Per i prossimi due anni (2023 e 2024) gli assegni torneranno ad essere rivalutati con criteri meno generosi. In particolare la rivalutazione non si applicherà in modo progressivo (come visto nel 2022) ma sull’intero trattamento pensionistico lordo e con fasce di perequazione diverse. Lo prevede il testo della legge di bilancio 2023 che si accinge ad essere approvata in via definitiva dal Parlamento nei prossimi giorni. All’interno c’è anche un irrobustimento delle pensioni minime per i pensionanti di età pari o superiore a 75 anni: nel 2023 godranno di rivalutazione straordinaria (ma temporanea) del 6,4% che porterà il minimo a 600€ al mese. Vediamo le novità.
La «perequazione automatica»
Si chiama così il vecchio automatismo della scala mobile, in virtù del quale le pensioni sono adeguate all'aumento del costo della vita al fine di salvaguardare, in qualche misura, il loro reale potere d'acquisto. L'automatismo (la perequazione) è applicato una volta sola nell'anno e prevede, prima di tutto, la fissazione del “tasso” sulla base del quale rivalutare le pensioni. Il tasso viene ufficializzato mediante uno specifico decreto ministeriale che lo determina quale valore medio dell'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (tassi inflazione) calcolato sull'anno precedente quello della rivalutazione.
Per la rivalutazione del 2023, il decreto ha fissato l'aumento al tasso del 7,3% che porta il minimo Inps, ad esempio, da 525,38 euro a 563,73 euro con un aumento di 38,35 euro mensili ovvero di 498 euro in un anno (tredici mensilità). La perequazione interessa tutte le pensioni, di qualunque importo. L'aumento è fisso per le pensioni d'importo fino al «minimo Inps» (cioè in misura del 100% del tasso Istat); quelle d'importo superiore, invece, aumentano con incrementi differenziati a seconda dell'entità della pensione soggetta alla rivalutazione o di tutte le pensioni soggette a rivalutazione, se il pensionato ne possiede più di una.
Nel 2023 si doveva continuare con le regole originarie di calcolo della perequazione fissate dalla legge n. 388/2000: cioè aumenti su tre fasce di importo (100% sino a 4 volte il minimo, 90% tra 4 e 5 volte e 75% se superiore a 5 volte) con criteri progressivi.
Le nuove regole
La Finanziaria 2023 modifica i suddetti criteri prevedendo per il biennio 2023-2024 sette fasce di rivalutazione a seconda dell’importo del trattamento pensionistico (in tabella gli aumenti) e, soprattutto, ripristinando il meccanismo della rivalutazione sull’importo complessivo del trattamento. Resta fermo il meccanismo di garanzia in base al quale la rivalutazione non può essere inferiore all’aumento massimo attribuibile della fascia inferiore.
Le nuove fasce, in definitiva, sono complessivamente meno generose per chi percepisce assegni superiori a quattro volte il minimo. Ad esempio una pensione di 3.000€ lordi al mese al 31 dicembre 2022 sarà rivalutata in modo secco del 3,869%, cioè 116€ al mese. Con le vecchie regole l’aumento sarebbe stato di ben 208€ al mese. Una pensione di 6.000€ lordi al mese dal 31 dicembre 2022 prenderà 140€ di aumento contro i 373€ che avrebbe ottenuto con la disciplina precedente.
Pensionati al minimo
Chi percepisce una pensione non superiore al trattamento minimo (cioè 525,38€) godrà di una rivalutazione straordinaria dell’1,5% che porterà l’assegno minimo a circa 572€ al mese (per tutto il 2023, compresa la tredicesima). Per i pensionati di età non inferiore a 75 anni l’aumento sarà del 6,4% grazie al quale, come annunciato dal Governo, si può raggiungere la teorica cifra di 600€ al mese. Si ricorda che si tratta di aumenti transitori, destinati cioè a trovare applicazione per il solo 2023, senza incidere sulle prestazioni collegate al reddito.