Redazione

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La pressione fiscale, nel 2014, e' destinata a salire dello 0,2% rispetto al livello raggiunto l'anno scorso. Kamsin E' quanto sostiene la Cgia di Mestre sottolineando che in questo modo "e' destinata a toccare il livello record del 44%: la stessa soglia raggiunta nel 2012". Dal 1980 ad oggi, segnala inoltre l'Ufficio studi della confederazione, la pressione fiscale in Italia e' aumentata di 12,6 punti percentuali.

E "secondo il Def (Documento di Economia e Finanza) approvato nella primavera scorsa - si legge in una nota - quest'anno la pressione fiscale e' destinata a toccare il livello record del 44%: la stessa soglia raggiunta nel 2012. Con un record di tasse che ci proietta ai vertici della classifica dei piu' tartassati d'Europa, le imprese italiane versano al fisco italiano ben 110,4 miliardi di tasse all'anno. Nell'Ue, sottolinea l'Ufficio studi della Cgia, solo le aziende tedesche pagano in termini assoluti piu' delle nostre, anche se va ricordato che la Germania conta oltre 80 milioni di abitanti: 20 piu' dell'Italia.

"Con un carico fiscale di questa portata - sottolinea Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia - e' difficile fare impresa e soprattutto creare le condizioni per far ripartire l'economia". Secondo il leader degli artigiani mestrini, le cause di questo nuovo record fiscale sono "gli effetti legati alla rivalutazione delle rendite finanziarie, all'aumento dell'Iva, che nel 2014 si distribuisce su tutto l'arco dell'anno, all'introduzione della Tasi e, soprattutto, all'inasprimento fiscale che gravera' sulle banche, compensano abbondantemente il taglio dell'Irap e gli 80 euro lasciati in busta paga ai lavoratori dipendenti con redditi medio bassi. Alla luce di tutto cio' - aggiunge - la pressione fiscale di quest'anno e' destinata a salire dello 0,2 % rispetto al livello raggiunto l'anno scorso". Ritornando al carico fiscale che grava sulle imprese, fa notare la Cgia, se calcoliamo la percentuale delle tasse pagate dalle aziende sul gettito fiscale totale, a guidare la classifica europea e' il Lussemburgo, con il 17 per cento.

Sul secondo gradino del podio si posiziona il nostro Paese, con il 16%, mentre al terzo troviamo l'Irlanda, con il 12,3 per cento. Tra i nostri principali competitor la Cgia segnala che "la Germania fa segnare l'11,6%, il Regno Unito l'11,2%, la Francia il 10,3%, mentre la media dell'Ue dei 15 e' pari all'11,3%". "Alle nostre imprese - conclude Bortolussi - viene richiesto lo sforzo fiscale piu' pesante. Nonostante la giustizia sia poco efficiente, il credito sia concesso con il contagocce, la burocrazia abbia raggiunto livelli ormai insopportabili, la Pubblica amministrazione sia la peggiore pagatrice d'Europa e il sistema logistico-infrastrutturale registri dei ritardi spaventosi, la fedelta' fiscale delle nostre imprese e' al top". 

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Si parte con Valtur e si prosegue con Ast (Thyssen) e Lucchini, passando per Alcoa e Pasta Agnesi, per proseguire con Alcatel e Termini Imerese. Kamsin Settembre sarà un mese critico per l'industria italiana: i tavoli di confronto istituiti presso il ministero dello Sviluppo economico sono numerosi come l'anno scorso ma dopo alcuni esiti positivi e il lavoro svolto nei mesi scorsi, le prospettive di giungere in autunno alla soluzione di alcune importanti vertenze sembra piu' a portata di mano.

Il primo appuntamento gia' fissato e' per mercoledi' 3 per il gruppo turistico che dopo l'amministrazione straordinaria e' passato ad Orovacanze. Giovedi' 4 e' la volta di ThyssenKrupp: bloccata dall'intervento del ministro Guidi l'avvio della procedura di mobilita' per 550 lavoratori, si tratta ora di rivedere il piano industriale sperando di giungere a un piano di rilancio. Sempre nel settore siderurgico, prosegue il negoziato per Lucchini: si sta infatti trattando in esclusiva la vendita alla societa' indiana Jindal. "Il negoziato - fanno sapere dal Mise - sta andando avanti positivamente. Speriamo di arrivare alla fase conclusiva al ministero nella prima meta' di settembre". Ottimismo viene manifestato anche per la complessa vicenda Ilva, seguita "minuto per minuto": tra le manifestazioni di interesse, quella in stato piu' avanzato e' di Arcelor Mittal. "Ci sono le condizioni - dicono al ministero - per trovare una soluzione positiva".

Nell'agenda del ministero figura anche giovedi' 4 l'accordo per Alcatel. Lunedi' 8 settembre e' fissato l'incontro tecnico dedicato all'offerta avanzata da Grifa per Termini Imerese, a cui seguira' il 23 il tavolo politico. Tra il 9 e il 10 e' previsto poi il tavolo sulla Solsonica di Rieti: dovrebbero entrare degli investitori italiani che farebbero compiere all'azienda del settore fotovoltaico significativi progressi dal punto di vista tecnologico. Situazione piu' critica e' quella di Ideal Standard, che sara' affrontata al ministero giovedi' 11. Il 12 e' convocato il tavolo per Pasta Agnesi. Poi c'è la vertenza Breda Menarini, la trattativa per la De Tomaso di Torino.  

A meta' settembre sara' poi convocato il tavolo sulla raffinazione e quindi quello sui call center, ma gia' dai primi del mese al ministero faranno il punto sulla siciliana Almaviva e sulla calabrese Infocontact. 

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Gli italiani hanno ripreso ad emigrare all'estero ma rispetto al passato sono tanti i 40 e 50enni pronti a lasciare il Paese per trovare un lavoro. Kamsin E' quanto rileva una ricerca del Centro studi Cna, secondo cui negli anni della crisi sono emigrate dall'Italia all'estero circa 620mila persone: dal 2007 al 2013 il numero di coloro che hanno abbandonato l'Italia e' aumentato del 92,9%. Solo nel 2013 hanno lasciato il Paese 125.753 adulti, un numero simile a quello degli abitanti della Val d'Aosta o della citta' di Pescara.

Nella stragrande maggioranza, oltre 80mila, erano italiani, gli altri immigrati. Il nuovo boom di espatri e' trainato da lavoratori con i capelli grigi. Nel periodo 2007/13 l'incremento degli espatriati italiani con un'eta' tra i 40 e i 49 anni e' stato pari al 79,2%. Nella fascia tra i 50 e i 64 anni la crescita ha toccato il 51,2%. I giovani che hanno deciso di emigrare, in percentuale, sono aumentati di meno: +44,4% quanti avevano tra i 15 e i 29 anni, +43% la fascia 30-39 anni. In termini assoluti continuano a essere i giovani ad emigrare in maniera piu' massiccia: nel 2013 il 36,3% del totale aveva tra i 30 e i 39 anni, il 27,8% tra i 15 e i 29 anni.

Nel frattempo, e' salita pero' al 21,9% la fascia 40-49 anni e al 14% quella tra i 50-64 anni. Se un tempo dopo i 50anni un emigrato tornava al paese d'origine, ora gli 'over' sono anche pronti a fare le valigie e a cercare fortuna oltre frontiera. La Cna ipotizza che chi emigra dopo il giro di boa dei quarant'anni sono persone che la mancanza di occupazioni qualificate non permette di valorizzare;probabilmente anche imprenditori, che puntano a "vendere" la propria esperienza in mercati emergenti. 

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Nel mese di luglio 2014 il numero di ore di cassa integrazione complessivamente autorizzate e' stato pari a 79,5 milioni, in diminuzione del -25,0% rispetto allo stesso mese del 2013 (106,1 milioni). Kamsin Lo comunica l'Inps precisando che i dati destagionalizzati evidenziano nel mese di luglio rispetto al mese precedente una variazione congiunturale pari al -8,6% per il totale degli interventi di cassa integrazione.

Dall'analisi delle singole tipologie di intervento si rileva che le ore di cassa integrazione ordinaria autorizzate a luglio 2014 sono state 20,2 milioni, mentre un anno prima, nel mese di luglio 2013, erano state 32,8 milioni: di conseguenza, la diminuzione tendenziale e' pari a -38,3%. In particolare, la variazione tendenziale e' stata pari a -42,8% nel settore Industria e a -24,0% nel settore Edilizia. Le variazioni congiunturali calcolate sui dati destagionalizzati registrano per il mese di luglio 2014 un decremento pari al -16,1% rispetto al mese precedente.

Il numero di ore di cassa integrazione straordinaria autorizzate a luglio 2014 e' stato pari a 50,4 milioni, con un incremento del +18,0% rispetto al luglio 2013, nel corso del quale sono state autorizzate 42,7 milioni di ore. Rispetto a giugno 2014, invece, si registra una variazione congiunturale, calcolata sui dati destagionalizzati, pari a +9,6%. Passando infine agli interventi in deroga, che risentono dei fermi amministrativi per carenza di finanziamenti, sono state 8,9 milioni le ore autorizzate a luglio 2014, con un decremento del -70,8% se raffrontati con luglio 2013, mese nel quale erano state autorizzate 30,6 milioni di ore. In questo caso, la destagionalizzazione dei dati mostra una variazione congiunturale pari al -55,9% rispetto al precedente mese di giugno.

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Pubblichiamo di seguito una lettera ricevuta dal Senatore di Scelta Civica, Pietro Ichino. Caro direttore, a quasi tre anni dalla riforma delle pensioni del 2011, tra coloro che si qualificano come «esodati» non ce n'è più uno che possa essere indicato come tale secondo il significato originario del termine. Kamsin  I provvedimenti di «salvaguardia» adottati nel 2011 e 2012 hanno infatti esentato dall'applicazione dei nuovi requisiti per il pensionamento tutti coloro che avessero perso il lavoro prima della riforma per effetto di un accordo individuale o collettivo di incentivazione all'esodo, stipulato in considerazione di un prossimo pensionamento secondo la vecchia disciplina. Sono stati poi «salvaguardati» anche tutti i lavoratori licenziati negli anni 2007-2011, i quali fossero destinati a maturare i requisiti per la pensione secondo le vecchie regole entro tre anni dalla riforma, cioè entro il 2014.

Qual è, dunque, la situazione delle persone che frequentano le trasmissioni telefoniche e radiofoniche presentandosi come «esodate» e rivendicando un diritto a essere prepensionate? In gran parte, quando non si tratta di persone che per poche settimane o mesi di differenza sono state costrette a rimanere al lavoro più a lungo di quanto desideravano, sono ultracinquantenni che hanno perso la loro ultima occupazione, per i motivi più vari, uno, cinque, dieci o quindici anni fa. Così stando le cose, dobbiamo metterci d'accordo: se riteniamo che, perso il lavoro, gli ultracinquantenni non possano ritrovarlo e debbano quindi essere in qualche modo accompagnati alla pensione, come si faceva normalmente fino al novembre 2011, allora diciamo apertamente che intendiamo abrogare la riforma.

Però, allora, diciamo anche che consideriamo giusto continuare ad accollare la pensione di questi cinquantenni e sessantenni alle nuove generazioni, che in pensione andranno a 70 anni o poco prima: perché, con una attesa di vita di oltre 80 anni, l'anzianità contributiva normale di 30-40 anni con cui si andava in quiescenza nei decenni passati non basta per il finanziamento di un trattamento decente destinato a durare 20 o 25 anni. E diciamo chiaramente che rinunciamo ad allineare il tasso di occupazione degli italiani tra i 50 e i 65 anni di età (oggi circa uno su tre) alla media europea (uno su due). Se invece consideriamo giusti gli obiettivi della riforma del 2011, riteniamo cioè necessario aumentare il tasso di occupazione degli anziani e darci un sistema previdenziale capace di camminare sulle sue gambe; se consideriamo — sulla base dei dati forniti dal ministero del Lavoro — che nell'ultimo anno 1,6 milioni di contratti regolari in Italia sono stati stipulati con persone ultracinquantenni e circa un quarto di questi con ultrasessantenni; se infine siamo convinti che il sistema ante 2011 di prepensionare tutti i cinquantenni o sessantenni che perdevano il posto sia, oltre che sbagliato, anche improponibile sul piano politico in Europa oggi; se di tutto questo siamo convinti, allora dobbiamo affrontare il problema di questi disoccupati nei termini appropriati: cioè come un problema, appunto, di disoccupazione, reso più difficile dall'età degli interessati.

 Se disponiamo di risorse da destinare alla sua soluzione, istituiamo per queste persone una indennità non finalizzata alla loro espulsione definitiva dal mercato del lavoro, ma, al contrario, condizionata al loro rimanere in esso attive e disponibili; consentiamo a chi le assume di beneficiare di un contributo correlato alla parte non goduta dell'indennità; istituiamo la possibilità di pensionamento parziale combinabile con il part-time o altre forme di flessibilità dell'età di pensionamento. Ma sempre con l'obiettivo di promuovere e incentivare l'invecchiamento attivo, evitando tutto ciò che invece lo disincentiva. L'errore peggiore, comunque, è quello del rimanere in mezzo al guado, del fare e disfare, come accadde nel 2007, quando il ministro Damiano disfece la riforma del suo predecessore Maroni.

Se non vogliamo tornare indietro, dobbiamo orientare tutti gli interventi a un mutamento profondo della nostra cultura diffusa, che è alla base dei comportamenti e delle vecchie strategie di vita dalle quali è nato il problema degli «esodati» vecchi e nuovi. Mi riferisco alla cultura della job property, che rende vischiosissimo il nostro mercato del lavoro; quella per cui la progressione retributiva è affidata non alla possibilità effettiva di spostarsi dove il proprio lavoro è meglio valorizzato, ma agli scatti di anzianità, che frenano pesantemente la mobilità dei più anziani; quella per cui se il «diritto fondamentale» al posto di lavoro viene «leso» con il licenziamento, l'unico risarcimento possibile è la cassa integrazione per anni e poi il prepensionamento. Tutto si tiene. Dobbiamo passare da un vecchio equilibrio di sistema a uno nuovo. E, come sempre, spostarsi da un equilibrio a un altro è tutt'altro che facile. Ma non abbiamo alternative: di vie facili d'uscita dalla nostra arretratezza non ce ne sono.

Esodati, settimana chiave per la certificazione della quarta salvaguardiaZedde

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