La questione
La questione riguardava un lavoratore dipendente del settore privato che aveva continuato a lavorare dopo il raggiungimento dei 66 anni di età, limite minimo per il pensionamento di vecchiaia. L'interessato aveva formulato in modo puntuale una proposta al datore di lavoro circa la volontà di trattenersi in servizio al fine di incrementare l'assegno pensionistico utilizzando l'opzione prevista dall'articolo 24, co. 4 della legge 214/2011; l'azienda, tuttavia, pur non rispondendo esplicitamente alla richiesta aveva mantenuto in servizio il dipendente per un periodo di oltre 16 mesi dalla domanda di quest'ultimo e ben al di là del raggiungimento dell'età pensionabile proponendo, a quel punto, la risoluzione consensuale del rapporto. All'opposizione del dipendente l'azienda ha proceduto al licenziamento unilaterale ai sensi dell'articolo 4, co. 2 della legge 108/1990. A quel punto la questione è sfociata in giudizio. Sia il Tribunale che la Corte d'Appello hanno dato ragione al lavoratore ordinando la riassunzione in servizio a seguito della declaratoria di illegittimità del licenziamento. La Corte di Cassazione ha sostanzialmente confermato il giudizio dei tribunali di merito.
La decisione
Secondo i giudici, infatti, l'assenso del datore di lavoro alla prosecuzione del rapporto di lavoro può essere espresso non in forma scritta ma tramite fatti concludenti tra i quali rientra certamente il prolungato mantenimento in servizio del dipendente, la puntualità e completezza della proposta formulata dal lavoratore, il quale manifestava il proprio interesse alla prosecuzione del rapporto; il silenzio della società in relazione a tale proposta, cui ha fatto riscontro il protratto esercizio dei poteri datoriali per un periodo superiore ai sedici mesi; l'avvio di una trattativa per l'ulteriore protrazione del rapporto per tre mesi, che lasciava presupporre l'avvenuto prolungamento del rapporto di lavoro inter partes. "Nell'ottica descritta la condotta osservata da parte aziendale non poteva assumere connotati di neutralità, secondo la tesi dalla medesima accreditata, ma andava a delineare un comportamento concludente, perché definito da una serie di molteplici indici significativi della manifestazione del consenso delle parti alla prosecuzione del rapporto" scrivono i giudici nelle motivazioni. In sostanza il comportamento del datore di lavoro ha integrato un elemento significativo, univoco e concludente nel senso di configurare una tacita accettazione della proposta contrattuale formulata dal lavoratore.
Detto questo la cornice entro cui è possibile disporre il trattenimento è quella ribadita dalla Sentenza della Cassazione a Sezioni Unite numero 17589/2015 e più volte ripresa dalla giurisprudenza di merito. In particolare la disposizione di cui all'articolo 24, co. 4 della legge 214/2011 "non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, né consente allo stesso di scegliere tra la quiescenza o la continuazione del rapporto, ma prevede solo la possibilità che, grazie all'operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di settanta anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore. E' questo il senso della locuzione "è incentivato ... dall'operare dei coefficienti di trasformazione ...", la quale presuppone che non solo si siano create dette più favorevoli condizioni previdenziali, ma anche che, grazie all'incentivo in questione, le parti consensualmente stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi". Il perimetro di applicazione della citata disposizione, peraltro hanno più volte ribadito i giudici, è limitato ai soli lavoratori dipendenti iscritti presso l'Inps e non comprende, pertanto, altri ordinamenti previdenziali tra cui, in particolare, l'Inpgi e le altre casse professionali.