La questione
L'Istituto di previdenza contestava in particolare la decisione del Tribunale e della Corte d'Appello che, accogliendo la tesi del dipendente, avevano computato nel calcolo della pensione integrativa e dell'indennità di buonuscita l'indennità per lo svolgimento di mansioni superiori nei confronti di un ex ispettore generale Inps. Secondo la difesa dell'Istituto le somme riconosciute in funzione del suddetto incarico erano, infatti, prive dei caratteri di fissità e continuità in quanto erogate a carattere eccezionale, temporaneo, aggiuntivo ed autonomo e trovavano nella retribuzione dirigenziale solo un elemento di riferimento quantitativo per il loro calcolo. Pertanto, non potevano essere poste a base della determinazione della misura della pensione integrativa aziendale e dell'indennità di buonuscita.
La decisione della Corte
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha accolto la tesi dell'Istituto di Previdenza ribaltando le decisioni delle Corti di Merito. Il Supremo Collegio, seguendo il consolidato orientamento giurisprudenziale della stessa Corte ha affermato il principio secondo il quale in tema di previdenza integrativa aziendale, benché il regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza del personale impiegatizio dell'INPS prevede che le pensioni a carico del Fondo in corso di godimento siano riliquidate, assumendo come base la nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui l'impiegato si trovava all'atto della cessazione dal servizio, "le maggiori competenze spettanti in seguito allo svolgimento di fatto di mansioni superiori (in quanto emolumenti non fissi né continuativi) non possono essere considerate utili e, di conseguenza, non vanno assoggettati a contribuzione".
I giudici stressano in particolare, che l'art. 5 del regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza del personale impiegatizio dell'INPS considera come retribuzione utile ai fini del calcolo delle prestazioni erogate dal fondo INPS di previdenza integrativa unicamente lo stipendio lordo, eventuali assegni personali ed altre competenze a carattere fisso e continuativo e non comprende, invece, tutte le indennità ed i compensi corrisposti a titolo di trattamento accessorio, quali le differenze retributive per mansioni superiori, che non sono emolumenti dipendenti dalla qualifica di appartenenza ed dall'anzianità ma costituiscono voci retributive collegate all'effettività ed alla durata della prestazione di fatto, priva di effetti, per il rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, ai fini dell'inquadramento del lavoratore nella superiore qualifica".
Con riguardo all'indennità di buonuscita la Corte ribadisce - come già precisato nella sentenza a Sezioni Unite 10413/2014 - che nel regime dell'indennità di buonuscita spettante ai sensi degli artt. 3 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, al pubblico dipendente, che non abbia conseguito la qualifica di dirigente e che sia cessato dal servizio nell'esercizio di mansioni superiori in ragione dell'affidamento di un incarico dirigenziale temporaneo di reggenza ai sensi dell'art. 52 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nella base di calcolo dell'indennità va considerato lo stipendio relativo alla qualifica di appartenenza e non quello corrisposto per il temporaneo esercizio delle superiori mansioni di dirigente. Alla luce delle suddette motivazioni la Corte ha quindi accolto il ricorso dell'Inps rigettando la tesi del dipendente.