Come noto la legge 18/1980 prescrive per il conseguimento della prestazione l'accertamento di due ordini di condizioni che devono coesistere tra loro: a) il riconoscimento di una invalidità civile totale e permanente del 100% accompagnata; b) dalla impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore, ovvero dall'impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita e conseguente necessità di un'assistenza continua. Tale stato si realizza quando il soggetto riconosciuto invalido non riesce a compiere quelle azioni elementari che espleta quotidianamente un soggetto normale di corrispondente età e che rendono, pertanto, il minorato, bisognoso di assistenza. Ad esempio l'azione di vestizione, nutrizione o la deambulazione.
La valutazione per chi ha l'età pensionabile
La legge dispone una diversa valutazione per i soggetti minori di 18 anni e per gli ultra65enni. L'articolo 6 del Dlgs 509/1988 prevede che si considerano mutilati ed invalidi i soggetti che hanno persistenti difficoltà a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. La disposizione da ultimo richiamata ha inteso, quindi, precisare che, in considerazione del fatto che chi aveva più di 65 anni rientrava nell'area della pensione di vecchiaia (67 anni), per cui non può per esso parlarsi di accertamento dell'invalidità in termini di riduzione della capacità lavorativa, nell'ambito di tale categoria di assistiti, debbano considerarsi mutilati ed invalidi coloro che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, analogamente che per i minori di 18 anni. Per tali soggetti il legislatore ha quindi sostituto il requisito della incapacità lavorativa con quello, più appropriato, della difficoltà suddetta.
Si tenga, tuttavia, presente che il riscontro di tali requisiti non configurano un'autonoma attribuzione dell'indennità ma pongono soltanto le condizioni perchè tali soggetti siano considerati mutilati ed invalidi, il primo dei requisiti sopra descritti per la concessione dell'indennità. La giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato, infatti, che nei confronti di tali soggetti, deve, comunque, riscontrarsi l'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore, ovvero l'impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita e conseguente necessità di un'assistenza continua. Tali requisiti sono richiesti anche per gli ultrasessantacinquenni, poiché l'ad. 6 del d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509, lungi dal configurare un'autonoma ipotesi di attribuzione dell'indennità, pone solo le condizioni perché detti soggetti siano considerati mutilati o invalidi - in analogia a quanto disposto per i minori di anni diciotto dall'art. 2, comma secondo, della legge n. 118 del 1971 nel testo originario - non potendosi, per entrambe le categorie, far riferimento alla riduzione della capacità lavorativa (cfr. Cass. 28.5.2009 n. 12521).
Da questa impostazione deriva che ad un soggetto ultra65enne anche una infermità che sino al 65° anno non era ritenuta totalmente invalidante può dar luogo alla concessione della prestazione fermo restando l'accertamento della impossibilità di deambulare o del compiere gli atti fondamentali della vita per il richiedente; mentre l'indennità non spetta per il soggetto ultra 65enne che sino al 65° anno era ritenuto invalido al 100% se il giudizio sanitario conferma il mancato accertamento della impossibilità di deambulare o del compiere gli atti fondamentali della vita anche dopo il compimento della predetta età. Il riferimento all'età di 65 anni, come già accennato, va inteso ormai come età di raggiungimento dell'età pensionabile.