Il dubbio sollevato dai giudici contabili riguarda l'art. 220 del dpr n. 1092/1973 (T.U. pensioni dipendenti civili e militari dello stato) che, nel determinare il trattamento di pensione dei lavoratori assicurati presso la Cassa Stato (nonchè i postali e i ferrovieri), non applica all'indennità integrativa speciale, peraltro confluita dal 1° gennaio 2003 nello stipendio tabellare ad opera della contrattazione collettiva, la maggiorazione (incremento) del 18% che è, invece, prevista per lo stipendio tabellare, la retribuzione individuale di anzianità, l'assegno ad personam, l'indennità di vacanza contrattuale e, per il personale militare, gli eventuali scatti pensionabili di cui all'articolo 3 della legge 539/1950 e sulle quote mensili di cui all'articolo 161 della legge 312/1980 per il personale dirigenziale. Tale maggiorazione, come noto, determina un incremento virtuale delle predette voci retributive, assoggettato a contribuzione previdenziale, con il risultato di ottenere una pensione più elevata rispetto allo stipendio effettivamente erogato.
Tale criterio trovava giustificazione in origine per compensare la mancata valutazione dello stipendio accessorio nella base pensionabile per i dipendenti pubblici rispetto ai lavoratori dipendenti del settore privato. Dal 1° gennaio 1996, con l'entrata nella base pensionabile anche dello stipendio accessorio, si è quindi stabilita la regola secondo la quale lo stipendio accessorio fosse pensionabile solo nella misura superiore al 18% delle predetta maggiorazione.
La decisione
Secondo il giudice delle leggi l'esclusione, in assenza di «esigenze di contenimento della spesa pensionistica», contrasterebbe con gli artt. 36 e 38 della Costituzione che garantiscono al lavoratore, in caso di vecchiaia, i mezzi necessari e adeguati alle esigenze di vita e proporzionati alla quantità e qualità del lavoro prestato. Peraltro, nel negare rilievo alla previsione negoziale (cioè il CCNL) che ha incluso nello stipendio l'indennità, sacrificherebbe il ruolo della contrattazione collettiva chiamata a garantire la proporzionalità tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro svolto (poiché la pensione è qualificabile come «retribuzione differita»).
Per la Consulta le ragioni sono, quindi, insufficienti per dichiarare incostituzionale la norma e, quindi, per far applicare la maggiorazione del 18% anche all'indennità integrativa speciale. In difetto di una norma espressa, l'incremento del 18% non si applica. Pur se esclusa dall'incremento del 18%, l'indennità integrativa speciale non cessa di costituire, in quanto parte della retribuzione, una componente utile ai fini del computo della base pensionabile. In conclusione, secondo la Corte non c'è alcun irragionevole sostemento tra pensioni e retribuzioni, tale da compromettere la complessiva adeguatezza e proporzionalità della pensione, né può ritenersi pregiudicato il nucleo intangibile dei diritti degli artt. 36 e 38 della Costituzione.