La norma così recita: «il dipendente civile che cessa dal servizio per raggiungimento del limite di età o per infermità non dipendente da causa di servizio ha diritto alla pensione normale se ha compiuto quindici anni di servizio effettivo. Nei casi di dimissioni, di decadenza, di destituzione e in ogni altro caso di cessazione dal servizio, il dipendente civile ha diritto alla pensione normale se ha compiuto venti anni di servizio effettivo. Alla dipendente dimissionaria coniugata o con prole a carico spetta, ai fini del compimento dell'anzianità stabilita nel secondo comma, un aumento del servizio effettivo sino al massimo di cinque anni». In sostanza la disposizione reca un abbuono sino a 5 anni di contribuzione per la dimissionaria coniugata o con prole a carico, utilizzabile solo dalla dipendente alla quale occorrano fino a 5 anni per il conseguimento del ventennio di servizio necessario per accedere alla pensione di vecchiaia.
Prima di tutto va precisato che la disposizione concretamente ha trovato applicazione sino al 31.12.1992 per poi essere superata dalla Riforma Amato (dlgs n. 503/1992). E' vero che l'articolo 2, co. 3 del dlgs n. 503/1992 ha previsto una salvaguardia nei confronti dei soggetti in possesso dei requisiti alla data del 31.12.1992 con l'obiettivo di garantire le più favorevoli regole a coloro che, pur potendo pensionarsi, hanno proseguito l'attività lavorativa. In definitiva il beneficio risulta applicabile esclusivamente con riferimento alle lavoratrici coniugate o con prole a carico che al 31.12.1992 avevano presentato le dimissioni dal servizio ed erano in possesso di almeno 15 anni di servizio effettivo. D'altro canto, è bene precisarlo, non può essere invocato se le dimissioni sono state presentate dopo il 31.12.1992 in quanto la salvaguardia in parola non si traduce in una sorta di ultrattività della precedente normativa per il periodo temporale successivo al mutamento delle regole. Per cui non è possibile attualmente dimettersi contando su uno sconto di cinque anni di contributi.