La questione
La questione era nata a seguito della domanda volta a conseguire la pensione di anzianita' da parte di un lavoratore dipendente che aveva dichiarato la cessazione del rapporto di lavoro in data 31 marzo 2001 mentre in realtà esso era ripreso nelle identiche modalità con il medesimo datore di lavoro il giorno successivo. L'Inps aveva concesso la pensione di anzianita' ma successivamente, quando in data 13 marzo 2006 l'interessato aveva presentato domanda di supplemento della pensione in godimento in forza dei contributi versati in seguito al pensionamento l'Istituto, dopo i conseguenti accertamenti, l'Inps aveva revocato la pensione di anzianità avendo riscontrato che la ripresa dell'attività lavorativa era avvenuta senza soluzione di continuità violando il disposto dell'articolo 1, co.7 del Dlgs 503/1992 e i dettami della Circolare Inps 89/2009 che chiedeva, almeno, un giorno di interruzione tra la cessazione del precedente rapporto ed il nuovo rapporto lavorativo. In occasione della revoca della pensione di anzianita' l'Istituto aveva preteso anche la restituzione di tutte le mensilità corrisposte nel periodo in questione essendosi formato un indebito di diverse decine di migliaia di euro.
La diatriba è sfociata in un contenzioso legale in cui le Corti di Merito, pur avendo acclarato la legittimità della revoca della pensione di anzianita', hanno dichiarato irripetibili le somme corrisposte nel periodo in questione essendo pacifico che l'Inps fosse stato messo a conoscenza della prosecuzione del rapporto di lavoro.
Contro la sentenza l'Istituto ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due ordini di motivazioni. Secondo l'Inps, infatti, data l'inesistenza del titolo e del diritto a pensione, i ratei indebitamente versati al pensionato erano da dichiarare ripetibili, dovendo applicarsi in via analogica la stessa soluzione che la giurisprudenza (Sezioni Unite n. 12194 del 13/8/2002) aveva individuato per il lavoratore licenziato che percepisca la pensione e poi venga reintegrato a seguito di dichiarazione di illegittimità del licenziamento ex art. 18 della legge n. 300/1970, essendo egli tenuto a restituire quanto percepito medio tempore a titolo di pensione. L'Inps indicava, inoltre, che la pretesa restitutoria non poteva fermarsi di fronte alla necessità della tutela del minimo vitale posto che il pensionato aveva continuato a percepire la retribuzione nel periodo in questione facendo sostanzialmente venire meno l'orientamento della più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 4085/2009).
La decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha smontato la tesi dell'Inps partendo dal presupposto che la disciplina applicabile alla fattispecie, costituita dall'art.13 I. 412/1991, è prevista anche nel caso in cui l'indebito si produca per mancanza del diritto a pensione e non soltanto in relazione al quantum della pensione. Secondo i giudici ""non si può quindi estendere al caso di specie la soluzione individuata nell'ipotesi in cui il diritto a pensione venga meno insieme al licenziamento, a seguito di reintegra ex art. 18 l. 300/1970, la quale non può essere considerata espressione di un principio di carattere generale o comunque idoneo a sovrapporsi sulla speciale disciplina di settore in discorso". Inoltre, condividendo la tesi delle Corti di Merito i giudici osservano che la normativa sull'indebito non consente la ripetibilità delle somme ove manchi il dolo dell'interessato; al quale è equiparata l'omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall'ente. Mentre nel caso di specie l'errore è da imputarsi all'Inps dato che la continuazione del rapporto era stata regolarmente comunicata all'Inps ed erano stati versati i relativi contributi; tutti fatti incompatibili con il diritto a pensione. Talchè il pensionato non aveva omesso di comunicare nulla. "Si tratta perciò - concludono i giudici - di un indebito dovuto ad errore imputabile all'Istituto, posto a conoscenza dei fatti relativi alla insussistenza dei requisiti per il diritto a pensione".
Infine quanto al secondo criterio per la tutela del minimo vitale la Corte osserva come l'art.13 della legge 412/1991 non attribuisca "alcuna rilevanza alle condizioni reddituali del pensionato percettore di prestazioni pensionistiche non dovute. Alle quali invece il legislatore ha attribuito rilievo con le leggi 23 dicembre 1996, n. 662 e 28 dicembre 2001, n. 448, attraverso una disciplina di carattere globalmente sostitutivo di quella prevista dalle disposizioni sopra richiamate, da applicarsi in via transitoria soltanto ai pagamenti indebiti di prestazioni previdenziali anteriori al 1996 ed al 2001". Talchè per i pagamenti indebiti di pensione effettuati dal 10 gennaio 2001 trova di nuovo applicazione la disciplina di regime di cui all'art. 13, I. 412/1991 in base alla quale non è consentito rendere incondizionata la ripetibilità dell'indebito per la sola presenza di determinate soglie di reddito del pensionato.