L'esperto Risponde

La rubrica di consulenza ai lettori sulle principali questioni previdenziali

La salvaguardia pensionistica non cancella la pensione supplementare

La salvaguardia pensionistica non cancella la pensione supplementare

Franco Rossini 14/07/2022 Previdenza

I pensionati titolari di una pensione in regime di salvaguardia possono conseguire una pensione aggiuntiva sulla base dei contributi versati dopo il pensionamento o per l'attività professionale eventualmente svolta con iscrizione alla cassa professionale.


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Con la collaborazione di

Franco Rossini
Consulente con specializzazione in diritto del lavoro e della previdenza

Bruno Benelli
Collaboratore Confals e autore di numerosi saggi ed approfondimenti in materia previdenziale.

Carmine Diotallevi
Formatore Spi Cgil, ex dipendente Inpdap con pluriennale esperienza sulle previdenza del pubblico impiego

Dario Seghieri
Esperto in previdenza sociale, da anni autore di libri e di articoli su diversi siti web di settore.

Riforma del Lavoro, come cambia l'articolo 18

Tutela reale e tutela obbligatoria

La disciplina previgente, nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, distingue un'area nella quale si applica la c.d. "tutela reale" del lavoratore (prevista dall'articolo 18 della legge n.300 del 1970) ed un'area nella quale si applica invece la c.d. "tutela obbligatoria" (di cui all'articolo 8 della L. n. 604/1966). Nel primo caso, il datore di lavoro ha l'obbligo di reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato, salvo che il lavoratore stesso scelga di optare per una indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto; nel secondo caso, spetta al datore di lavoro la scelta tra la reintegrazione del lavoratore e la corresponsione di una indennità pecuniaria.

Ai sensi articolo 18 dello della legge n.300 del 1970, la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro (“tutela reale”) si applica nei confronti dei datori di lavoro che occupino più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento.

Si ricorda che la normativa previgente, a parte il caso del licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, prevede la tutela reale (e quindi la reintegrazione), indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, allorché il giudice abbia:

-     dichiarato il licenziamento inefficace per mancanza della forma scritta o della comunicazione, sempre per iscritto, dei motivi del licenziamento stesso (articolo 2 della legge n. 604/1966);

-    dichiarato la nullità del licenziamento discriminatorio, in quanto determinato (a prescindere dalla motivazione addotta) da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, ovvero da ragioni di discriminazione razziale, di lingua o di sesso (articolo 4 della legge n. 604/1966 e articolo 15 della legge n. 300/1970).

Con la stessa sentenza con cui il giudice dispone la reintegrazione ai sensi dell’articolo 18, comma 1, della legge n.300 del 1970 (che, ai sensi dell'articolo 18, comma 6, è provvisoriamente esecutiva), il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo. Il risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 4).

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno quantificato come sopra, al prestatore di lavoro è riconosciuta la facoltà di chiedere, in luogo della reintegrazione, un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5, della legge n.300 del 1970).

 Al di fuori del campo di applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e quindi essenzialmente per le imprese fino a 15 dipendenti, si applica invece la tutela obbligatoria di cui all'articolo 8 della legge n. 604/1966. Tale articolo dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, "il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro".

A prescindere dalle diverse opinioni prospettate in dottrina ed in giurisprudenza circa la configurazione, dal punto di vista teorico, del rapporto tra le due obbligazioni (riassunzione e risarcimento del danno), è certo che la norma di cui sopra non consente al lavoratore di ottenere, senza il concorso della volontà del datore di lavoro, il ripristino della precedente posizione lavorativa. Per altro verso, il risarcimento previsto nel caso di mancata riassunzione (che deve intendersi comunque dovuto anche quando sia il lavoratore a non voler ripristinare il rapporto, per effetto della sentenza interpretativa di rigetto n. 194 del 28 dicembre 1970 della Corte costituzionale) è comunque inferiore a quello previsto dall'articolo 18 della legge n. 300/1970.

Sussistono poi opinioni diversificate anche in ordine alla questione se la riassunzione dia luogo ad un nuovo rapporto di lavoro (come sembra ritenere l'opinione prevalente), ovvero costituisca la prosecuzione o la rinnovata attuazione del precedente rapporto, questione la cui soluzione ha naturalmente conseguenze significative per vari profili (spettanza di ulteriori erogazioni per i periodi intermedi, anzianità aziendale, trattamento di fine rapporto).


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