Bernardo Diaz

Bernardo Diaz

Bernardo Diaz, dottore commercialista collabora con PensioniOggi.it dal novembre del 2015.  

I lavoratori che accedono alla pensione in regime di salvaguardia, cioè mantenendo le regole pensionistiche vigenti al 6 dicembre 2011, non subiranno la decurtazione dell'1%-2% prevista dall'articolo 24, comma 10 del Dl 201/2011 qualora non abbiano compiuto i 62 anni. Kamsin E' quanto si apprende da alcune risposte fornite dalle sedi territoriali dell'Istituto di previdenza nei giorni scorsi. L'interpretazione dell'Inps conferma sostanzialmente quanto già si riteneva in materia ribadendo che la penalizzazione riguarda solo i lavoratori che accedono alla pensione anticipata con i requisiti post-Riforma Fornero (messaggio Inps 19202/2013).

In sintesi pertanto con la normativa vigente una lavoratrice che accederà alla pensione anticipata con i 41 anni e sei mesi di contributi subirà le penalità legate all'età (taglio dell'1% per ogni anno di anticipo rispetto a 62 anni e del 2% per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto all'età di 60 anni) se non avrà compiuto i 62 anni e l'anzianità contributiva non risulterà composta da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per infortunio, per malattia e cassa integrazione guadagni ordinaria, nonché per la donazione di sangue e di emocomponenti, come previsto dall'articolo 8, comma 1, della legge 21 ottobre 2005, a 219, e per i congedi parentali di maternità previsti dal Dlgs 26 marzo 2001, n. 151, nonché per i congedi e i permessi concessi ex articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, a 1424.

Se invece l'accesso al pensionamento avverrà in deroga, grazie a una delle cinque salvaguardie previste dalla normativa vigente e l'Inps ha accolto la relativa istanza, allora la pensione non subirà le penalità citate ancorchè la lavoratrice non avrà perfezionato i 62 anni di età.

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La riforma della pubblica amministrazione (all'articolo 3 del Dl 90/2014) rivede le norme che disciplinano il turnover confermando il progressivo allentamento del blocco che era stato imposto in questi ultimi anni per far fronte ad esigenze di cassa. Kamsin Le amministrazioni statali nel 2014 potranno sostituire il personale cessato l'anno precedente nel limite del 20%, tetto che passa al 40% nel 2015, poi al 60% nel 2016, all'80% nel 2017, per arrivare al turnover completo nel 2018.

La vera novità è però l'eliminazione a decorrere dal 2014, per le amministrazioni centrali, del vincolo relativo alla percentuale delle unità cessate nell’anno precedente (c.d. limite capitario), mantenendo solo quello  legato alla percentuale di risparmi da cessazione. In altri termini cambiano le modalità di calcolo del limite, che dall'entrata in vigore del decreto legge fa riferimento solo alla spesa e non più alle teste.

Per gli enti di ricerca il decreto legge elimina la previsione che impedisce di calcolare, ai fini della determinazione delle risorse finanziarie da destinare a nuove assunzioni, il maturato economico delle retribuzioni del personale cessato. Anche in questo settore percentuali di copertura del turnover immutate (50% nel 2014-2015, 60% nel 2016, 80% nel 2017 e 100% dal 2018), ed una nuova condizione: potranno assumere solo gli enti la cui spesa per il personale di ruolo non supera l'80% delle entrate correnti secondo il bilancio consuntivo dell'anno precedente. Altrimenti scatta il divieto di nuove assunzioni a tempo indeterminato.

Modifiche significative riguardano invece, come ambito soggettivo, le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno. La previsione è di semplificazione dell’attuale regime e di graduale aumento delle percentuali di turn-over e quindi di assunzioni a tempo indeterminato.  In loro favore è, infatti, previsto un significativo innalzamento della percentuale di copertura del turnover, che passa dal 40% al 60% già nel 2014 (articolo 3, comma 5 del Dl 90/2014). L'incremento è confermato nel 2015, arriva all'80% nel biennio 2016-2017 e arriva al 100% nel 2018. Inoltre, viene abrogato il discusso articolo 76, comma 7, del Dl 112/2008, che vietava le assunzioni agli enti con incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente superiore al 50%, consolidando anche le aziende speciali, le istituzioni e le partecipate.

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Dal 25 Giugno è arrivato l'atteso stop ai trattenimenti in servizio per i lavoratori delle pubbliche amministrazioni. E' questa una delle principali novità contenute nel decreto legge sulla riforma della pubblica amministrazione (articolo 1, comma 1 del decreto legge 90/2014)  che di fatto,  introduce  la regola generale, riguardante tutte le categorie del pubblico impiego, del collocamento a riposo al raggiungimento dei limiti di età. Kamsin L'intervento è contenuto nei primi quattro commi del citato articolo con il quale si prevede l'abolizione dell'articolo 16 del decreto legislativo 503/1992 e degli interventi legislativi conseguenti. Trova, quindi, lo stop definitivo una disposizione che agli albori rappresentava il diritto del dipendente a rimanere in servizio, per un biennio (o 5 anni in alcuni casi), una volta raggiunti i limiti di età.

La norma opera immediatamente solo per i trattenimenti già disposti e non ancora efficaci al 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del Dl 90), i quali devono essere revocati. Quelli già in essere continuano a spiegare gli effetti, ma solo fino al 31 ottobre prossimo. Resta ferma la scadenza anteriore, se originariamente fissata.  Periodo transitorio piu' lungo per per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari, gli avvocati dello Stato e dei militari, per i quali i trattenimenti in servizio in essere hanno efficacia fino al 31 dicembre 2015, ovvero fino alla loro scadenza originaria, se antecedente.
 
L'abrogazione dell'istituto del trattenimento in servizio può essere comunque salutato positivamente per favorire il ricambio generazionale, in un momento di crisi del sistema economico nel suo complesso e di blocco delle assunzioni. Infatti la misura aumenta la già elevata età media dei dipendenti pubblici in quanto coloro che normalmente potrebbero essere collocati in pensione per raggiunti limiti di età, possono ottenere altri due anni di servizio arrivando a lavorare fino a 67 o 68 anni (75 anni per alcune categorie), a seconda della data di maturazione del requisito pensionistico; e non consente inoltre di realizzare risparmi da cessazione che, in relazione al regime del turn-over, alimentano il budget spendibile per nuove assunzioni. L'istituto, lo si ricorda, è considerato dalla normativa vigente alla stessa stregua di una nuova assunzione, con la conseguenza che per finanziarlo vengono distratte le risorse assunzionali che potrebbero essere meglio finalizzate all’assunzione di giovani.

Con l'abrogazione del trattenimento in servizio la maggior parte dei lavoratori pubblici (con l'eccezione dei magistrati e dei professori universitari) non potranno però di fatto godere dell'incentivazione alla permanenza al lavoro sino a 70 anni, possibilità incentivata dal decreto legge 201/2011 (e poi già parzialmente limitata dal Dl 101/2013), per conseguire una pensione piu'  "succulenta" tramite coefficienti di rivalutazione piu' elevati.

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Spa con capitale sociale minimo fissato a 50mila euro, Srl e cooperative senza collegio sindacale o revisore indipendentemente dal valore del capitale sociale. Sono queste le novità contenute nell'articolo 20 del decreto legge competitività (dl 91/2014) pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 24 Giugno dopo una gestazione durata oltre una settimana. Kamsin Una modifica che mostra come il legislatore abbia abbandonato la concezione del capitale sociale come strumento di garanzia per le obbligazioni sociali, per privilegiare invece una nozione di capitale sociale come unico parametro per stabilire le quote di partecipazione dei soci e, d'altro lato, per essere il campanello d'allarme in caso di perdite rilevanti.
L'intervento appena approvato infatti viene dopo la recente introduzione delle Srl semplificate con il capitale di un solo euro, norma introdotta dal precedente esecutivo Monti per agevolare la costituzione di nuove imprese da parte di giovani.

L'intervento in questione opera infatti una modifica all'articolo 2327 del codice civile e rende possibile, dal 25 Giugno 2014, procedere alla costituzione di Spa e Sapa con soli 50mila euro di capitale sociale. Secondo il Consiglio Notarile di Roma la modifica ha effetti immediati anche sulle società già esistenti che potranno, tramite apposita delibera assembleare, procedere alla riduzione del capitale sociale sino al predetto limite anche se, come precisano dall'Ordine, prima di attivare la misura "è necessario attendere che si concluda l'iter definitivo del decreto legge 91/2014 in quanto il legislatore, in sede di conversione legge del provvedimento, potrebbe modificare nuovamente la norma".

In materia di diritto societario decade poi l'obbligo per s.r.l. e cooperative di nominare il collegio sindacale o il sindaco unico o il revisore quando il capitale sociale raggiunge la soglia minima per costituire una s.p.a (prima 120mila euro, oggi 50mila euro). La novità va interessare in particolare le Srl con capitale sociale oltre i 120mila euro alla data del 25 Giugno 2014 in quanto ha fatto venir meno per loro l'obbligo, prima esistente, della presenza dell'organo di controllo contabile.

Per effetto della modifica all'articolo 2477 del codice civile, l'organo di controllo della Srl dovrà essere nominato solo se si tratta di: a) una Srl obbligata alla redazione del bilancio consolidato; b) una Srl che controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti (ad esempio una Srl che controlla una Spa); c) una Srl che, come richiesto dall'articolo 2435-bis del codice civile per due esercizi consecutivi, abbia superato due delle seguenti soglie dimensionali: almeno 4 milioni 400mila euro di attivo dello stato patrimoniale; almeno 8 milioni 800mila euro di ricavi delle vendite e delle prestazioni; almeno 50 dipendenti occupati in media durante l'esercizio.

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Con la pubblicazione del decreto legge sulla riforma della pubblica amministrazione si definiscono le modalità per la mobilità volontaria dei dipendenti pubblici. E nel desto del dl 90/2014 rimane, contrariamente a quanto si era ipotizzato nelle prime bozze del provvedimento, il nulla osta per la mobilità volontaria, salvo che nell'ambito di una sperimentazione limitata ai soli ministeri. Kamsin E' quanto recita l'articolo 4, comma 1: "Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell'amministrazione di appartenenza».

L'assenso dell'amministrazione di appartenenza resta quindi un requisito imprescindibile. Rispetto alla bozza del decreto legge quindi gli estensori hanno ribadito la necessità del nulla osta circostanza che garantisce le amministrazioni pubbliche contro unilaterali iniziative dei dipendenti, che avrebbero potuto avere mano libera nel decidere se e quando andarsene rendendo di fatto difficile la gestione del personale nelle Pa interessate.

La sperimentazione - Nel testo del provvedimento è però prevista una sperimentazione per verificare a quali condizioni se ne possa fare a meno. "In via sperimentale e in attesa dell'introduzione di nuove procedure per la determinazione dei fabbisogni standard di personale delle amministrazioni pubbliche, per il trasferimento tra le sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non è richiesto l'assenso dell'amministrazione di appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore all'amministrazione di appartenenza". L'assenso preventivo, in tale ipotesi, non sarà necessario tra amministrazioni statali e sempre in caso che la mobilità volontaria distribuisca meglio il personale.

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