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Cassa in Deroga, Le Regioni denunciano: servono 400 milioni per il 2015
L'ammortizzatore che garantisce un sostegno economico in favore dei lavoratori che non possono contare su altre forme di integrazione salariale andrà in soffitta a partire dal 2017.
Kamsin Caccia a circa 400 milioni per finanziare la Cassa integrazione in deroga per il 2015. L'allarme arriva dalle Regioni che denunciano come non ci siano risorse sufficienti per erogare l'ammortizzatore sociale, introdotto a sostegno degli artigiani, delle piccole imprese, degli apprendisti e dei lavoratori che non possono contare sugli altri tipi di Cig. Quest'anno, nonostante lo strumento possa durare solo per cinque mesi per effetto del decreto ministeriale dello scorso agosto, i lavoratori rischiano di subire un ulteriore ritardo nell'erogazione dei denari.
Il governo non ha infatti chiarito quanti soldi sono disponibili e quando potranno essere trasferiti alle Regioni. Per ora il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha sbloccato i fondi che serviranno a pagare gli assegni del 2014, per i quali si era previsto di spendere 1,7 miliardi: una cambiale pagata in ritardo, attingendo all'apposito Fondo ministeriale verso il quale la legge di stabilità ha dirottato altri 2,2 miliardi per coprire il biennio 2015-2016.
Ma non c'è solo l'incognita dei soldi che serviranno a pagare 5 mesi di Cig in deroga nel corso del 2015 (i mesi erano 11 nel 2014). Il problema più grave riguarda il futuro stesso di questo strumento, ampiamente usato dalle piccole aziende in difficoltà, che è destinato ad andare in soffitta da gennaio 2017. E' una fine annunciata, che però fa temere un salto nel vuoto.
Il destino della cassa in deroga è legato infatti al riordino più generale della Cig, che richiederà un apposito decreto delegato in linea con il jobs act che il Governo dovrebbe adottare entro giorno. La Cig in deroga, in pensione a fine 2016, dovrebbe essere sostituita dai fondi bilaterali di solidarietà: un cambio di passo complicato perché ora la Cig in deroga la pagano i contribuenti mentre, fra meno di due anni, il nuovo ammortizzatore sarà a carico di aziende e lavoratori, come le altre forme di Cig e non graverà piu' sulla fiscalità generale.
A complicare ulteriormente le cose c'è poi la decisione del Consiglio di Stato di ammettere all'ammortizzatore anche i dipedenti degli studi professionali dopo che erano stati tagliati fuori dal decreto dell'agosto 2014. La novità richiederà lo stanziamento di ulteriori risorse.
seguifb
Zedde
Bonus Bebè 2015, domande ancora in stand-by in attesa del decreto
L'Inps precisa che le domande di ammissione al bonus non possono essere ancora accolte stante la mancata pubblicazione in Gazzetta del decreto attuativo.
Kamsin "In attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto di attuazione del bonus bebè (art. 1, co. da 125 a 129, L. n. 190/2014, cd. Legge di stabilità 2015), non è ancora disponibile la procedura di acquisizione della domanda relativa al suddetto bonus né il modello ufficiale della domanda stessa. Pertanto, le sedi Inps non dovranno accettare istanze presentate con modelli non pubblicati dall’Istituto di previdenza". Lo comunica l'istituto di previdenza pubblica con il messaggio inps 2390 lo scorso 3 aprile 2015.
Il decreto, com'è noto, prevede l’erogazione di un assegno mensile per le famiglie che festeggeranno l’arrivo di un nuovo componente, vale a dire di un neonato o di un bambino adottato. Gli aventi diritto avranno 90 giorni di tempo dalla nascita del figlio per presentare la relativa domanda all’Inps, domanda che sarà valida per tutto il triennio in cui il bonus è attivo. L’assegno spetta per le nascite e le adozioni avvenute fra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 a condizione che l'Isee del nucleo familiare cui appartiene il genitore richiedente, risulti non superiore a 25mila euro. La domanda può essere presentata sia da cittadini italiani, sia da cittadini di uno Stato membro dell'Unione Europea nonchè da extracomunitari muniti di regolare permesso "di lungo soggiorno".
L'importo dell'assegno sarà di 960 euro l'anno (80 euro al mese) se l’Isee del nucleo familiare compreso tra 7mila e 25mila euro l'anno mentre raddoppia in caso l'Isee risulti inferiore a 7mila euro; in tal caso l’assegno corrisposto sarà pari a 1.920 euro annuali (ossia a 160 euro al mese) per ogni figlio nato o adottato. L’assegno verrà corrisposto dal mese di nascita o adozione del bambino e avrà valore per tre anni, e non concorrerà inoltre alla formazione del reddito complessivo dei genitori.
seguifb
Zedde
Giulia De Franchis, Patronato Inas
Riforma Pa, transizione di tre anni per i segretari comunali
Un emendamento contenuto nel disegno di legge delega di riforma della pubblica amministrazione prevede però una fase transitoria di 3 anni.
Kamsin L'esame del ddl delega di riforma della pubblica amministrazione riprenderà domani l'iter in Aula a Palazzo Madama. Dopo sette mesi di lavoro, la commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato la scorsa settimana il testo che, rispetto alle origini, è stato profondamente modificato. Anche se si tratta solo della prima lettura, il governo, ha manifestato la volontà di chiudere tutto entro la pausa estiva.
Tra le novità che hanno ricevuto il disco verde dalla Commissione Affari Costituzionali c'è anche il tema riguardante i segretari comunali con la conferma della loro abolizione ma solo al termine di un periodo transitorio. È questa la mediazione raggiunta in Commissione Affari costituzionali, una sorta di "soluzione ponte" come ha spiegato il relatore, Giorgio Pagliari: «in sede di prima applicazione, per tre anni, le funzioni in questione verranno affidate ai dirigenti del ruolo unico provenienti dall'albo dei segretari comunali». In pratica l'abolizione dei segretari comunali e provinciali scatterà di fatto solo fra tre anni anche se formalmente i 3.669 dirigenti in questione confluiranno subito nel nuovo ruolo unico degli enti locali.
Per ora, quindi, i segretari, il cui Albo viene cancellato, continueranno a svolgere le loro funzioni per le amministrazioni di appartenenza: attuazione dell'indirizzo politico, coordinamento dell'attività amministrativa e controllo di legalità dell'azione amministrativa, compresa l'attività di rogito per la quale sono stati cancellati i vecchi compensi.
«Sui segretari comunali c'è stata un'ampia discussione e il relatore» ha presentato «la riformulazione» di una proposta la quale «scinde tra la figura del segretario comunale, che viene abolita confluendo nel ruolo unico della dirigenza, e le sue funzioni di legalità amministrativa, che invece vengono mantenute» ha spiegato ieri il ministro della Semplificazione e della Pa, Marianna Madia. Secondo il M5S l'abolizione della figura è invece "inopportuna" in quanto il compito del segretario comunale è di presidio della legalità nonchè garanzia dell'autonomia dell'amministrazione nei confronti dell'autorità politica.
Tra le altre novità nel testo si prevede che i Comuni Capoluogo di Provincia e i Comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti, in assenza di specifiche professionalità interne all'Ente, potranno reclutare il dirigente apicale anche al di fuori del ruolo unico, "purché in possesso di adeguati requisiti culturali e professionali". Per contenere la spesa pubblica si prevede, inoltre, per i comuni di minori dimensioni demografiche, l'obbligo di gestire la funzione di direzione apicale in via associata.
seguifb
Zedde
Pensioni, il riscatto della laurea avvicina l'uscita. Ecco le condizioni e i requisiti
Con il riscatto degli studi universitari è possibile non soltanto avvicinare l’età pensionistica, ma anche aumentare il montante contributivo e ricevere di conseguenza un trattamento previdenziale più sostanzioso.
Kamsin In un contesto, come quello attuale, in cui ad ogni nuova riforma del sistema previdenziale e assistenziale si allungano sempre di più i tempi per accedere alla pensione, un tema che torna prepotentemente di moda fra gli italiani (specialmente se neo-laureati) è il c.d. “riscatto della laurea”.
Tale meccanismo, in particolare, ha un duplice peso ai fini pensionistici, poiché riguarda sia l’ammontare dell’importo della pensione che si andrà a percepire, sia l’anticipazione dei tempi di pensionamento. Un’opportunità, questa, purtroppo segnata dal Governo tecnico del Professor Monti, che con la Manovra “Salva-Italia” (L. n. 214/2011) ha profondamento mutato le aspettative dei lavoratori italiani, costretti ad andare in pensione sempre più tardi.
Purtroppo i costi da sostenere – come illustreremo in seguito - non sono esigui, rendendo il riscatto un lusso irragionevolmente esoso. Un privilegio elitario, quasi irraggiungibile per l’italiano medio.
Con l’introduzione della L. n. 247/2007 – che andremo a illustrare nella trattazione - sono state introdotte importanti novità in tema di “riscatto della laurea”, in quanto essa da una parte ha allargato la platea dei soggetti che possono riscattare i periodi di studio, dall’altra ha semplificato le modalità di versamento del contributo.
Ma quali sono le tempistiche per farlo? Chi ne può fare richiesta? Quanto costa? A queste ed a molte altre domande intendiamo dare una risposta, affrontando alcuni aspetti dell’argomento in questione.
Indice
Il Riscatto della Laurea
I periodi Riscattabili
La legge 247/07
Il Calcolo dell'onere di riscatto
Aspetti Fiscali
Il Mancato Pagamento del Contributo
La presentazione della Domanda
Modalita' di Pagamento
Cambio Facoltà
Convenienza
Il Riscatto della Laurea
Innanzitutto, è opportuno spiegare cosa s’intende per “riscatto della laurea”. In poche parole, esso altro non è che un meccanismo attraverso il quale i soggetti possono - se in possesso di un titolo di studio - riscattare a proprie spese gli anni di studio universitari per avvicinare non soltanto l’età pensionistica, ma anche per aumentare il montante contributivo e ricevere di conseguenza un trattamento previdenziale più sostanzioso.
Di sicuro si tratta di un’opportunità in più a disposizione dell’interessato, in quanto consente di riconoscere alcuni periodi della vita (come per es. i periodi di studio) scoperti dal punto di vista previdenziale.
I Periodi Riscattabili
Affinché l’interessato possa riscattare il corso legale di laurea, è opportuno ovviamente essere in possesso di un titolo di studio. Ma quali possono essere riscattati? E quali invece, restano esclusi?
Dunque, possono essere riscattati:
- i diplomi universitari (corsi di durata non inferiore a due anni e non superiore a tre);
- i diplomi di laurea (corsi di durata non inferiore a quattro e non superiore a sei anni);
- i diplomi di specializzazione che si conseguono successivamente alla Laurea ed al termine di un corso di durata non inferiore a due anni;
- i dottorati di ricerca i cui corsi sono regolati da specifiche disposizioni di legge;
- i titoli accademici introdotti dal decreto n. 509 del 3 novembre 1999 cioè:
- Laurea (L), al termine di un corso di durata triennale;
- Laurea specialistica (LS), al termine di un corso di durata biennale cui si accede con la laurea.
Possono essere altresì ammessi al riscatto, i diplomi rilasciati dagli Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM), con riferimento ai nuovi corsi attivati a decorrere dall’anno accademico 2005/2006, e che danno luogo al conseguimento dei seguenti titoli di studio:
- diploma accademico di primo livello;
- diploma accademico di secondo livello;
- diploma di specializzazione;
- diploma accademico di formazione alla ricerca.
Sul punto, è bene tenere presente che:
- il riscatto può riguardare tutto il periodo o singoli periodi;
- a partire dal 12 luglio 1997 è data la facoltà di riscattare due o più corsi di laurea, anche per i titoli conseguiti anteriormente a questa data;
- non è possibile chiedere la rinuncia o la revoca della contribuzione da riscatto laurea legittimamente accreditata a seguito del pagamento del relativo onere.
Viceversa, restano esclusi dalla possibilità di riscatto:
- i periodi di iscrizione fuori corso;
- i periodi già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto.
Le novità introdotte dalla legge 247/07
Come accennato in precedenza, un ruolo sicuramente importante viene occupato dalla L. n. 247/2007, la quale ha introdotto – a decorrere dal 1.1.2008 – interessanti novità in merito alle modalità di versamento.
Il contributo, infatti, potrà essere versato in un’unica soluzione oppure in 120 rate mensili senza l'applicazione di interessi per la rateizzazione. È concessa la possibilità di estinguere il debito anche con un numero di rate inferiori e comunque senza applicazione di interessi.
Altra novità introdotta dalla menzionata legge, riguarda la facoltà di poter riscattare la laurea anche da parte di soggetti non iscritti ad alcuna forma obbligatoria di previdenza che non abbiano ancora iniziato l'attività lavorativa in Italia o all’estero.
Per questi ultimi, in particolare, il costo da sostenere per il riscatto è dato dal versamento di un contributo per ogni anno da riscattare, pari al livello minimo imponibile annuo degli artigiani e commercianti (pari a 15.548 euro per l’anno 2015) moltiplicato per l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche dell’Assicurazione generale obbligatoria, vigenti nell’anno di presentazione della domanda (pari al 33% per quest’anno).
Pertanto, chi intendesse riscattare una laurea triennale, per quest’anno, deve pagare:
- 15.548 x 33%= 5.130,84 euro;
- 5.130,84 x 3= 15.392,52 euro (costo totale del riscatto).
Il Calcolo dell'Onere di Riscatto
Il costo da riscatto varia a seconda che si intendano riscattare periodi anteriori al 31 dicembre 1995 (metodo retributivo) oppure periodi posteriori al 1° gennaio 1996 (metodo contributivo).
Nel primo caso,si applicano i criteri previsti dall’art. 13 della L. n. 1338/1962 (riserva matematica). Con questo termine tecnico s’intende la quantità di denaro necessaria per coprire il maggior impegno finanziario che l'INPS assume su di sé. L’Ente, infatti, dovrà corrispondere una pensione di maggior importo derivante dall'aumento dell'anzianità assicurativa determinata dal riscatto.
In particolare, la base matematica per la determinazione del costo di un riscatto è costituita da specifiche tabelle (aggiornate periodicamente), che tengono conto di alcuni fattori in base a rilevazioni demografiche, previdenziali e dalla menzionata "riserva matematica".
L’onere da versare sarà dato davari fattori quali: l’età, il periodo da riscattare, il sesso e le retribuzioni percepite negli ultimi anni.
È chiaro dunque, che l’importo della somma da versare per il periodo di laurea non è uguale per tutti, essendo diverso da caso a caso in base ai menzionati fattori.
Si ricorda che tale meccanismo può essere applicato solamente da chi abbia maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31.12.1995, anche se i periodi da riscattare si collochino successivamente alla suddetta data.
Nel secondo caso invece,la quota di pensione va calcolata con il sistema contributivo, data dalla moltiplicazione fra la base dell’aliquota contributiva obbligatoria applicata alla retribuzione lorda e il numero degli anni da riscattare.
L’aliquota contributiva da prendere a riferimento è quella vigente alla data di presentazione della domanda, pari:
- al 33% per i dipendenti;
- al 27,72% per i liberi professionisti senza cassa;
Facciamo un esempio. Ipotizziamo che un soggetto voglia riscattare n. 3 anni di laurea successivi al 31/12/1995. Considerando una retribuzione lorda pari a € 30.000, l’importo da pagare è il seguente:
- € 30.000 x 33%= € 9.900 annuo;
- € 9.900 x 3= € 29.700 costo totale del riscatto.
Zedde
Aspetti Fiscali
Ai fini della valutazione di convenienza del riscattante, occorre sicuramente tenere conto della componente fiscale, che assume un ruolo fondamentale nella scelta. Infatti:
- per i lavoratori, il contributo è fiscalmente deducibile (cioè è dato dall’aliquota marginale IRPEF pagata dall’interessato);
- per i disoccupati invece, il contributo è detraibile nella misura del 19% dell’importo stesso, dall’imposta dovuta dai soggetti nei confronti dei quali l’interessato risulti fiscalmente a carico. Si pensi ad esempio ai giovani che in attesa di trovare un lavoro, vedono riscattarsi il periodo di laurea da propri genitori, fruendo così della relativa detrazione
Il Mancato Pagamento del Contributo
Il mancato pagamento del contributo è considerato come rinuncia alla domanda, la quale viene dunque archiviata dall’INPS senza ulteriori adempimenti.
Tuttavia, la rinuncia non preclude la possibilità di presentare una nuova domanda di riscatto per lo stesso titolo e periodo. In tal caso l’onere di riscatto verrà rideterminato con riferimento alla data della nuova domanda.
Per le rate successive alla prima, il loro pagamento effettuato oltre la scadenza, ma con un ritardo non superiore a 30 giorni, viene consentito per non più di cinque volte. Ulteriori versamenti effettuati oltre i termini assegnati, potranno essere - su esplicita richiesta dell’interessato - considerati come nuova domanda, e comporteranno la rideterminazione dell’importo da pagare. Mentre i pagamenti parziali o un minor numero di rate entro i termini assegnati, verranno convalidati determinando in proporzione l'accredito del corrispondente periodo assicurativo.
Presentazione della Domanda
La domanda può essere presentata in via telematica direttamente sul sito dell’INPS (www.inps.it), previo possesso del PIN, seguendo il percorso: “Per Tipologia di Utente” -> “Cittadino” -> “Riscatti di Laurea”.
Essa può essere inoltrata senza limiti di tempo ed occorre comprovare:
- il conseguimento del diploma di laurea;
- gli anni accademici durante i quali è stata frequentata la facoltà;
- gli anni fuori corso;
- la durata del corso legale di laurea.
Qualora invece l’utente sia impossibilitato a utilizzare strumenti informatici, può in alternativa telefonare al Contact Center Integrato chiamando da rete fissa il numero verde 803164 oppure da telefono cellulare il numero 06164164 a pagamento secondo il piano tariffario del proprio gestore telefonico.
Come terza opzione, l’utente può recarsi presso un Patronato che lo guiderà alla compilazione della domanda secondo le modalità già in uso.
Modalita' di Pagamento
Il contributo può essere pagato utilizzando i seguenti canali:
- bollettino MAV;
- online, sul sito dell’INPS, nella sezione “Servizi online” -> “Per tipologia di utente” -> “Cittadino” -> “Pagamento contributi riscatti ricongiunzioni e rendite”, utilizzando la carta di credito.
Cambio di Facolta'
Ultimo chiarimento in ordine cronologico dell’INPS (messaggio n. 5811/2014) riguarda il particolare caso dello studente che passa da una facoltà ad un’altra. Il dubbio, in tal senso, riguarda gli anni da poter ammettere a riscatto.
Sul punto, l’INPS ha chiarito che gli anni da considerare saranno rappresentati da quelli di corso della nuova facoltà, presso la quale è stato conseguito il titolo, nonché degli anni di corso della facoltà di provenienza, individuati questi ultimi, secondo la scelta degli interessati.
A tal proposito, è bene specificare che tale riconoscimento non viene effettuato di norma con riferimento a specifici anni di corso della facoltà di provenienza, bensì agli studi considerati nel loro complesso.
Si specifica inoltre, che il numero complessivo degli anni da ammettere a riscatto è quello corrispondente alla durata legale del corso che ha dato luogo al conferimento della laurea, con esclusione, in ogni caso, degli anni fuori corso.
Per comprendere meglio quanto appena detto, si illustra il seguente esempio.
Un soggetto risulta iscritto nell’anno accademico 1968-1969 al corso di laurea in Scienze Politiche e nell’anno accademico 1972-1973 (senza conseguire il diploma di laurea) chiede ed ottiene il trasferimento alla Facoltà di Lettere (della durata legale di anni quattro) dove viene iscritto direttamente al terzo anno, conseguendo la laurea nell’anno 1976.
Nel caso ipotizzato, potranno essere ammessi al riscatto, ai sensi del Decreto Legislativo n. 184/97, quattro anni complessivi, di cui due del corso di laurea in Lettere (anni accademici 1972-73, e 1973-74, corrispondenti al terzo e quarto anno. Si escludono il 1974-1975 e 1975-76 in quanto fuori corso) e gli altri due da individuarsi, a scelta dell’interessato, tra i quattro anni del precedente corso legale di laurea in Scienze Politiche.
Da notare, infine, che la scelta dell’interessato deve riguardare gli anni in corso del precedente periodo legale di laurea.
La convenienza
Come precisato in precedenza, il riscatto della laurea ha un doppio obiettivo:
- anticipare l’età pensionistica;
- aumentare il montante contributivo e quindi ricevere una pensione più cospicua.
Ma il dubbio in questi casi è “se”, a parità di risultato da raggiungere, conviene riscattare gli anni studio o se piuttosto vi siano margini di convenienza maggiori nel rendere più consistente l’investimento in una previdenza integrativa.
Quali sono gli elementi da considerare?
Ebbene, ipotizzando un metodo di calcolo contributivo (riscatti post 1° gennaio 1996) bisogna sicuramente tenere conto di due fattori:
- il “PIL”. Il metodo contributivo infatti, rivaluta i contributi in base al prodotto interno lordo degli ultimi cinque anni, e quindi si è soggetti all’andamento economico del Paese. Il rischio, in tal caso, è quello di vedersi rivalutare la propria pensione con un coefficiente di rivalutazione negativa;
- le “riforme politiche”. Il nostro Paese è spesso soggetto a numerosi mutamenti, specie nel sistema previdenziale. Basta ricordare che la Manovra “Salva-Italia” (L. n. 214/2011) aveva ai tempi proposto una norma – successivamente cancellata – che prevedeva solo la rivalutazione dell’assegno pensionistico in caso di riscatto della laurea, e non anche l’avvicinamento dell’età pensionistica.
Con i fondi pensione, invece, si ha una ripartizione più efficace del rischio previdenziale in quanto bisogna tenere conto di una normativa differente rispetto a quella del sistema obbligatorio. Si pensi ad esempio alle forme pensionistiche complementari nelle quali è possibile anticipare parte dell’importo a determinate condizioni.
Tuttavia, anche la disciplina della previdenza complementare può subire mutamenti da parte di riforme politiche. Tanto per fare un esempio, la recente Legge di Stabilità 2015 (L. n. 190/2014) ha incrementato l’aliquota sui rendimenti dall’11% al 20%.
Confrontando, invece, le due soluzioni di investimento da un punto di vista fiscale, avremo una situazione di neutralità fiscale, considerato che entrambi i costi sono deducibili (entro il tetto di 5.164,57 euro).
Differente è il discorso se a pagare il riscatto della laurea sia un genitore per il proprio figlio; in tal caso, come descritto in precedenza, si ha diritto ad una detraibilità del 19%.
Per quanto concerne invece il regime di tassazione nel caso della previdenza di base, si applica una “tassazione ordinaria progressiva”, mentre la rendita integrativa è soggetta ad imposta sostitutiva del 15%, la quale diminuisce dello 0,30% per ogni anno di durata superiore al quindicesimo con un minimo di nove. (come la vedi “per ogni anno successivo al quindicesimo, e un minimo di nove”).
Alla luce di quanto appena illustrato, è possibile affermare che non esiste una scelta standard di convenienza, ma una serie di considerazioni piuttosto soggettive.
seguifb
Zedde
Dis-Coll 2015, pronto al debutto il nuovo ammortizzatore per i parasubordinati
Il Nuovo assegno di disoccupazione per i lavoratori parasubordinati sostituirà l' indennità una tantum prevista dall'attuale normativa. Una circolare Inps per attuare il nuovo strumento.
Kamsin Servirà una circolare dell'Inps per far decollare la dis-coll, la nuova indennità di disoccupazione coniata dall'articolo 15 del decreto legislativo che riforma degli ammortizzatori sociali (Dlgs 22/2015) riconosciuta ai lavoratori parasubordinati. Se infatti la Naspi, la tutela per i lavoratori dipendenti partirà dal 1° maggio, l'indennità per i parasubordinati è già formalmente in vigore anche se il ritardo nella pubblicazione delle istruzioni Inps per presentare la domanda rende di fatto "inattiva" la nuova tutela.
L'indennità è riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, con esclusione degli amministratori e dei sindaci, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata dell'INPS, che non siano pensionati e che non siano titolari di partita IVA, in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione involontaria verificatisi a decorrere dal gennaio 2015 e fino al 31 dicembre 2015. La nuova indennità, che attualmente è prevista in forma sperimentale solo per l'anno 2015 (anche se le intenzioni sarebbero di estenderla anche oltre) sostituirà l'indennità una tantum per i parasubordinati prevista dalla attuale disciplina.
Per avere diritto alla Dis-Coll è necessario possedere, congiuntamente, i seguenti requisiti: a) stato di disoccupazione al momento della domanda di prestazione; b) almeno tre mesi di contribuzione nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio dell'anno solare precedente la cessazione dell'attività lavorativa e la cessazione dell'attività stessa; c) almeno un mese di contribuzione, oppure un rapporto di collaborazione di durata almeno pari a 1 mese dal quale sia derivato un reddito almeno pari alla metà dell'importo che dà diritto all'accredito di 1 mese di contribuzione, nell'anno solare in cui si verifica la cessazione dall'attività lavorativa.
Sulla misura dell'assegno che va in tasca ai disoccupati, si applicano le stesse regole stabilite per i lavoratori dipendenti con la Naspi. La misura è pari al 75% dei compensi fino a 1.195 euro al mese e poi scende al 25% sulle quote dei compensi superiori a tale importo. In ogni caso l'assegno massimo è di 1.300 euro lordi al mese. La norma però prevede una riduzione: a partire dal primo giorno del quarto mese l'assegno in pagamento viene ridotto del 3% per ogni mese.
L'assegno sarà pagato per un numero di mesi pari alla metà di quelli che nel 2014 sono stati coperti integralmente con i contributi Inps. Ad esempio, se sono stati versati contributi per otto mesi l'indennità Inps sarà corrisposta per quattro mesi. Il tetto massimo è pari a sei mesi.
A differenza di quanto previsto con la Naspi per i periodi di fruizione della Dis-Coll non sono riconosciuti i contributi figurativi e per avere diritto all'indennità i lavoratori dovranno presentare istanza all'Inps entro il termine di decadenza di 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Il Ministro del Lavoro ha, comunque, rassicurato nel corso di una interrogazione parlamentare che anche chi ha perso il lavoro agli inizi del 2015, e che quindi non ha potuto fare domanda entro tale termine per la mancanza delle istruzioni operative dell'Inps, avrà termini piu' estesi e potrà essere ammesso all'indennità.
seguifb
Zedde
Giorgio Gori - Patronato Inas
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Riforma Pensioni, Damiano: si acceleri sui pensionamenti flessibili
"Boeri vuole utilizzare la trasparenza per giustificare un intervento sulle prestazioni oltre i 2mila euro lordi al mese." "La strada da seguire è però quella dei pensionamenti flessibili".
Kamsin "L'operazione trasparenza, avviata dal presidente dell'Inps, Tito Boeri, sui conti previdenziali delle diverse categorie ha sicuramente il pregio di riportare in primo piano il meccanismo che per decenni ha regolato il calcolo delle pensioni: quel metodo retributivo, basato non sui contributi versati, ma sugli ultimi stipendi o redditi, con tutte le incongruenze incorporate". Lo ricorda Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati in una nota. "Ma, a ben vedere, è un po' come scoprire l'acqua calda. A meno che l'obiettivo non sia quello di far passare nell'opinione pubblica l'idea che sia possibile tosare gli assegni determinati con questo sistema di calcolo".
Una tesi molto cara allo stesso Boeri, firmata con Fabrizio e Stefano Patriarca, - precisa Damiano - proponeva di chiedere un contributo di equità basato sulla differenza tra pensioni percepite e contributi versati, limitatamente a chi percepisce pensioni di importo elevato. Il punto è - ricorda Damiano - che per «importo elevato» si intendono gli assegni appena sopra i 2.000 euro mensili lordi. In pratica, si dovrebbero ricalcolare (in modo virtuale), con il metodo contributivo (che mette in relazione l'importo dell'assegno con i contributi versati), tutte le prestazioni previdenziali liquidate nei decenni passati. E, a quelle comunque superiori a 2mila euro. Si tratta di una ipotesi che non è condivisibile in quanto mette le mani in tasca ad oltre 2 milioni di cittadini con redditi medio-bassi.
Secondo l'ex ministro del Lavoro il Governo deve piuttosto chiarire le sue "intenzioni sulle correzioni alla legge Fornero che va resa "più flessibile" in uscita". In questo senso - ricorda Damiano - la Commisione Lavoro della Camera dei Deputati ha riavviato il confronto sui diversi disegni di legge volti ad introdurre maggiore flessibilità nell'ordinamento previdenziale pubblico. Vogliamo ora sapere cosa ne pensa il Governo e per questa ragione l'esame sarà arricchito da un ciclo di audizioni informali con il presidente dell'Inps e con il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti" ha concluso Damiano.
Le pensioni Flessibili. Due le ipotesi sul tavolo della XI Commissione, entrambe promosse dalla minoranza dem. Da un lato il ddl 857 che, com'è noto, prevede uscite a partire dal perfezionamento di 62 anni e 35 anni di contributi (una sorta di quota 97) al prezzo, però, di una penalità dell'8% da applicarsi sulle quote retributive dell'assegno. Taglio che è destinato a ridursi del 2% per ogni anno sino ad azzerarsi al raggiungimento dell'età di 66 anni (in pratica la penalità sarebbe del 6% all'età di 63 anni; del 4% all'età di 64 anni e del 2% all'età di 65 anni. L'altra è quella sulla quota 100, il cui ddl è stato depositato proprio questa settimana, che consentirebbe il pensionamento a partire da 62 anni di età e 38 di contributi ma senza applicazione di alcuna decurtazione.
Lavoratrici. Tra le proposte all'esame della Commissione c'è anche la revisione dell'accesso al pensionamento di vecchiaia da parte delle lavoratrici con, peraltro, la possibilità di una proroga dell'opzione donna; delle agevolazioni contributive per le lavoratrici madri e della concessione di alcuni benefici previdenziali ai lavoratori che assistono familiari con disabilità. L'istruttoria legislativa sui provvedimenti è tuttavia ancora agli inizi e dovrà proseguire nelle prossime settimane.
seguifb
Zedde
Congedi Papa', al padre spettano sino a 3 giorni di astensione dal posto di lavoro
La misura è stata introdotta dalla legge 92/2012 ed attribuisce ai padri la possibilità di assentarsi dal lavoro sino ad massimo di tre giorni entro i cinque mesi dalla nascita del figlio o dall'affidamento o dall'adozione.
Kamsin Anche quest'anno resta in vigore il regime sperimentale introdotto con la legge 92/2012 che consente ai padri di fruire fino a tre giorni (il primo giorno è obbligatorio, gli altri due sono facoltativi) di astensione dal lavoro per stare accanto ai figli.
La misura prevede che il padre, lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, abbia l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno. Tale diritto si configura come un diritto autonomo rispetto a quello della madre e può essere fruito dal padre lavoratore anche durante il periodo di astensione obbligatoria post partum della madre. Per la fruizione dello stesso, al padre è riconosciuta un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione.
La fruizione di tale periodo di astensione dal lavoro non toglie nulla alla madre in quanto si aggiunge a quella della donna. Attenzione: questo diritto è riconosciuto dalla legge solo ai dipendenti del settore privato (Inps) e non anche a quelli del settore pubblico. Perciò i dipendenti dello Stato, degli enti locali, della sanità non hanno questa possibilità.
L'uomo può chiedere altri due giorni di congedo, ma stavolta la richiesta è solo facoltativa. Il padre lavoratore dipendente, infatti, sempre entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, può astenersi per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest'ultima. Al padre è riconosciuta un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione in relazione al periodo di astensione. In pratica, il tal caso, i giorni del papà non si aggiungono a quelli della mamma; perciò la richiesta dell'uomo sottrae un pari periodo al congedo della donna. Per questo è necessario che ci sia una dichiarazione scritta della donna che attesti di essere d'accordo. In questa ipotesi la donna dovrà rientrare al lavoro uno o due giorni prima del preventivato.
Per ottenere il congedo il padre deve presentare domanda al proprio datore di lavoro con un preavviso di almeno 15 giorni. Durante questo periodo il lavoratore ha diritto anche ai contributi figurativi senza avere alcuna perdita ai fini della futura pensione. I tre giorni qui descritti, inoltre, non interferiscono con il diritto del padre di chiedere il congedo parentale, vale a dire il periodo di assenza facoltativa dopo il termine dell'assenza obbligatoria della madre. Congedo che tra padre e madre può arrivare ai 10 mesi complessivi.
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Giorgio Gori - Patronato Inas
Cig in Deroga, Poletti ammette anche i dipendenti degli studi professionali
Il Consiglio di Stato ha ritenuto «convincenti» le argomentazioni di Confprofessioni soprattutto «per i profili relativi alla eventuale discriminazione operata nei confronti della categoria dei liberi professionisti e del personale che lavora presso di loro, tenuto conto dei vincoli comunitari in materia di definizione di impresa».
Kamsin Il ministero del Lavoro ha riammesso ufficialmente i dipendenti degli studi professionali alla Cassa integrazione in deroga, strumento da cui erano stati esclusi con il decreto interministeriale del 1° agosto 2014. La decisione fa seguito all'ordinanza dell'u marzo scorso con cui il Consiglio di Stato ha accolto ricorso cautelare proposto da Confprofessioni nei confronti del Tar del Lazio, a cui l' associazione si era rivolta in precedenza con un'istanza di sospensiva del provvedimento.
Ne ha dato notizia lo stesso Dicastero di Via Veneto con una nota della Direzione generale degli ammortizzatori sociali. Nel documento il Ministero del lavoro ha infatti chiesto a regioni e Inps «di dare puntuale esecuzione a quanto disposto dal Consiglio di stato, consentendo l'accesso al trattamento di Cig in deroga» agli studi professionali.
La vicenda. La questione risale al nuovo regolamento su Cig e mobilità in deroga (decreto prot. n. 83473 del 1° agosto 2014) in cui è stato scritto che chiaramente che Cig e mobilità spettano esclusivamente «alle imprese» e non agli studi professionali.
La partita sembrava ormai chiusa a seguito della sentenza del Tar Lazio n. 6365 del 2014, che ha respinto l'istanza cautelare proposta da Confprofessioni contro il ministero del lavoro ai fini della sospensione del provvedimento. E invece si è riaperta a seguito di un secondo appello, sempre di Confprofessioni al Consiglio di stato, e con i giudici di palazzo Spada che emettono l'ordinanza n. 1108/2015 in cui ritengono «convincenti» le tesi di Confprofessioni sul pericolo di discriminazione dei professionisti rispetto alle imprese.
La decisione dei giudici amministrativi di secondo grado, pur non chiudendo definitivamente la controversia - per la quale si tratterà di attendere la decisione, stavolta sul merito della questione, da parte del Tar e un eventuale nuovo ricorso al Consiglio di Stato - chiude, per il momento, l'annosa questione per i professionisti. Che, pertanto, possono chiedere e ottenere gli interventi di cassa integrazione guadagni con riferimento a situazioni di crisi occupazionali per i propri dipendenti.
«Per noi si è trattato di una battaglia sacrosanta contro un atto discriminatorio nei confronti dei professionisti e i loro dipendenti di studio, così come riconosciuto anche dal Consiglio di stato.», spiega il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. «A questo punto, tocca alle regioni recepire l'ordinanza del Consiglio di stato, così come richiesto dal ministero del lavoro e disporre le risorse finanziarie ancora disponibili per concedere la completa erogazione dei trattamenti» aggiunge il presidente di Confprofessioni, sottolineando che «alcune regioni, come Marche, Lombardia e Veneto, si sono già attivate per consentire ai professionisti l'accesso alla Cig in deroga. Adesso attendiamo fiduciosi la sentenza di merito del Tar Lazio, auspicando che si possa mettere la parola fine a questa vicenda».
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Riforma Pensioni, Damiano: Governo non tocchi gli assegni medio-bassi
Ultim'ora
Il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Damiano (Pd), critica le modifiche al sistema pensionistico, annunciate dal numero uno di Inps, Boeri. "L'operazione trasparenza dell'Inps" ha "l'obiettivo di tagliare le pensioni a 2 milioni di cittadini, il ceto mediobasso dei pensionati che prende assegni da 2mila euro lordi in su", scrive in una nota il parlamentare della minoranza dem. "Il governo chiarisca le sue intenzioni sulle correzioni alla legge Fornero", che, spiega Damiano, va resa "più flessibile" in uscita. "In tal senso, noi in Commissione abbiamo ripreso l'esame delle proposte di legge in materia di flessibilità in uscita a partire dai 62 anni di età" ha concluso Damiano.
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Zedde
Pensioni, così le regole per ottenere il supplemento
Il Supplemento è un incremento della propria pensione che viene liquidato a coloro che hanno effettuato il versamento di contributi anche in periodi successivi alla data di decorrenza di percezione del trattamento pensionistico.
Kamsin Con le ultime riforme è oggi possibile, per un pensionato a carico della previdenza pubblica, continuare tranquillamente a lavorare cumulando i redditi da lavoro con la prima pensione. Ma cosa succede ai contributi versati durante questo periodo? Anche se si tratta di pochi contributi, magari solo sei mesi, per fortuna queste somme non vengono perse. Anzi. Possono dare luogo ad una ulteriore fetta di rendita, seppur di piccola entita', che si aggiunge a quella già liquidata in via principale.
Quando si può chiedere il supplemento? Nella previdenza pubblica esistono due termini per poterlo chiedere. Il primo è il termine ordinario ed è pari a cinque anni dalla decorrenza della pensione principale. Ad esempio un lavoratore che è andato in pensione il 1° gennaio 2014 e che ha lavorato successivamente a tale data potrà chiedere il supplemento a partire dal 1° gennaio 2019 ed un altro ancora dal 1° gennaio 2024.
Il lavoratore ha inoltre la facoltà di richiedere per una sola volta la liquidazione del supplemento – sia esso il primo che uno dei successivi – quando siano trascorsi soltanto due anni dalla decorrenza della pensione o dal precedente supplemento; in tal caso però è richiesta anche una ulteriore condizione: e cioè che abbia raggiunto l’età prevista per il pensionamento di vecchiaia nella gestione in cui si chiede il supplemento. Questo requisito è sempre soddisfatto se la prestazione principale ottenuta dal lavoratore è un trattamento di vecchiaia; mentre potrebbe non essere soddisfatto qualora il lavoratore sia andato in pensione con una prestazione di anzianità (oggi denominata pensione anticipata).
Perciò, tornando all' esempio, chi è andato in pensione nel 2014 potrà chiedere il supplemento, per una sola volta, a partire dal 1° gennaio 2016 a condizione però di avere 66 anni e 7 mesi (65 anni e 7 mesi se lavoratrice dipendente o 66 anni e 1 mese se lavoratrice autonoma). Naturalmente un secondo supplemento potrà essere ottenuto dopo 5 anni cioè dal 1° gennaio 2021, trascorso il termine ordinario.
Nella gestione separata i supplementi possono essere liquidati sempre a prescindere del compimento dell'età pensionabile di vecchiaia. La liquidazione dunque può essere chiesta, per una sola volta, rispettando il termine di due anni dalla data di decorrenza della pensione o del supplemento e poi dopo 5 anni.
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A cura di Paolo Ferri, Patronato Acli