Pubblico Impiego

Pubblico Impiego

L'istituto del prepensionamento nel settore pubblico è già stato introdotto dall'articolo 2 del Dl 95/2012 come strumento proritario per consentire alle amministrazioni centrali di riassorbire i soprannumeri determinati dalle misure di riduzione delle dotazioni organiche, prima di ricorrere alla mobilità coattiva.

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Il ministro Madia ha evocato in queste ultime settimane il tema dei prepensionamenti nella Pubblica Amministrazione. E' una strada questa difficilmente percorribile per diverse ragioni. La prima è di carattere equitativo: la riforma Fornero ha improvvisamente allontanato di molti anni il collocamento a riposo per tutti i lavoratori.

Chiedere oggi di approvare una deroga per mandare in pensione anticipata i dipendenti pubblici, non può  far altro che discriminare i dipendenti del settore privato tanto piu' che molti, specialmente se anziani, hanno il timore di perdere il posto perché è noto che le aziende non siano per niente contente di tenersi i lavoratori fino a 66-67 anni e anzi cerchino il modo di liberarsene il prima possibile.

Inoltre, quando si parla di prepensionamenti nel pubblico, bisogna anche ricordare le norme che già ci sono. La prima legge di spending review del governo Monti - il Dl 95/2012 -  tagliò del 20% l'organico dei dirigenti e del 10% quello degli altri dipendenti pubblici, disponendo che questi soggetti potranno andare in pensione con le regole precedenti alla riforma Fornero a condizione che maturino i requisiti anagrafici e contributivi utili a comportare la decorrenza del trattamento entro il 31.12.2014 (data spostata al 31.12.2016 dal dl 102/2013).

Usciranno in questo modo già 7-8 mila lavoratori secondo quanto aveva affermato l'ex Ministro Dalia. Pochi probabilmente rispetto agli oltre 3 milioni di dipendenti ma qui bisogna ricordare che la legge poteva imporre questi tagli solo alle amministrazioni dello Stato e non anche a quelle di Regioni ed enti locali per via delle competenze attribuite dal titolo V della Costituzione.

Per trattare allo stesso modo dipendenti pubblici e privati si dovrebbe pertanto lavorare per introdurre per tutti maggiori elementi di flessibilità sull'età pensionabile chiedendo a chi sceglie di uscire prima una riduzione dell'assegno. Che comunque potrà colpire solo le anzianità maturate con il sistema retributivo presenti nell'arco della vita lavorativa del pensionando.

Nel vertice tra il ministro Madia ed il premier Matteo Renzi sulla riforma della Pubblica amministrazione in agenda un possibile blocco dei premi ai dirigenti pubblici.

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Il governo è alla prova dei fatti sulla riforma della pubblica amministrazione. In attesa di conoscere il testo ufficiale del decreto legge approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri sul tetto gli stipendi dei dipendenti pubblici dirigenziali nei prossimi giorni Matteo Renzi metterà a punto con il Ministro della Funzione pubblica Marianna Madia la riforma della pubblica amministrazione. L'idea è quella di semplificare e modernizzare il pubblico impiego con la possibilità di introdurre quella staffetta generazionale promossa nelle scorse settimane dal ministro Madia.

Ma la riforma della pubblica amministrazione potrebbe anche riservare delle novità amare per i dirigenti  pubblici che pensavano di aver scampato il pericolo del taglio della retribuzione contenuta nelle bozze del decreto legge varato lo scorso venerdì. Nelle ipotesi formulate da Renzi era infatti prevista non solo la riduzione del tetto massimo di stipendio annuo da 311.000 a 240 mila euro lordi per i dirigenti apicali e i top manager delle società pubbliche non quotate, ma si determinavano tetti per i dirigenti di seconda fascia e si colpivano anche gli emolumenti dei quadri.

il progetto fu scartato per la posizione del ministro Madia ma oggi con la riforma della pubblica amministrazione potrebbe arrivare il blocco della parte di retribuzione dirigenti legata all'indennità di posizione e più in generale una stretta sulla parte variabile dello stipendio.

La soglia fissata dal Consiglio dei Ministri riguarderà tutti gli stipendi pagati in tutte le amministrazioni, le società non quotate e le authority.

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Il tetto ai trattamenti economici nella Pa sarà ancorato a 240mila euro lordi l'anno. Nessuno potrà superare quella soglia dal primo maggio prossimo, data dopo la quale scompare il vecchio tetto che era stato introdotto con la legge di stabilità 2012 ed era pari a 311mila euro lordi l'anno. Sempre dal 1° maggio il nuovo tetto varrà come riferimento anche per il calcolo delle anzianità contributive.

L'intervento è piu' leggero rispetto a quanto si pensava perchè non sono più previste soglie specifiche per le diverse fasce dirigenziali e inoltre non si fa più riferimento a prospettive di revisione organica degli assetti retributivi dei dipendenti pubblici. Entro aprile, ha confermato in conferenza stampa il presidente del Consiglio, il governo varerà poi la riforma della pubblica amministrazione.

La misura - Il tetto ai dirigenti vale per tutte le amministrazioni dello Stato e le amministrazioni non statali, gli enti pubblici economici, le autorità amministrative indipendenti, la Banca d'Italia e gli organismi delle stesse amministrazioni e società partecipate «maggioritariamente in via diretta o indiretta», escluse quelle quotate e quelle emittenti strumenti finanziari quotati sui mercati regolamentati. Restano fuori gli organi costituzionali, che parteciperanno alla spending nell'ambito della loro autonomia.

Il decreto legge prevede anche che per il 2014 la Presidenza della Repubblica, la Camera, il Senato e la Corte costituzionale dovranno provvedere ad una riduzione di spesa «non inferiore a 50 milioni», che saranno versati al bilancio dello Stato. Riduzione di 5 milioni anche agli stanziamenti previsti per le spese di funzionamento, sempre per l'anno in corso, del Cnel e degli organi di autogoverno della magistratura ordinaria, amministrativa e contabile.

Per compensi la norma precisa che si devono intendere tutti i trattamenti percepiti cumulativamente dalla Pa, «anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno, ivi comprese le somme percepite per incarichi di carattere occasionale e per le attività o incarichi svolti nell'ambito delle società, a partecipazione di maggioranza, diretta o indiretta».

La stop alle spese riguarda anche gli incarichi di consulenza, studio e ricerca e sui contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Per gli incarichi di consulenza lo stop scatta oltre la soglia del 4,2% della spesa del personale dell'amministrazione quando questa è inferiore a 5 milioni annui, e oltre la soglia del 1,4% se la spesa per il personale è invece maggiore ai 5 milioni.

Stesso principio vale per i contratti co.co.co., che non si potranno stipulare quando la spesa complessiva per tali contratti è superiore rispetto alla spesa del personale dell'amministrazione che conferisce l'incarico al 4,5% per gli enti con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all' 1,1% per gli enti con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro (la spesa è riferita al conto annuale 2012).

Il limite massimo alle retribuzioni a 240.000 euro dovrà valere anche per le società pubbliche, la magistratura e gli organismi costituzionali come Camera e Senato.

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Inizia a prendere forma l'articolo del decreto legge che sarà presentato oggi in Consiglio dei ministri per limitare i compensi dei dirigenti della pubblica amministrazione. Secondo l' ultima versione messa a punto dall'esecutivo ci sarebbe una vera e propria stangata che andrebbe a colpire anche le categorie sino ad oggi al riparo come magistratura e gli organi costituzionali, Camera e Senato in primis.

Il governo pare intenzionato infatti ad imporre una soglia massima fissata a 60.000 euro allo stipendio della generalità dei dipendenti pubblici, mentre per i dirigenti resterebbe confermato il limite massimo di 240.000 euro. Il riferimento è quello della retribuzione del Presidente della Repubblica che sarà il tetto massimo da applicare nella pubblica amministrazione ai dirigenti di prima fascia con funzione di capo dipartimento.

La maggior parte dei manager però potrebbe avere un importo più basso. Nella bozza del decreto legge infatti è previsto che l' importo del tetto venga ridotto rispettivamente del 30, del 60, del 75 per cento per gli altri dirigenti di prima fascia, per quelli di seconda fascia e per il restante personale. Le tre categorie si troverebbero quindi a non poter ricevere uno stipendio rispettivamente oltre 168 mila euro, 96 mila e 60mila euro (quest'ultimo sarebbe quindi il limite per il personale non dirigenziale).

Nel decreto dovrebbe anche esserci una clausola pensata per evitare che la stretta venga aggirata: il rispetto dei limiti dovrà essere considerato con riferimento a tutte le somme percepite dagli interessati a qualsiasi titolo, comprese quelle erogate da enti diversi o quelle ottenute come corrispettivo da incarichi occasionali.

La portata - Si salvano dal tetto dei 240mila euro solo i manager delle società quotate mentre i nuovi parametri dovrebbero essere rispettati dai manager degli enti pubblici, delle società partecipate in tutto o in parte dallo Stato o da altre Amministrazioni comprese quelle che emettono obbligazioni quotate come Poste e Ferrovie. La tagliola scatterà anche per i componenti dei Consigli di Amministrazione di queste società. 

Ma il governo va oltre. Fonti vicine a Palazzo Chigi indicano la volontà dell'esecutivo di voler estendere il nuovo perimetro a quelle istituzioni che sono state oggi escluse dai tagli. Si tratta in particolare degli organi costituzionali come Camera, Senato, Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale e magistratura che godono autonomia anche in termini di bilancio. Anche a questi organismi verrebbe pertanto chiesto l'adeguamento dei rispettivi ordinamenti interni per centrare il tetto massimo di 240mila euro degli incarichi apicali e verrebbe chiesta una riduzione delle spese complessive delle retribuzioni di almeno il 5 per cento rispetto al 2013.

La novità potrebbe entrare in vigore immediatamente e quindi colpire già gli stipendi del mese di maggio. 

I sindacati protestano contro la possibilità di bloccare la contrattazione del Pubblico Impiego fino al 2020 e sull'ipotesi di conferma del congelamento del turn over fino al 2017.

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I dipendenti del Pubblico Impiego temono le misure annunciate nei giorni scorsi dal premier Matteo Renzi: il rischio è quello di restare senza contratto e con lo stipendio congelato fino al 2020, all'indomani dell'approvazione del DEF che impone nuovi tagli per il settore pubblico.

Il menù presentato in settimana dal Cdm prevede infatti, l'accelerazione dell'introduzione dei costi standard per calcolare i trasferimenti ai Comuni (600-800 milioni nel 2015), la riorganizzazione delle forze di polizia con un occhio alla presenza territoriale, ai corpi specializzati e alla Forestale (il Def parla di 800 milioni nel 2015).

Nell'elenco anche l'estensione della Fatturazione Elettronica a tutta la Pubblica Amministrazione (110 milioni di risparmi per il prossimo anno), la riorganizzazione delle Capitanerie di porto e dei Vigili del Fuoco (300 milioni), mentre dalla riforma delle Comunità montane verranno altri 100 milioni.

In tutto per ora, si tratta di 2,1 miliardi, ai quali se il governo confermerà le linee annunciate nel Documento Renzi-Padoan, si aggiungeranno i risparmi che si otterranno dal blocco della contrattazione del Pubblico Impiego fino al 2020 e dalla conferma del congelamento del turn over fino al 2017.

L’indicazione però non è chiara;il governo si limita infatti ad incrementare leggermente le uscite per il personale a partire dal 2018, per la necessità di provvedere all’indennità di vacanza contrattuale per il triennio 2018-2020.

Ed è questa circostanza che ha fatto scattare l’allarme dei sindacati: prevedere il versamento dell’indennità suppone appunto che i contratti non siano rinnovati. Va ricordato che il blocco dura per i Dipendenti Pubblici ormai dal 2011: dunque nel caso le cose andassero davvero così, le loro retribuzioni resterebbero inchiodate ai valori nominali per ben un decennio.

Ecco quindi che i rappresentanti sindacali della categoria, lanciano il loro grido d'allarme: «Un ulteriore blocco sarebbe inaccettabile e la nostra risposta non si farebbe attendere», hanno fatto sapere i Segretari generali di Fp-Cgil / Cisl-Fp / Uil-Fpl e Uil-Pa, " Rossana Dettori, Giovanni Faverin, Giovanni Torluccio e Benedetto Attili".

Mentre per Raffaele Bonnani numero uno della Cisl, «è aberrante spostare in avanti il Contratto dei Dipendenti Pubblici, questo significa mettere a terra completamente la Pubblica Amministrazione».

Stipendi Dirigenti Pubblici - Intanto però c’è da mettere a punto la stretta sugli stipendi dei Dirigenti. Secondo le ultime novità il governo potrebbe accantonare l’idea di un taglio secco e progressivo sul modello delle pensioni alte, per alcuni dubbi di Costituzionalità e lavora ad un intervento sulla parte variabile della retribuzione, in particolare quella legata al risultato, fermo restando l’applicazione di tetti.

La Presidenza del Consiglio sembra essere il laboratorio in cui sperimentare le nuove ricette. Si attende un decreto per la riorganizzazione della struttura, mentre le nomine dei nuovi capi Dipartimento dovrebbero tener conto del nuovo corso, con riduzioni di 15-18 mila euro l’anno. Per i Dirigenti Pubblici è poi prevista l’istituzione di un ruolo unico e la rimozione dei vincoli all’ingresso di esterni.

Nel settore pubblico il decreto Poletti si applica nei limiti in cui questo è compatibile con la disciplina indicata nel Dlgs 165/2011.

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Com'è noto dal 21 marzo 2014 è entrato in vigore il Dlg 34/2014 che ha riformato la disciplina del contratto a Tempo determinato. Le principali innovazioni sono ormai chiare a tutti. Il provvedimento, che sta suscitando diverse reazioni politiche, ha provveduto all'abolizione della causale per la sottoscrizione di contratti di lavoro a termine; ha introdotto un tetto massimo pari al 20 % dell'organico complessivo dell'azienda del numero dei rapporti di lavoro a termine che possono essere stipulati, ( limite che tuttavia non opera in confronto delle aziende con meno di 5 dipendenti per le quali viene sempre prevista la possibilità per il datore di stipulare un Contratto di lavoro a termine); ed ha precisato che il contratto a tempo può essere prorogato di otto volte sino ad un massimo di 3 anni a condizione tuttavia che le parti si riferiscano alla medesima attività lavorativa per la quale il contratto è stato originariamente stipulato.

Gabriella Martini, dell'ordine dei Consulenti del Lavoro, ricorda tuttavia che le innovazioni portate dal Dl 34/2014 non hanno grandi effetti per quanto riguarda il settore del Pubblico Impiego, settore in cui restano in vigore le disposizioni di cui all'articolo 36 del Dlgs 165 del 2001.

"Nel settore pubblico resta ferma la possibilità di ricorrere a forme contrattuali flessibili di impiego del personale per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o  eccezionale. Di conseguenza nel Settore Pubblico, nonostante l'introduzione della nuova normativa, resta sempre necessaria l'indicazione della causale nella stipula di Contratti a tempo determinato".

Per quanto riguarda invece il tetto massimo di Contratti a tempo determinato fissato con il 20% di organico "anche tale misura non pare essere compatibile con il Settore Pubblico in quanto, anche se è vero che sussiste un richiamo generico ai Contratti Collettivi di lavoro, questo limite è troppo elevato e ciò potrebbe favorire forme di abuso a discapito dei lavoratori".

In definitiva l'unica novità del Decreto Poletti che risulta compatibile con il Settore Pubblico è quella relativa alla possibilità di prorogare fino ad otto volte il Contratto a tempo determinato sempre rispettando il limite massimo di 36 mesi a condizione che non vi sia abuso.

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