Redazione

Redazione

La legge di stabilità 2014 (l.n. 147/2013) reca una norma di interpretazione autentica concernente le gestioni previdenziali obbligatorie facenti capo ad enti previdenziali di diritto privato, al fine di specificare che gli atti e le deliberazioni adottati dagli enti ed approvati dai Ministeri vigilanti prima del 1° gennaio 2007, sono fatti salvi unicamente a condizione che essi siano intesi ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine delle gestioni previdenziali. 

La legge dunque conferma che, a condizione che siano finalizzati ad as­sicurare l'equilibrio finanziario di lungo ter­mine, tutti gli atti e le deliberazioni adottati dagli enti e approvati dai Ministeri vigilanti prima del 2007 si intendono legittimi ed effi­caci. Nello specifico la norma concede una in­terpretazione autentica dell'ultimo periodo dell'arti­colo 1, comma 763, della legge 296/2006 secondo la quale gli enti che evidenziano squilibri finanziari possono rivedere le prestazioni garantite in maniera graduale, te­nendo conto del principio del pro rata e nel rispetto dell'equità tra generazioni. L'interpretazione si è resa necessaria per rafforzare la posizione degli enti previdenziali di diritto privato dai contenziosi presentati dagli iscritti che hanno avuto una riduzione delle tutele previdenziali erogate sulla base di atti approvati prima del 2007.

La legge di stabilità interviene anche sulle spese di funzionamento di tali enti, consentendo che, a decorrere dal 2014, gli enti previdenziali adempiano gli obblighi di contenimento della spesa a cui sono soggetti sulla base della normativa vigente effettuando, in via sostitutiva, un riversamento in favore dell’entrata del bilancio dello Stato, entro il 30 giugno di ciascun anno, pari al 12 per cento della spesa sostenuta per i consumi intermedi nell’anno 2010.

Sperimentale Donna, è boom di domande

Mercoledì, 15 Gennaio 2014
Sono sempre più le donne che decidono di accedere alla pensione contributiva con l'opzione donna 57 anni di età 58 per l'autonomia e 35 anni di contributi dopo l'entrata in vigore della riforma Fornero.

Secondo i dati dall'Inps le domande per accedere al regime sperimentale donna introdotto nel 2004 hanno registrato negli ultimi 2 anni una forte crescita. Il regime donna, è noto, si tratta purtroppo dell'unica scappatoia attualmente ancora disponibile per poter andare in pensione con un po' di anticipo rispetto alle nuove regole. Un beneficio, se così può essere chiamato, fruibile solo per il gentil sesso a condizione però di avere una pesante penalizzazione dal punto di vista economico. Chi opta per l'opzione donna otterrà infatti la liquidazione della pensione con il calcolo contributivo che significa, a conti fatti, una decurtazione dell'assegno medio che può toccare anche il 35 per cento.

Nonostante questi risvolti economici negativi lo sperimentale rimane l'unico canale d'uscita anticipato che ha superato indenne le maglie restrittive della Riforma Fornero del Dicembre 2011. E non sorprende quindi il fatto che nei primi due anni dall'introduzione della Riforma, le domande per l'opzione donna hanno subito un vero e proprio boom. Secondo i dati dell'INPS infatti l'opzione prevista dall'articolo 1, comma 9, della legge 243 del 2004 e' stata scelta da oltre 17.500 donne in tutto con una fortissima accelerazione nello scorso anno quando si è toccata quota 8.846 domande (contro le 5.646 del 2012).

Una vera e propria corsa destinata però a fermarsi in anticipo rispetto a quanto originariamente previsto. Secondo la circolare 35/2012 Inps possono infatti fruire del beneficio solo le donne con 57 anni di età (58 le autonome) e 35 anni di contributi la cui finestra di decorrenza si apra entro il 31 Dicembre 2015 (cioè una volta perfezionati i requisiti bisogna aggiungere il periodo di finestra mobile di 12 o 18 mesi a seconda se trattasi di lavoratrice dipendente o autonoma). Nella legge istitutiva in realtà non si faceva alcun riferimento alla decorrenza lasciando immaginare che il beneficio fosse fruibile a condizione di maturare i soli sopra citati requisiti anagrafici e contributivi entro il 31.12.2015.

La Corte dei Conti con la delibera n. 21/2013 boccia la speciale indennità pensionabile (SIP) a decorrere dal 9 Ottobre 2010, data di entrata in vigore del nuovo codice militare.

 Secondo quanto stabilito dalla Corte dei Conti i Vicecomandanti Generali dell'Arma non possono avere diritto alla SIP. La SIP è quell'emolumento in busta paga - pari a circa 4.800 euro netti in più al mese - che viene concesso ai Generali e ai Vice Generali di Corpo d'Armata che vanno in ausiliaria per un periodo di cinque anni. Si tratta in realtà di un vero e proprio privilegio particolarmente difficilmente da comprendere in un periodo tagli e di crisi economica come quello attuale.

La SIP infatti non viene corrisposta solo per il periodo di ausiliaria dell'Ufficiale - un periodo pari a cinque anni dopo aver lasciato il servizio durante i quali l'Ufficiale può essere richiamato in servizio dall'Arma  - in quanto l'indennità poi entra a far parte dell'assegno pensionistico portando quest'ultimo a circa 14mila euro lordi mensili.

La speciale indennità fu istituita per il capo della Polizia-direttore generale della Polizia di Stato nel 1981, poi estesa nel 1987 ai comandanti generali dell'Arma e della Guardia di Finanza, al capo della Forestale e del Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria); nel 1997 diventò appannaggio anche dei capi di Stato maggiore della Difesa, di Esercito, Marina, Aeronautica e del segretario generale della stessa Difesa. Alla fine la speciale indennità è arrivata anche per i vicecomandanti dell'Arma e della Finanza.

Ora la Corte dei Conti ha bocciato i decreti di assegnazione della SIP di tre vicecomandanti dei carabinieri: i generali di corpo d'armata Carlo Alfiero, Salvatore Fenu ed Ermanno Vallino. La magistratura contabile ha tuttavia fissato uno spartiacque: «Ai fini del calcolo dell'indennità di ausiliaria, la valutazione della speciale indennità pensionabile» citata dal nuovo codice dell'ordinamento militare «non potrà più essere effettuata» a decorrere «dal 9 ottobre 2010» cioè la «la data di entrata in vigore dello stesso codice militare». Rispetto a quel termine, oltre a Fenu, Alfiero e Vallino si salvano dalla scure della Corte, tra gli altri, i vicecomandanti dell'Arma Roberto Santini, Roberto Cirese, Goffredo Mencagli, Massimo Cetola, Giorgio Piccirillo e Stefano Orlando. Il ministero della Difesa potrebbe a questo punto recuperare le somme nei confronti dei generali Corrado Borruso, Michele Franzè, Carlo Gualdi, Clemente Gasparri, Massimo Iadanza e Antonio Girone, numeri due dell'Arma che hanno percepito l'ausiliaria dopo l'entrata in vigore del nuovo ordinamento militare.

I tecnici del ministero del lavoro studiano la possibilità di introdurre il pensionamento con 62 anni e 35 anni di contributi. Tra i ritocchi al sistema previdenziale possibile anche un intervento sulle cosiddette pensioni d'oro e d'argento.

Tra i provvedimenti che sono allo studio del Commissario Cottarelli c'è anche quello, piuttosto significativo, al sistema previdenziale. Nel mirino del commissario straordinario alla cosiddetta spending review c'è soprattutto il capitolo pensioni d'oro e d'argento, tema molto caldo soprattutto per il Pd. Il bacino su cui il Commissario potrebbe intervenire è molto ampio dato che comprenderebbe gli assegni medio-alti con connotazione retributiva, le reversibilità sempre in relazione al passaggio al contributivo ed eventualmente il meccanismo di cumulo tra più trattamenti previdenziali e gli altri redditi da lavoro.

Il dossier è comunque allo stato attuale solo una bozza, predisposta piu' che altro per accontentare le forze di sinistra che appoggiano il governo piuttosto che un reale progetto di legge da portare in Parlamento. Il nodo è sempre quello della costituzionalità.

 Il lavoro di Cottarelli prosegue di pari fianco a quello del Ministro del Welfare Enrico Giovannini che  come ha di recente ribadito punta ad introdurre forme di pensionamento flessibile. E'da diversi mesi che i tecnici del ministro del Lavoro stanno lavorando a questo intervento che potrebbe essere sottoposto alle parti sociali nelle prossime settimane. Un intervento che prevederebbe la possibilità di riconoscere con un anticipo di 2 o 3 anni la pensione maturata a soggetti rimasti senza impiego e senza ammortizzatore sociale a condizione che abbiano raggiunto 62 anni di età e 35 di contributi. I beneficiari dovrebbero restituire all'Inps l'anticipo con micro-prelievi sull'assegno, una volta scattati i requisiti ordinari di accesso.

I contratti flessibili nel pubblico impiego tornano nel mirino della Corte di Giustizia europea che, boccia la legislazione italiana in materia di precariato.

I giudici della Corte Europea si sono pronunciati su due casi che sono stati sollevati dalle giuridizioni italiane: un insegnante della banda municipale in contenzioso contro il Comune di Aosta; un dipendente temporaneo in controversia con Poste Italiane.

Nel primo caso, i giudici hanno accertato l'illegittimità della legislazione italiana in materia di precariato pubblico, sostenendo che l'Italia non riconosce e non garantisce ai lavoratori pubblici precari le tutele e le garanzie previste dal legislatore europeo. La norma bocciata è quella che limita il risarcimento del danno subito dal lavoratore in caso di utilizzo abusivo da parte dello stato di piu' contratti a tempo determinato. Il lavoratore - secondo la norma italiana - ha diritto al risarcimento del danno subito solo se riesce a provare che a causa dell'abuso del precariato da parte del datore di lavoro pubblico ha dovuto rinunciare a migliori opportunità di lavoro che avrebbe avuto sul mercato, e senza possibilità di trasformazione del lavoro precario in lavoro stabile.

I giudici della Corte hanno poi bocciato anche la sanzione introdotta dalla legge 183/2010 con effetti retroattivi sui processi in corso di Poste italiane. La Corte Ue, con la sentenza Carratù, ha sancito che la Direttiva comunitaria sul lavoro precario può essere applicata anche a Poste italiane, in quanto deve essere considerata una società statale e non un'impresa privata.

Secondo il Ministro della Funzione Pubblica Dalia "la sentenza della Corte di Giustizia europea sulla egislazione italiana in materia di precariato pubblico non giunge certo come una novità, visto che il governo nel frattempo è già intervenuto con il decreto 101, convertito in legge, che ha come obiettivo proprio il superamento definitivo del fenomeno del precariato. Da un lato - ha detto il ministro - abbiamo introdotto il principio secondo cui l'unico modo per accedere nella P.A. è a tempo indeterminato, se non per esigenze eccezionali e motivate, pena la nullità del contratto con sanzioni disciplinari ed economiche per il dirigente che viola questa norma. Dall'altro abbiamo previsto, nell'ambito dei posti e delle risorse finanziarie disponibili, un sistema di inserimento stabile e meritocratico nelle Pubbliche amministrazioni attraverso concorsi riservati per quei precari che da almeno tre anni negli ultimi cinque, con il loro lavoro, mandano avanti le amministrazioni".

Secondo Dalia per assorbire il precariato nella Pa nei prossimi tre anni saranno possibili concorsi dedicati al 50% a chi ha cumulato 3 anni di contratti negli ultimi 5. Le pubbliche amministrazioni possono poi sottoscrivere contratti a termine con vincitori o e idonei di graduatorie ancora valide e predisposte per assunzioni a tempo indeterminato. Il ricorso al lavoro flessibile viene consentito solo per esigenze eccezionali.

© 2022 Digit Italia Srl - Partita IVA/C.f. 12640411000. Tutti i diritti riservati