L'esperto Risponde

La rubrica di consulenza ai lettori sulle principali questioni previdenziali

La salvaguardia pensionistica non cancella la pensione supplementare

La salvaguardia pensionistica non cancella la pensione supplementare

Franco Rossini 14/07/2022 Previdenza

I pensionati titolari di una pensione in regime di salvaguardia possono conseguire una pensione aggiuntiva sulla base dei contributi versati dopo il pensionamento o per l'attività professionale eventualmente svolta con iscrizione alla cassa professionale.


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Con la collaborazione di

Franco Rossini
Consulente con specializzazione in diritto del lavoro e della previdenza

Bruno Benelli
Collaboratore Confals e autore di numerosi saggi ed approfondimenti in materia previdenziale.

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Formatore Spi Cgil, ex dipendente Inpdap con pluriennale esperienza sulle previdenza del pubblico impiego

Dario Seghieri
Esperto in previdenza sociale, da anni autore di libri e di articoli su diversi siti web di settore.

Riforma del Lavoro, come cambia l'articolo 18

Licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo

Ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 604/1966, il licenziamento nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato può avvenire solo per giusta causa o per giustificato motivo.

La nozione di giusta causa è contenuta nell'articolo 2119 del codice civile, ai sensi del quale ciascuna delle parti del rapporto di lavoro a tempo indeterminato può recedere dal contratto, senza preavviso, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. L'articolo precisa che non costituisce giusta causa il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda. La giusta causa ricorre allorché siano commessi fatti di particolare gravità i quali, valutati oggettivamente e soggettivamente, sono tali da configurare una grave e irrimediabile negazione degli elementi essenziali del rapporto. A differenza dei comportamenti che costituiscono giustificato motivo soggettivo, che devono essere strettamente attinenti al rapporto contrattuale, secondo giurisprudenza e dottrina i comportamenti che integrano la giusta causa possono anche essere estranei alla sfera del contratto, ma idonei a produrre riflessi negativi nell’ambiente di lavoro e a deteriorare la fiducia insita nel rapporto di lavoro stesso.

La nozione di giustificato motivo si rinviene nell'articolo 3 della legge n. 604/1966, che dispone che il licenziamento per giustificato motivo è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Secondo dottrina e giurisprudenza, nel primo caso ("notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro") ricorre l'ipotesi del c.d. giustificato motivo soggettivo. Poiché si parla di inadempimento, i fatti che lo configurano devono essere costituiti esclusivamente da comportamenti attinenti al rapporto di lavoro. L’inadempimento si caratterizza in questo caso per essere di minore gravità "quantitativa" rispetto a quello che costituisce giusta causa per il recesso. Peraltro, ove esso non abbia le caratteristiche per essere considerato “notevole”, potrà essere sanzionato solo da misure disciplinari.

Il giustificato motivo oggettivo, invece, è determinato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza in tali casi spetta al datore di lavoro l’onere di provare il nesso di causalità tra il licenziamento e la riorganizzazione del lavoro; il giudice può valutare l'effettiva sussistenza di tale nesso, ma non può sindacare il merito delle scelte imprenditoriali che portano al licenziamento.

Alla tipizzazione delle condotte legittimanti il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo si provvede frequentemente nei contratti collettivi; tali previsioni tuttavia non sono vincolanti per il giudice.


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