Licenziamenti, Il mancato ricollocamento non obbliga alla reintegra

Mercoledì, 17 Luglio 2024
Nuova sentenza della Corte costituzionale sul Jobs act. La possibilità di ricollocare in azienda il lavoratore licenziato non determina la reintegrazione nel posto di lavoro.

Se l’azienda non osserva l’obbligo di repechâge, il licenziamento è illegittimo ma tutelato soltanto da un’indennità (fino a 36 mensilità) e non anche dalla reintegra nel posto di lavoro. La reintegra, invece, scatta se il fatto che ha determinato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è «insussistente». Lo stabilisce la Corte Costituzionale con due sentenze (n. 128/2024 e n. 129/2024) con le quali scrutina la conformità alla Carta Fondamentale dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23 (cd. «Jobs Act»).

I licenziamenti per giustificato motivo oggettivo

La prima sentenza riguarda la tutela dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e, nello specifico, l’ipotesi in cui sia dimostrata l’insussistenza della ragione del licenziamento. In base al Jobs Act (dlgs n. 23/2015), qualora si tratti di licenziamento disciplinare c’è la tutela della reintegra; invece, qualora si tratti di licenziamento per giustificato motivo oggettivo c’è la sola tutela indennitaria. Sul punto il tribunale di Ravenna ha sollevato questione di legittimità costituzionale.

La Corte ha condiviso le doglianze del tribunale rimettente in riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 4 e 35 Cost. rilevando che, seppure la ragione d’impresa posta a fondamento del giustificato motivo oggettivo di licenziamento non risulti sindacabile nel merito, il principio della necessaria causalità del recesso datoriale esige che il “fatto materiale” allegato dal datore di lavoro sia “sussistente”.

Secondo la Corte, la discrezionalità del legislatore nell’individuare le conseguenze dell’illegittimità del licenziamento non si estende, infatti, fino a consentire di rimettere questa alternativa ad una scelta del datore di lavoro che, intimando un licenziamento fondato su un “fatto insussistente”, lo qualifichi come licenziamento per giustificato motivo oggettivo piuttosto che come licenziamento disciplinare.

In conclusione, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della norma del Jobs Act nella parte in cui non prevede che la reintegra si applichi al caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora venga dimostrata l’insussistenza del fatto indicato (motivo oggettivo) dal datore di lavoro

Il mancato ricollocamento

Secondo la Corte, inoltre, nel licenziamento per motivo oggettivo, non occorre sia anche verificata l’impossibilità di un ricollocamento del lavoratore in azienda, anche in altra posizione lavorativa (cd. repachâge). In questo caso, non essendoci vizio di legittimità costituzionale, per i giudici della Consulta prevale la volontà del Legislatore: se l’azienda non osserva l’obbligo di repechâge, il licenziamento è illegittimo ma tutelato soltanto da un’indennità (fino a 36 mensilità) e non anche dalla reintegra nel posto di lavoro.

Sanzione Conservativa

La seconda sentenza, sollevata dal Tribunale di Catania, riguarda il licenziamento disciplinare fondato su un fatto contestato per il quale la contrattazione collettiva prevede una sanzione solo conservativa. Secondo il giudice rimettente la mancata previsione di un obbligo legale di reintegra in questi casi consentirebbe al datore di lavoro di svuotare il ruolo della contrattazione collettiva consentedogli, in caso di violazione, di risolvere il rapporto di lavoro con il pagamento del solo indennizzo economico.

Questo rischio, tuttavia, per la Corte può essere superato tramite una interpretazione adeguatrice della disposizione censurata. In siffatta ipotesi, spiega la Corte, il fatto contestato è in radice inidoneo, per espressa pattuizione, a giustificare il licenziamento. Non vi è, in altri termini, un ‟fatto materiale” che possa essere posto a fondamento del licenziamento, il quale, se intimato, risulta essere in violazione della prescrizione della contrattazione collettiva. Questa situazione, pertanto, va ascritta ad una ipotesi di «insussistenza del fatto materiale», con conseguente applicabilità della tutela reintegratoria attenuata.

La mancata previsione della reintegra nelle ipotesi in cui il fatto contestato sia punito con una sanzione conservativa dalle previsioni della contrattazione collettiva andrebbe, concludono i giudici, «ad incrinare il tradizionale ruolo delle parti sociali nella disciplina del rapporto e segnatamente nella predeterminazione dei canoni di gravità di specifiche condotte disciplinarmente rilevanti».

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