Siamo in pieno luglio, tra poco più di cinque mesi ritorna, anche perché in effetti non è mai stata messa nel cassetto, l’odiata legge Fornero con la sua rigidità che tutti a parole vogliono cambiare ma che poi di fatto è la legge di riferimento del sistema previdenziale italiano.
Esaurita la quota 100 con numeri sensibilmente inferiori a quelli previsti ed in corso di esaurimento l’inutile quota 102 ci si trova, nuovamente, alle prese con la necessità di dare ai cittadini italiani una nuova, equa e strutturale riforma previdenziale.
L’argomento previdenziale è da sempre motivo di scontro sia tra le varie forze politiche che con l’UE che da sempre esorta i vari governi italiani a ridurre la spesa previdenziale che a parere loro è la seconda più alta in ambito europeo. Si comprende, pertanto, come le pensioni diventeranno ben presto uno degli argomenti principe della prossima campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 2023.
Tra le tante proposte sul tappeto in vista dell’autunno una arriva dal basso ed offerta dal gruppo facebook UTP Uniti per la Tutela del Diritto alla Pensione che affronta in maniera intelligente e del tutto nuova il problema della flessibilità in uscita concedendo un amplissimo “range” di uscita ai lavoratori a partire dai 62 anni fino ad arrivare ai 70.
L’idea è di spostare l’età della pensione di vecchiaia a 66 anni e operare delle penalizzazioni e delle incentivazioni dell’1,5% annue a seconda che un lavoratore decida di lasciare prima il mondo del lavoro o invece scelga di rimanere oltre l’età ordinamentale della pensione.
Le sole condizioni per accedere a questa opzione sarebbero l’aver maturato almeno 20 anni di versamenti effettivi e avere un assegno previdenziale che sia almeno 1,7 volte la pensione sociale, circa 780 € mensili, più o meno l’importo massimo del reddito e della pensione di cittadinanza. Conseguiti questi due parametri qualora un lavoratore si trovi tra i 62 e i 70 anni potrebbe decidere autonomamente in qualsiasi momento quando lasciare il mondo del lavoro.
In questo modo il costo della riforma sarebbe molto basso perché il maggior costo che si avrebbe a causa delle persone che andassero in pensione prima di 66 anni e inoltre leggermente penalizzate, sarebbe compensato, almeno in parte, da quanti resterebbero sul posto di lavoro oltre l’età prevista e di conseguenza usufruirebbero dell’assegno previdenziale per meno anni.
Inoltre, verrebbe affrontata anche la problematica dei pensionati, che sono la categoria più fragile e quella che sta subendo più di tutti gli effetti della crisi economica che stiamo vivendo, attuando l’indicizzazione al 100% delle pensioni in seguito all’inflazione reale, un’estensione della no tax area fino a 10.000 €, ed una consistente riduzione delle addizionali regionali e comunali per redditi imponibili fino a 35.000 €.