Pensioni

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Fuori dalle salvaguardie ci sono ancora decine di migliaia di lavoratori che avrebbero maturato un diritto previdenziale entro il 2018. Gli esodati chiedono di riconoscere un ultimo intervento.

Kamsin "Riconoscere il diritto alla pensione con le regole ante manovra Monti-Fornero a tutti coloro che non erano più occupati al 31.12.2011 per avvenuta risoluzione contrattuale a qualsiasi titolo, oppure avevano entro quella data sottoscritto accordi collettivi o individuali che come esito finale prevedevano il futuro licenziamento e che maturano il requisito pensionistico con le previgenti norme entro il 31.12.2018".

E' quanto torna a ribadire Giuliano Colaci, uno dei coordinatori della Rete dei Comitati degli esodati, gruppo che riunisce migliaia di lavoratori rimasti esclusi dalle attuali sei tutele (l'ultima con la legge 147/2014). "Nei giorni scorsi - ricorda Colaci - è successo un fatto gravissimo che ci ha buttato nello sconforto più totale, questa volta a farla grossa è stato il Commissario dell'inps il Dott. Treu, dove in due occasioni, in commissione senato prima e poi in una intervista a radio24, ha dichiarato che il problema esodati non esiste più in quanto sanato, escludendo casi sporadici e di poco conto." 

Ben altre le richieste della Rete che preme piuttosto per l'approvazione di una ulteriore tutela che consenta il mantinmento delle regole ante-Fornero a circa 49.500 persone. La stima, ricordano dalla Rete, è stata diffusa dallo stesso Governo in occasione di una interrogazione formulata dalla Commissione Lavoro della Camera lo scorso 15 Ottobre 2014.

 

In tale occasione l'Onorevole Gnecchi (Pd) ha chiesto all'Inps e al ministero del Lavoro di indicare quanti sarebbero i lavoratori da tutelare qualora si decidesse di allungare di 3 anni (dal 6 gennaio 2016 al 6 gennaio 2019) gli attuali profili di tutela.

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Zedde

La mancata crescita del Pil e dell'inflazione produrrà due effetti negativi sui trattamenti pensionistici sia di chi deve andare in pensione nel 2015 sia di chi è titolare di un trattamento pensionistico.

Kamsin Assegni piu' magri quest'anno. La colpa è di un Pil negativo e di un'inflazione ormai prossima allo zero. Due fattori che hanno effetti diretti sui portafogli sia dei pensionati che dei laoratori che quest'anno andranno in pensione. Ma andiamo con ordine.

Per chi è già pensionato. Il problema è l'inflazione o meglio la bassa inflazione. Quest'anno infatti i trattamenti saranno rivalutati, in via provvisoria, solo dello 0,3 per cento. Briciole sulle quali l'Inps dovrà recuperare anche un 0,1% di rivalutazione erroneamente attribuita per il 2014.  Per il 2015 il meccanismo prevede l'adeguamento al 100% dell'indice Istat per le pensioni fino a tre volte il trattamento «minimo» (1.503,64 euro), mentre per quelle di importo superiore la rivalutazione sarà via via decrescente, fino a scomparire, come si vede nella tabella.

Il punto è che per il 2015 proprio l'indice Istat utile per la perequazione — fissato a novembre dal ministero dell'Economia — sarà solo dello 0,30% e, dunque, i benefici saranno di conseguenza prossimi allo zero. Non solo, Poiché per il 2014 sono stati corrisposti incrementi superiori dello 0,10% a quanto dovuto, il risultato sarà un aumento ancora più basso: solo 0,20%. Per i trattamenti sopra i 3mila euro mensili lordi, per effetto di ulteriori aggiustamenti e conguagli, si arriverà addirittura a un taglio dell'assegno.

Per chi va in pensione nel 2015. Il fattore di rischio qui è il Pil. La scarsa crescita del Prodotto Interno Lordo, infatti, si ripercuote negativamente sulla rivalutazione dei contributi versati all'Inps (è il c.d. montante contributivo) su cui si calcola la pensione determinando, così, un assegno più basso. L'ultimo valore è risultato negativo (-0,1927%) e potrebbe quindi comportare addirittura una svalutazione dei contributi. Come dire che a fronte di 100 mila euro di contributi, la pensione è calcolata su 99.800 euro circa.

Per ora l'Inps ha rassicurato i lavoratori annunciando di considerare il tasso pari a 1: perciò non ci sarà alcuna rivalutazione, ma neppure svalutazione. La questione resta tuttavia aperta: l'Inps, infatti, è in attesa di pronunciamento definitivo da parte dei ministeri vigilanti (economia e lavoro).

La questione riguarda quelle quote di anzianità presenti sul conto assicurativo al 31 Dicembre 2013 da valorizzare con il sistema contributivo e solo dai lavoratori che saranno collocati in pensione quest'anno (e probabilmente negli anni successivi se il tasso non tornerà in territorio positivo). In base al meccanismo di calcolo contributivo introdotto nel 1995 dalla riforma Dini, infatti, il montante contributivo viene annualmente rivalutato in base all'andamento della crescita nominale del Pil degli ultimi 5 anni. Ora se i Dicasteri interpellati daranno un parere contrario alla soluzione proposta dall'Inps i lavoratori rischiano di ottenere un assegno piu' magro.

Gli effetti. In tale ipotesi per i lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 1995, la perdita sarà più contenuta, perchè nei loro confronti, il sistema di calcolo contributivo si applica pro rata solo dal 1° gennaio 2012. Invece coloro che erano nel sistema misto l'incidenza del calcolo sarà più intensa in quanto costoro si ritrovano la pensione calcolata in buona parte con il sistema contributivo.

Nessun effetto per chi, invece, è già pensionato o cessa dal servizio nel 2014: la riforma del 1995 ha previsto che nell'anno di cessazione la rivalutazione montante sia per legge pari ad 1 e quindi l'accumulo dei contributi versati nell'ultimo anno di lavoro, dato dalla somma dei contributi dei lavoratori lavoro, non subisce alcuna rivalutazione nè svalutazione.

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"Caro Renzi, 'quota 100' applichiamola alle pensioni per fare uscire dal lavoro chi ha 60 anni di età e 40 di contributi e non ai capilista della nuova legge elettorale". Lo ha affermato il presidente della sinistra Pd della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, in una dichiarazione alla vigilia dell'inizio dell'esame in aula al Senato dell'Italicum. Kamsin L'ipotesi dell'ex ministro del lavoro, supportata dalla minoranza dem, chiede l'approvazione entro il mese di Febbraio di uno strumento di flessibilità in uscita per migliaia di lavoratori rimasti intrappolati nelle maglie della Riforma Fornero. In questo modo, osserva Damiano, potrebbero essere risolti quei tanti capitoli oggi ancora rimasti aperti ad iniziare dal fenomeno degli esodati.

La Quota 100 - Si tratta di una proposta che mira a reintrodurre la pensione di anzianità abolita dal 1° gennaio 2012 dalla Riforma Fornero. In sostanza il lavoratore potrà conseguire il trattamento pensionistico anticipato al perfezionamento di una quota determinata dalla somma di un requisito anagrafico unito a quello contributivo. In altri termini per raggiungere quota 100 sarebbe necessario perfezionare almeno 60 anni di età e 40 anni di contributi oppure un'età anagrafica superiore ed un maturato contributivo inferiore (es. 62 anni anni e 38 di contributi). In ogni caso le finestre mobili, quel sistema di slittamento occulto della pensione, abolito (o meglio disapplicato) dalla Riforma del 2011, non dovrebbero rivedere la luce.

Le quote necessarie tuttavia sarebbero un pò piu' elevate rispetto a quanto previsto dalla tabella B allegata alla legge 243/04 che regolava la vecchia pensione di anzianità. Nel 2015 infatti, se la Riforma Fornero non fosse entrata in vigore, sarebbe stata richiesta una quota pari a 97,3 per i lavoratori dipendenti e 98,3 per gli autonomi con un minimo di 61 anni e 3 mesi (62 anni e 3 mesi per gli autonomi). Con il progetto in parola si dovrà, quindi, comunque restare sul lavoro alcuni anni in piu' rispetto alla vecchia normativa ma non sarebbe prevista alcuna decurtazione sul trattamento pensionistico (almeno da quanto oggi è dato sapere). 

L'ipotesi è solo una delle tante sul tavolo di Palazzo Chigi. Lo stesso Damiano ha presentato un altro progetto di legge che consentirebbe di accedere alla pensione con 62 anni e 35 di contributi ma qui al prezzo di una decurtazione sull'assegno.

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Potranno fruire del credito coloro che, nel 2015, riceveranno un reddito di lavoro dipendente e/o assimilato, compreso tra 8.145 e 24mila euro, mentre per i dipendenti che avranno un reddito che supererà i 24mila ma fino a 26mila euro è previsto un dècalage

Kamsin La legge di stabilità 2015 taglia il traguardo e con essa il bonus di 80 euro che ora diventa definitivo.  L'esecutivo ha infatti deciso di confermare lo sgravio Irpef in vigore da maggio a beneficio delle buste paga di 10 milioni di dipendenti e di affiancarvi, peraltro, una misura a sostegno delle mamme che, rientrando all'interno di determinati parametri, faranno un figlio a partire dal 1˚ gennaio prossimo.

Resterà, dunque, anche per il 2015, quel bonus monetario, avviato dalla scorsa primavera, per tutti i i lavoratori dipendenti che possono vantare un reddito annuo lordo sino a 26mila euro composto da redditi di lavoro dipendente o da redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (compensi percepiti dai lavoratori soci delle cooperative; indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai lavoratori dipendenti per incarichi svolti in relazione a tale qualità; somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio, premio o sussidio per fini di studio o addestramento professionale; redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa; remunerazioni dei sacerdoti; prestazioni pensionistiche, comunque erogate, dai fondi di previdenza complementare; compensi per lavori socialmente utili).

Nella determinazione del reddito si può escludere, comunque, quello dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze, le somme percepite dal lavoratore a titolo di incremento della produttività e che scontano un'imposta sostitutiva del 10%; l'eventuale liquidazione in busta paga del trattamento di fine rapporto (cio' l'anticipo del TFR in busta paga) introdotta (dalla medesima legge di stabilità), in via sperimentale per il periodo 1° marzo 2015-30 giugno 2018.

Restano, tuttavia, esclusi i contribuenti con l’imposta lorda Irpef minore o uguale alla sola detrazione da lavoro (cioè circa 3 milioni di lavoratori che hanno redditi inferiori a 8.145 euro, i cd. incapienti), i pensionati e le partite Iva.

La distribuzione del beneficio è variabile a seconda del reddito complessivo Irpef del lavoratore dipendente. In particolare, il bonus è 0 se il reddito, appunto, è inferiore a 8.145 euro, mentre per i redditi compresi tra 8.145 e 24 mila euro (circa 10 milioni di contribuenti) si arriva fino a un beneficio annuo massimo di 960 euro. Superata la soglia dei 24 mila euro, il bonus decresce, attraverso un decalage, fino ad azzerarsi a 26 mila euro. Un' area, quest'ultima, nella quale navigano 1,3 milioni di lavoratori.

Dal punto di vista operativo, il bonus, rapportato al periodo di paga, è attribuito automaticamente dai sostituti d'imposta ed è successivamente recuperato tramite compensazione; solo per gli enti pubblici e per le amministrazioni dello Stato è stata riconosciuta la possibilità di recuperare il bonus tramite una riduzione delle ritenute e dei contributi previdenziali.

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Arriva un credito d’imposta con un tetto di 80 milioni di euro per Casse previdenziali (del 6%) e Fondi pensione (del 9%), se decideranno di investire in economia reale, al fine di compensare l’aumento della tassazione, rispettivamente al 26 e al 20%.

Kamsin La legge di stabilità prevede un incremento della tassazione dei redimenti maturati dai fondi pensione e dalle Casse previdenziali private con effetto, almeno in parte, retroattivo. Rispetto ai primi viene innalzata l'aliquota di tassazione dall'11 al 20% (l'aliquota resta al 12,5% se si tratta di titoli di Stato, italiani e white list) mentre per le Casse Professionali si passa dal 20 al 26%. La maggiore imposta verrà, però, in parte restituita sotto forma di credito d'imposta a chi sostiene investimenti a medio e lungo termine che verranno fatti in economia reale, sull'intero mercato europeo, per finanziare interventi mirati come ad esempio sul welfare o alla riqualificazione di immobili.

Si chiude, pertanto, con questa correzione la partita fiscale sui fondi pensione e le Casse di previdenza giocata nella Stabilità 2015. Con un limite. Il tetto di spesa previsto per il credito di imposta alle Casse previdenziali e ai Fondi pensione che decideranno di sostenere l'economia italiana investendo in progetti infrastrutturali si ferma a 80 milioni, per ora. Si tratta di una dote annua, che scatta dal 2016 e il cui utilizzo sarà monitorato con criteri fissati nello stesso decreto ministeriale che indicherà gli investimenti infrastrutturali di destinazione. Raggiunto il limite stabilito si chiuderà il rubinetto del credito d'imposta.

Il Credito d'imposta - Il credito d'imposta, precisa la legge, si potrà effettuare solo l'anno successivo all'investimento infrastrutturale previsto e si agirà su due canali. Per le Casse, verrà riconosciuto come differenziale tra l'ammontare delle ritenute d'imposta sostitutive applicate nella misura del 26% sui redditi finanziari dichiarati e certificati e l'ammontare di tali ritenute e imposte sostitutive computate nella misura del 20%.

Per i fondi pensione, verrà riconosciuto per un importo pari al 9% del risultato netto maturato assoggettato all'imposta sostitutiva. Il credito di imposta per i fondi non concorrerà alla formazione del risultato netto maturato e, ai fini della formazione delle prestazioni previdenziali, andrà a incrementare la parte corrispondente ai redditi già assoggettati a imposta.

In pratica a fronte di un reddito pari a 100 e ad una ritenuta applicata di 26 (20 per i fondi pensione) il credito d'imposta utilizzabile in compensazione a decorrere dal 1° gennaio 2016 sara pari a 6 euro (9 euro per i fondi pensione). Lo "sconto" fiscale, però, potrà essere ottenuto solo a partire dal 2016 tramite la compensazione del credito d'imposta nel modello F24.

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Nel 2015 il Governo dovrà garantire un sistema di pensionamenti flessibili che consenta un anticipo dell'età pensionabile di almeno 3 anni. Necessario risolvere i tanti errori della Riforma Fornero.

Kamsin “Condividiamo le opinioni di coloro che nel Governo vogliono introdurre un criterio di flessibilita’ nel sistema pensionistico”. E' quanto ha detto Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera in riferimento all'apertura, ieri, di Gutgeld, consigliere economico di Palazzo Chigi, circa la possibilità di un intervento sulla Riforma Fornero. “Su questo argomento – continua Damiano – il Partito Democratico ha depositato una proposta di legge, di cui sono primo firmatario, che prevede la possibilita’ per chi ha 35 anni di contributi di andare in pensione a partire dall’eta’ di 62 anni (cd. i pensionamenti flessibili) oppure con 41 anni di contributi indipendentemente dall’eta’ anagrafica” ha indicato Damiano. "Ci sono anche altre proposte su cui si può ragionare ma l'obiettivo deve essere chiaro: è necessario introdurre maggiore flessibilità in uscita soprattutto riguardo ai lavoratori che hanno perso il posto di lavoro e che non hanno raggiunto l'età per la pensione".

"La nomina di Boeri all'Inps deve essere l'occasione per affrontare quei temi sulla previdenza che sono stati trascurati sino ad oggi. Ricordiamo al commissario in pectore dell’INPS che oltre alla revisione dell'età pensionabile ci sono anche altri temi previdenziali da affrontare con una certa urgenza: ad iniziare dalle ricongiunzioni, gli esodati, l'opzione donna, i macchinisti delle ferrovie e i Quota 96 della scuola. Si tratta di un pacchetto di problemi causati da errori legislativi ai quali va posto riparo se si vuole perseguire un criterio di giustizia sociale. Da non dimenticare anche la stangata sulle partite Iva: anche su questo tema il Governo ha annunciato a breve un intervento" ha detto Damiano. 

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