra le parti sociali e la Ministra del Lavoro Calderone rimandando tutta la questione all’autunno con la presentazione del NADEF e della Legge di Bilancio con la prospettiva concreta di operare qualche piccola modifica (sulle Quote e forse sulle donne) operative dal 2024 e poi in quell’anno sperare di trovare altre risorse per attuare delle modifiche sostanziali che possano essere operative dal 1/1/2025.
Un quadro molto verosimile ma anche molto desolante con la Presidente del Consiglio interessata piuttosto, al momento, alla riforma presidenziale, alla riforma fiscale, alla riforma della giustizia e molto meno a quella previdenziale anche per non mettersi troppo in contrasto con Bruxelles perlomeno fino alle elezioni europee del giugno 2024 sperando che il risultato sia a lei ed ai partiti della destra europea favorevole per assumere anche all’interno della UE una posizione preminente che all’attualità le manca.
Sembra la politica del rimando, con interventi spot e senza mai affrontare un argomento, quello previdenziale, che collegato a quello delle politiche attive sul lavoro e alla continua denatalità che attanaglia il nostro Paese rischia di diventare nei prossimi anni una bomba sociale. Con assegni previdenziali che per effetto del calcolo contributivo diventano sempre più bassi, con una frammentazione del lavoro che non permette adeguati versamenti contributivi, con retribuzioni stipendiali bassissime, con la denatalità ai minimi da 150 anni a questa parte, con un’evasione contributiva arrivata al punto di non ritorno e con un’assistenza fuori controllo che ormai si mangia un quarto delle risorse impiegate nella previdenza, rimandare ulteriormente il problema è da irresponsabili.
C’è la necessità, urgente, che tutti gli attori interessati a questa problematica, vale a dire i partiti di maggioranza ed opposizione, le forze sociali, gli esperti della materia, le organizzazioni di categoria si mettano al lavoro per trovare una soluzione per evitare che nel giro di pochi anni il “sistema previdenziale” vada al collasso con conseguenze imprevedibili per tutti i cittadini italiani.