Avvocati salvi dalle sanzioni civili per il mancato versamento dei contributi presso la gestione separata dell’Inps per i periodi temporali anteriori al 2011. Nei loro confronti va, infatti, tutelato il principio del «legittimo affidamento» circa l’insussistenza dell’obbligo di contribuzione avvalorato dall’orientamento della giurisprudenza dell’epoca poi ribaltato con la norma di interpretazione autentica contenuta nell’articolo 18, co. 2 del dl n. 98/2011.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 104/2022 depositata ieri.
La questione
Riguarda i professionisti la cui attività risulta regolata dall’iscrizione ad albi e/o collegi e che, per il possesso di un reddito professionale inferiore ad una certa soglia o per lo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata, sono esentati dall’iscrizione alla relativa cassa di previdenza obbligatoria (e quindi non tenuti al versamento del relativo contributivo soggettivo destinato al finanziamento delle tutele IVS). In questa situazione si trovavano, in particolare, gli avvocati con redditi «sotto soglia» sino alla riforma della cassa forense del 2012 che, come noto, ha collegato l’iscrizione alla Cassa all’iscrizione all’albo professionale.
In mancanza dell’iscrizione alla Cassa l’Inps aveva chiesto l’assolvimento degli obblighi IVS presso la gestione dei lavoratori parasubordinati di cui all’articolo 2, co. 26 della legge n. 335/1995 sulla base della considerazione che l’obiettivo di tale gestione era garantire una copertura previdenziale anche «nell’area non coperta dal regime della cassa categoriale allorché vi sia l’esercizio dell’attività professionale con carattere di abitualità».
La giurisprudenza di legittimità aveva sconfessato però la posizione dell’INPS indicando che l’obbligo di iscrizione alla gestione separata non avrebbe trovato applicazione nel caso di attività professionale forense, sussistendo già una specifica cassa di previdenza con una relativa regolamentazione speciale. Contro questo orientamento il legislatore è corso ai ripari con norma di interpretazione autentica contenuta nell’articolo 18, co. 2 del dl n. 98/2011, quindi con portata retroattiva.
La disposizione da ultimo richiamata ha riaffermato l’iscrivibilità alla gestione dei parasubordinati anche dei soggetti che svolgono attività il cui esercizio sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali e che, per determinate ragioni, non siano tenuti al versamento dei contributi soggettivi presso la rispettiva cassa categoriale. Avvalorando, pertanto, la posizione originaria dell’Inps e ribaltando, quindi, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità precedente.
La decisione
Nella lunghissima disamina che ripercorre l’intera disciplina previdenziale, la Corte sostiene che l’interpretazione estensiva della norma non fa altro che assecondare la progressiva eliminazione delle lacune rappresentate da residui vuoti di copertura assicurativa.
L’obbligo di iscrizione alla gestione separata da parte dei professionisti non tenuti all’adesione alla Cassa, pertanto, non introduce elementi di irrazionalità, incoerenza e illogicità nel sistema giuridico previdenziale ma, al contrario, assume una «funzione di chiusura del sistema ponendosi in posizione di complementarietà (e non di alternatività) rispetto alla disciplina della cassa previdenziale professionale e senza incidere sulla graduazione degli obblighi previdenziali del professionista». In tal senso, pertanto, la gestione separata ha una funzione elastica, complementare, in dipendenza della concreta potestà regolamentare delle casse professionali.
Non c’è omissione contributiva
La Consulta ritiene invece fondata, seppur parzialmente, la questione sulla portata retroattiva della norma di interpretazione autentica. Questo perché, nel formulare l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, il Legislatore avrebbe dovuto considerare la copiosa giurisprudenza di legittimità precedente che, come detto, dava ragione ai professionisti e non all’INPS, un orientamento giurisprudenziale che ha, di fatto, generato un legittimo affidamento. «Nell’esercizio della legittima funzione di interpretazione autentica, spiega la Corte, il legislatore era sì libero di scegliere, tra le plausibili varianti di senso della disposizione interpretata, anche quella disattesa dalla giurisprudenza di legittimità dell’epoca; ma avrebbe dovuto farsi carico, al contempo, di tutelare l’affidamento che ormai era maturato in costanza di tale giurisprudenza».
Per far ciò il legislatore avrebbe dovuto prevedere l’esonero dalle sanzioni civili per la mancata iscrizione alla Gestione separata INPS relativamente al periodo precedente l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica (cioè prima del 2011). «In tal modo – conclude la Corte - è soddisfatta l’esigenza di tutela dell’affidamento scusabile, ossia con l’esclusione della possibilità per l’ente previdenziale di pretendere dai professionisti interessati, oltre all’adempimento dell’obbligo di iscriversi alla Gestione separata e di versare i relativi contributi, anche il pagamento delle sanzioni civili dovute per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo intercorrente tra l’entrata in vigore della norma interpretata e quella della norma interpretativa».
Pertanto la Corte ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui all’art. 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione dei parasubordinati costituita presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore».