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Contratti a termine, restano i vincoli per il pubblico impiego
Nel settore pubblico il decreto Poletti si applica nei limiti in cui questo è compatibile con la disciplina indicata nel Dlgs 165/2011.
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Com'è noto dal 21 marzo 2014 è entrato in vigore il Dlg 34/2014 che ha riformato la disciplina del contratto a Tempo determinato. Le principali innovazioni sono ormai chiare a tutti. Il provvedimento, che sta suscitando diverse reazioni politiche, ha provveduto all'abolizione della causale per la sottoscrizione di contratti di lavoro a termine; ha introdotto un tetto massimo pari al 20 % dell'organico complessivo dell'azienda del numero dei rapporti di lavoro a termine che possono essere stipulati, ( limite che tuttavia non opera in confronto delle aziende con meno di 5 dipendenti per le quali viene sempre prevista la possibilità per il datore di stipulare un Contratto di lavoro a termine); ed ha precisato che il contratto a tempo può essere prorogato di otto volte sino ad un massimo di 3 anni a condizione tuttavia che le parti si riferiscano alla medesima attività lavorativa per la quale il contratto è stato originariamente stipulato.
Gabriella Martini, dell'ordine dei Consulenti del Lavoro, ricorda tuttavia che le innovazioni portate dal Dl 34/2014 non hanno grandi effetti per quanto riguarda il settore del Pubblico Impiego, settore in cui restano in vigore le disposizioni di cui all'articolo 36 del Dlgs 165 del 2001.
"Nel settore pubblico resta ferma la possibilità di ricorrere a forme contrattuali flessibili di impiego del personale per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale. Di conseguenza nel Settore Pubblico, nonostante l'introduzione della nuova normativa, resta sempre necessaria l'indicazione della causale nella stipula di Contratti a tempo determinato".
Per quanto riguarda invece il tetto massimo di Contratti a tempo determinato fissato con il 20% di organico "anche tale misura non pare essere compatibile con il Settore Pubblico in quanto, anche se è vero che sussiste un richiamo generico ai Contratti Collettivi di lavoro, questo limite è troppo elevato e ciò potrebbe favorire forme di abuso a discapito dei lavoratori".
In definitiva l'unica novità del Decreto Poletti che risulta compatibile con il Settore Pubblico è quella relativa alla possibilità di prorogare fino ad otto volte il Contratto a tempo determinato sempre rispettando il limite massimo di 36 mesi a condizione che non vi sia abuso.
Dirigenti Pubblici, Renzi dice sì al tetto a 240mila euro
I dirigenti della Pubblica Amministrazione non potranno guadagnare più del Capo dello Stato. Dal tetto agli stipendi sono attesi risparmi per 500 milioni.
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Renzi accelera sull'idea di introdurre il principio in base al quale nessuno nella Pubblica Amministrazione può guadagnare più del Capo dello Stato. Nel Cdm di ieri che ha licenziato il DEF il premier ha confermato che dal prossimo 18 Aprile sarà introdotto un nuovo tetto ai stipendi dei manager pubblici pari a 239mila euro lordi annui, la retribuzione lorda del Capo dello stato. Secondo indiscrezioni potrebbero anche essere introdotti tetti differenziati e via via decrescenti per ogni figura dirigenziale della Pubblica Amministrazione.
Secondo le cifre del MEF, i risparmi per lo Stato si attesterebbero almeno sui 400milioni l'anno se il tetto allo stipendio passasse dai 311.658,53 euro lordi all'anno previsti oggi, ai 239.181 euro riconosciuti al Capo dello Stato. Una sforbiciata di oltre il 20% che funzionerà da effetto domino travolgendo verso il basso tutto il sistema delle retribuzioni dirigenziali.
Dovrebbero essere introdotti anche limiti via via discendenti per Capi dipartimento (190mila euro), Dirigenti di prima fascia (120mila euro) e per quelli di seconda fascia, che dovrebbero attestarsi verso i 70-80 mila euro annui. Il premier è determinato a continuare la sua offensiva contro gli sprechi della Pubblica Amministrazione e contro i privilegi della politica: «Non ci saranno più santuari, dopo il Senato e le Province taglierò anche doppioni ed enti inutili», garantisce Renzi che ha inquadrato nel mirino le sei-settemila aziende municipalizzate (garantiscono circa 80 mila poltrone a politici e amici dei politici), l’Aci e la Motorizzazione, i Consorzi di bonifica di cui è costellata la Penisola.
Indipendentemente dall'esito della Riforma, il meccanismo ideato dovrebbe colpire quasi tutti i dirigenti pubblici, a partire dagli Enti pubblici non economici (Inps, Aci, Istat) dove lo stipendio medio dei dirigenti di prima fascia è abbondantemente oltre i 200mila euro, e quello della seconda fascia si attesta a 135mila euro. Nei Ministeri gli importi si collocano invece fra i 187mila euro medi della prima fascia e gli 88mila euro della seconda, che salgono a 96mila per Palazzo Chigi.
Pensioni, chi trasferisce la residenza all'estero perde l'integrazione al minimo
La quota di pensione che consente di raggiungere il livello minimo non è esportabile da parte dei titolari che trasferiscono la propria residenza in uno stato dell'Unione europea.
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L'Inps con il messaggio n. 3770/2014, in risposta alle numerose richieste di chiarimenti sull'argomento da parte dei propri uffici periferici ha precisato che la quota di pensione che consente di raggiungere il livello minimo, pari a 501,38 euro non è esportabile da parte dei titolari che trasferiscono la propria residenza in uno stato dell'Unione europea.
Attualmente infatti il calcolo della pensione con il sistema retributivo viene determinato sulla base del numero degli anni di contributi e della cosiddetta retribuzione pensionabile, ossia la media degli stipendi percepiti nell'ultimo periodo di lavoro (o degli ultimi redditi dichiarati al Fisco per i lavoratori autonomi).
L'importo della rendita risulta pari a un 2% della retribuzione pensionabile, per ogni anno di contributi. Quando l'importo calcolato sulla base della contribuzione effettivamente versata risulta inferiore a una certa cifra (il minimo stabilito dalla legge) si procede alla cosiddetta integrazione, che rappresenta quindi la differenza, a carico dello stato, tra la quota effettivamente maturata e la soglia stabilita.
Le condizioni richieste affinché scatti l'integrazione sono due: il richiedente la pensione non deve avere altri redditi Irpef di importo superiore al doppio del minimo; il reddito complessivo della coppia (pensionato e relativo coniuge) non deve superare l'importo annuo di 4 volte il minimo.
L'art.70 del regolamento (Ce) n. 883/2004 disciplina le «prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo» aventi caratteristiche sia delle prestazioni assistenziali che di quelle previdenziali. Tali prestazioni, se elencate nell'allegato X del regolamento , sono inesportabili negli stati membri e, quindi, vengono erogate esclusivamente nel paese in cui gli interessati risiedono in base ai criteri previsti dalla legislazione di detto stato.
Pertanto, si legge nella nota, sono a carico dell'istituzione del luogo di residenza: gli assegni sociali, le rendite assistenziali, l'integrazione della pensione minima e le maggiorazioni sociali. Quindi i residenti in paesi entrati a far parte dell'Ue, titolari di pensione in regime nazionale o internazionale, che abbiano perfezionato i requisiti per l'attribuzione dell'integrazione al trattamento minimo prima dell'ingresso dello stato nell'Unione europea, mantengono anche dopo tale data il diritto al pagamento dell'integrazione, sempreché soddisfino i requisiti previsti dalla normativa di riferimento.
Al contrario, in applicazione del citato principio dell'inesportabilità, non potranno essere corrisposte integrazioni al trattamento minimo i cui requisiti, in particolare reddituali, si siano perfezionati in capo al titolare di pensione residente all'estero in data successiva all'ingresso dello stato nell'Unione.
Ai fini del mantenimento dell’integrazione al trattamento minimo, conclude la nota, non solo la decorrenza del trattamento pensionistico deve collocarsi anteriormente alla data di ingresso dello Stato nell’Unione europea, ma devono essere soddisfatte, prima di detta data, tutte le condizioni, previste dalla normativa nazionale, per l’attribuzione dell’integrazione al trattamento minimo.
Irap 2014, lo sconto per il primo anno sarà solo del 5%
Si riduce al 5% lo sconto Irap che sarà garantito alle imprese nel 2014 attraverso l'aumento delle rendite finanziarie. Il prossimo anno salirà al 10%.
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Nelle prossime ore il governo dovrà presentare il Def, il documento di economia e finanza che indicherà le stime e le previsioni dei conti pubblici italiani. Soprattutto indicherà quale obiettivi economici e fiscali si dovranno perseguire. E come raggiungerli, con quali coperture.
Sino ad oggi infatti le dichiarazioni di Renzi sul taglio delle tasse sull'Irpef e per l'Irap non hanno ancora alcun fondamento. E' proprio l'Irap però preoccupa maggiormente il premier Matteo Renzi: nella conferenza stampa di metà Marzo il premier aveva infatti annunciato dal primo maggio un taglio del 10% dell'odiosa tassa sulle imprese. Misura coperta con l'innalzamento della pressione fiscale sulle rendite finanziare con l'aliquota che, dal 20 per cento, arriverà al 26. Ma dato che la nuova aliquota entrerà in vigore dal 1° Luglio (tecnicamente non è possibile introdurla prima) la misura non sarà in grado di coprire completamente lo sconto. Per cui è sempre piu' probabile la possibilità che il taglio per il 2014 si attesterà solo al 5% per poi raddoppiare al 10% nel 2015.
Minori problemi invece per garantire lo sconto delle tasse da fine maggio che porterà 80 euro in piu' nella busta dei lavoratori con redditi fino a 25 mila euro lordi l'anno. L'operazione vale circa 6,6 miliardi di euro per gli 8 mesi del 2014 e 10 miliardi a regime.
L'intervento sarà coperto quasi integralmente attraverso la spending review e con l'eliminazione degli enti inutili tra cui potrebbero anche rientrare le Camere di Commercio, Aci, Motorizzazione, municipalizzate, consorzi di bonifica.
Nella Sanità non ci sarà il taglio da 2,5 miliardi ma piuttosto tagli selettivi, con l'introduzione dei costi standard e un risparmio stimato che può avvicinarsi anche al miliardo.
Quanto alle modalità dello sconto Irpef bisogna attendere il provvedimento definitivo, probabilmente un decreto legge entro Pasqua. Il meccanismo più probabile per il Tesoro resta quello delle detrazioni in busta paga, con paletti e condizioni ben precise.
Il massimo guadagno per i lavoratori sarà in corrispondenza dei redditi attorno ai 25 mila euro annui per poi esaurirsi oltre i 30 mila. A Palazzo Chigi, resta ancora sulla carta l'ipotesi di una de-contribuzione tramite l'Inps per spalmare l'aiuto anche sui redditi bassissimi
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Pensioni, non tramonta l'ipotesi di un ricalcolo con il contributivo
Secondo il direttore generale dell'Inps, Mauro Nori, è possibile ricalcolare gli assegni oltre un determinato importo attraverso il sistema contributivo: 16 milioni i potenziali interessati ma per Nori si possono scegliere anche solo quelle piu' ricche.
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Secondo il Direttore Generale, è possibile procedere al ricalcolo delle pensioni con il sistema contributivo. E' quanto ha affermato davanti alla commissione Lavoro di Montecitorio alcuni giorni fa presieduta dall'ex ministro del Welfare, Cesare Damiano. Nori ha detto che sarebbe possibile ricalcolare con il sistema contributivo tutte le pensioni in essere anche se la procedura è complessa e richiederà l'impiego di tutte le risorse umane e tecnologiche dell'Istituto. Insomma dovrà valerne la pena e dovrà esserci una precisa volontà politica.
La complessità deriva dal fatto che per i periodi antecedenti al 1995 per il pubblico impiego manca una banca dati unica in quanto ciascun ente procedeva al pagamento delle prestazioni in proprio. «Me se il governo o il Parlamento lo vorranno,» si potranno spostare risorse dell'Inps (personale e fondi), per elaborare uno studio statistico e scoprire quanto spetterebbe veramente ricalcolando con il contributivo e non piu' con il generoso sistema retributivo.
In pratica significa andare a spulciare oltre 16 milioni di singole posizioni di pensionati per colpire chi oggi percepisce un assegno piu' generoso rispetto ai contributi versati. Se è vero che per il settore privato il calcolo è semplice e fattibile, ha puntualizzato Nori, "siamo in grado di effettuare con sufficiente ottimismo il ricalcolo contributivo di tulle le pensioni", in quanto esiste una serie storica dei singoli versamenti, per il comparto pubblico si è sempre saputo che ciò fosse impossibile in quanto difficile ricostruire la carriera del lavoratore.
E' solo un'ipotesi, ci mancherebbe, ma è di quelle che potrebbero far accapponare la pelle a milioni di persone perchè, accertato che con il vecchio sistema retributivo (calcolato sugli ultimi 5 anni di attività), si incassa una pensione ben piu' generosa, passare al retributivo (solo versamenti effettivi e rendimenti cumulati), vorrebbe dire perdere una buona parte del trattamento.
A rischio, in realtà, non sarebbero tutti i 16 milioni di pensionati, ma solo quelli che percepiscono trattamenti piu' elevati (oltre i 7-8 mila al mese) per i quali il "bonus" pesa maggiormente ed il vantaggio è piu' indifendibile in un momento di crisi economica generale; sempre che un simile intervento, se approvato, possa passare indenne da un esame della Consulta.
Il sistema retributivo regala un bonus ai fortunati detentori di queste pensioni fino al 34%, che sale proporzionalmente all'aumentare della retribuzione. In pratica, oltre un terzo della pensione è regalata. Un bel vantaggio che tuttavia appare sempre piu' difficile politicamente da difendere in un periodo di vacche magre come quello odierno.
Secondo il dossier elaborato dal servizio studi della Camera per le pensioni dei lavoratori dipendenti privati maturate dopo il 2008 pari a 12 miliardi di spesa, almeno 3 miliardi non corrispondono ai contributi effettivamente pagati dai lavoratori. E' il prezzo del "regalo". Valori che tuttavia non tengono conto dei dipendenti pubblici per i quali anche la Camera ha dovuto arrendersi.
Altro...
Affitti in nero, dopo la decisione della Consulta rischio caos
Dopo la bocciatura della Corte Costituzionale della norma sugli affitti in nero, il Governo ha aperto un dossier per valutare cosa fare.
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I giudici della Corte Costituzionale – con la Sentenza 50/2014 – hanno cancellato la possibilità per l'inquilino di denunciare il proprietario ottenendo in cambio un affitto a canone iper-scontato per quattro anni, rinnovabili di altri quattro.
Nello specifico la Consulta ha dichiarato illegittimo l'articolo 3, commi 8 e 9, del Dlgs 23/2011 che permetteva all'inquilino di registrare di propria iniziativa il contratto d'affitto presso un qualsiasi Ufficio delle Entrate, beneficiando cosi' di un canone annuo pari al triplo della rendita catastale (importo che spesso era del 70-80% inferiore ai valori di mercato), con una durata di quattro anni rinnovabili di altri quattro.
La registrazione poteva essere effettuata a cura dell'inquilino – ma anche da parte dei funzionari del Fisco o della Guardia di Finanza – in tutti i casi in cui il contratto d'affitto non era stato registrato dal propretario entro il termine previsto dalla legge, in genere 30 giorni dalla firma; stessa situazione accadeva quando il contratto era stato registrato indicando un importo inferiore a quello reale e quando al posto di un contratto di locazione, era stato registrato un finto comodato gratuito.
Con la decisione della Consulta i proprietari potranno chiedere agli inquilini di liberare l'abitazione. Ma bisognerà anche regolare il periodo in cui il conduttore ha occupato l'alloggio: se è vero che il canone di legge non esiste più, il proprietario ha diritto a un'indennità per l'arricchimento senza causa, e alla fine potrebbe essere il giudice a risolvere la questione.
Ora dunque il governo dovrà decidere cosa fare con i contratti registrati a partire da giugno 2011 sulle base del Dlgs 23/2011. Sul tavolo i nodi delle conseguenze per gli inquilini, che potrebbero essere chiamati a pagare i canoni fissati in origine, e come fare per non disperdere i primi risultati sul fronte della lotta agli affitti in nero. Il dossier è di competenza del Ministero delle Infrastrutture, che nei giorni scorsi ha incontrato i Sindacati degli inquilini e le Associazioni della proprietà edilizia.
Pesanti gli effetti per i conduttori che hanno denunciato e beneficiato dei canoni ridotti, che si stanno vedendo già recapitate le diffide per ottenere il reintegro dei canoni. Peggio ancora per gli inquilini che non avevano un contratto scritto che potrebbero anche essere citati in giudizio per occupazione abusiva e vedersi arrivare una sentenza di sfratto, nel giro di due o tre mesi se non si fa opposizione; oltre ovviamente al rischio di un distacco delle utenze.
Riforma del Lavoro, il contratto di inserimento sarà sperimentale
Il ddl delega per la riforma del mercato del lavoro è pronto. Così cambiano ammortizzatori e contratti. Contributi cig ripartiti in base all’utilizzo, sperimentazione del contratto di inserimento.
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C'è l'obiettivo di garantire un sostegno al reddito anche a chi oggi non ne ha diritto — come i co. co. co. e c'e l'impegno a tutelare la maternità di tutte le donne lavoratrici, anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia versato i contributi.Si vogliono potenziare i voucher, che si vorrebbero sempre più simili ai mini-jobs tedeschi. Sono queste le principali novità che potrebbero vedere l'ingresso nel nostro ordinamento con il ddl delega sul lavoro che è arrivato in Senato.
Il ddl delega si affianca al decreto lavoro sui contratti a termine e apprendistato già all’esame della Camera e completa le misure di riforma del mercato del lavoro contenute nel cd. Jobs Act.
Naturalmente, essendo una legge delega, sono enunciati i principi e i criteri base di ogni misura: bisognerà poi attendere i decreti legislativi per i dettagli. E nella delega c'è anche il contratto unico a tutele crescenti, citato in realtà solo in forma «eventualmente sperimentale».
In pratica in un primo periodo (pari a tre anni) verrà concesso all’imprenditore di assumere a tempo indeterminato sapendo però che, se le cose dovessero andare male, può licenziare il lavoratore senza la paura di essere portato in tribunale.
Un utilizzo che non piace alla minoranza del Pd e che non va bene nemmeno al sindacato. «E' una proposta puramente teorica, le imprese utilizzeranno il contratto a termine liberalizzato» ha commentato Guglielmo Loy della Uil.
In caso di perdita di lavoro si potrà usufruire dell’Aspi, assicurazione sociale per l’impiego, che sarà universalizzata con l’estensione ai co.co.co. L’importo e la durata saranno «commisurati alla storia contributiva del lavoratore». Ovvero dipenderanno da quanti contributi sono stati versati: chi più ne ha, potrà usufruire dell’assegno per un periodo più lungo.
Prima dell’entrata a regime del nuovo strumento ci sarà una sperimentazione biennale e risorse definite. Chi usufruirà dell’assegno dovrà comunque darsi da fare: il ddl prevede che il beneficiario sia coinvolto in attività a favore delle comunità locali, non necessariamente promosse da enti pubblici.
Per aiutare chi ha perso il lavoro a trovarne un altro verranno razionalizzati gli incentivi all’assunzione esistenti e nascerà - senza nuovi oneri - l’Agenzia nazionale per l’occupazione. In pratica ci sarà un riordino delle liste di disoccupazione. Oggi infatti vi s'iscrivono anche molte persone che non cercano un posto, ma vogliono solo ottenere servizi assistenziali sociali.
Secondo le intenzioni del governo lo stato di disoccupazione non sarà più considerato requisito essenziale per averne diritto. In arrivo anche una semplificazione delle forme contrattuali. Alcune probabilmente spariranno. Partirà anche la sperimentazione del salario minimo. I voucher per le attività lavorative discontinue e occasionali saranno estesi a tutti i settori produttivi.
Pensioni, ecco le regole per l'accesso dei lavoratori salvaguardati
La riforma pensionistica del 2011 ha abolito il sistema delle pensioni di anzianità e delle quote e le finestre mobili. Ma i lavoratori salvaguardati continuano a dover fare i conti con il vecchio e problematico sistema di pensionamento.
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Sono tanti i quesiti dei lettori che ci chiedono quali sono le modalità di accesso alla pensione con specifico riguardo ai lavoratori salvaguardati. La stratificazione delle Riforme che si sono susseguite in questi ultimi anni ed un cantiere sempre aperto su questo tema infatti non fanno altro che alimentare incertezze e dubbi. Vediamo dunque in questo articolo di riassumere le modalità di pensionamento a cui sono soggetti.
Prima di tutto va fatta una premessa. Le regole riguardanti il pensionamento sono state modificate dal 1° Gennaio 2012 con la Riforma del Dl 201/2011 (che ha abolito le pensioni di anzianità e disapplicato le finestre mobili) ma gli oltre 130 mila lavoratori che sono rientrati o che rientreranno nella categoria dei "salvaguardati" nei prossimi tempi manterranno le vecchie regole, piu' favorevoli. Quelle vigenti sino al 31.12.2011. Si tratta dunque di una deroga, un'eccezione, che viene riconosciuta ai lavoratori che si trovano in condizione di fragilità economica e sociale.
Gli interessati hanno infatti lasciato (o perso) il posto di lavoro prima del 31.12.2011; e per costoro l'allungamento dell'età pensionabile disposta con il Dl 201/2011 avrebbe comportato anni di vuoto economico insostenibile. Il beneficio tuttavia è riconosciuto non tout court ma solo in favore dei soggetti che, in base alle vecchie norme, erano piu' prossimi alla pensione (qui gli ulteriori dettagli sulle categorie ammesse in base a ciascuna salvaguardia).
Dato che in favore di questi soggetti rivive la vecchia disciplina pensionistica appare utile avere ben chiare le sue regole per comprendere quando si potrà andare in pensione.
Vediamo prima di tutto le regole per l'accesso alla pensione di anzianità per il periodo 2012-2019, termine entro il quale la maggior parte dei salvaguardati maturerà la pensione.
Dipendenti - La vecchia normativa vede il mantenimento delle cd. quote. Le quote sono determinate dalla somma dell'età del lavoratore e dei contributi maturati. Per i dipendenti pubblici e privati (uomini e donne) nel 2012 i requisiti da perfezionare sono quota "96" con un minimo di 60 anni e 35 di contributi. Quindi per accedere alla pensione di anzianità si possono far valere 60 anni e 36 anni di contributi oppure 61 anni e 35 anni di versamenti. Dal 1° gennaio del 2013 i requisiti si alzano di un anno e vengono anche adeguati alla stima di vita Istat (3 mesi).
Pertanto da questa data in poi, è necessario raggiungere quota "97,3", con un'età minima di 61 anni e 3 mesi ed almeno 35 di contributi. Dal 2016 in poi ci sarà un ulteriore adeguamento alla stima di vita Istat pari, è ancora una stima non ufficiale, a 4 mesi. Da questa data in poi sarà dunque necessario perfezionare quota 97,7 ed un'età minima di 61 anni e 7 mesi di età (oltre a 35 anni di contributi).
Ad esempio un lavoratore salvaguardato nato nel gennaio 1953 che può vantare 36 anni di contributi a gennaio 2014 maturerà i requisiti per la pensione di anzianità nell'Aprile 2014: per quella data avrà infatti 61 anni e 3 mesi di età e la somma età e contributi supererà quota 97,3 (36+61 e 3 mesi = 97,3).
Gli autonomi - Le stesse regole valgono anche per artigiani, commercianti e agricoltori per i quali le quote sono però più alte (96, 97 e 98) e comportano un'età minima più alta di un anno. Quindi nel 2012 sono necessari 61 anni e quota 97 (ed almeno 35 di contributi); nel triennio 2013-2016 diventano "98,3" e 62 anni e 3 mesi di età; e dal 2016 salgono a "98,7" e 62 anni e 7 mesi di età.
Per tutto il periodo 2012-2019 resta sempre possibile accedere alla pensione di anzianità, indipendentemente dall'età anagrafica, con i 40 anni di contributi (2080 settimane), si tratta dei cd. "quarantisti" che possono pertanto accedere alla pensione anche con età inferiori a 60 anni e senza alcuna penalità a condizione però di aver raggiunto il solo requisito contributivo.
Il raggiungimento della quota per la pensione di anzianità è facilitato dal fatto che si tiene conto anche delle frazioni di età e di contribuzione, fermo restando che complessivamente quest'ultima non può essere inferiore a 35 anni. Supponiamo, tanto per fare un esempio, che un lavoratore dipendente possa far valere al 31 luglio 2012 60 anni e 6 mesi di età e una contribuzione di 35 anni e 6 mesi. In questo caso matura alla stessa data (31 luglio 2012 ) il requisito per la pensione di anzianità con la quota "96". Il conteggio sarà effettuato in modo tale da utilizzare anche le frazioni minime con arrotondamenti fino al terzo decimale sia dell'età che dell'anzianità contributiva. Per il raggiungimento di una determinata quota non si potrà utilizzare, però, la contribuzione figurativa per disoccupazione e malattia. Fermo restando che gli stessi periodi saranno considerati utili per maturare i 40 anni di contribuzione, sempre che senza di essi si raggiunga la soglia minima dei 35 anni.
Pensione di vecchiaia - Piu' semplici invece le regole per la pensione di vecchiaia. Gli uomini del settore privato e pubblico e le donne del settore pubblico accedono alla prestazione di vecchiaia con 65 anni e 20 di contributi dal 2012 che salgono a 65 anni e 3 mesi dal 2013 e passano a 65 anni e 7 mesi dal 2016. L'incremento è sempre legato alla stima di vita che com'è già detto è di 3 mesi nel 2013 e di 4 mesi nel 2016. Scalini molto piu' ripidi per le donne del settore privato che all'indomani dell'approvazione della legge 111/2011 avrebbero dovuto dal 2014 scontare il lento e progressivo adeguamento dell'età pensionabile a quella degli uomini. Questi infatti i requisiti per la vecchiaia: 60 anni nel 2012; 60 anni e 3 mesi nel 2013; 60 anni e 4 mesi nal 2014; 60 anni e 6 mesi nel 2015; 61 anni ed un mese nel 2016; 61 anni e 5 mesi nel 2017; 61 anni e 10 mesi nel 2018 e 62 anni e 8 mesi nel 2019.
Le finestre mobili - Con la vecchia disciplina restano in vigore anche le finestre mobili introdotte con il Dl 78/2010. Per i lavoratori dipendenti sono pari a 12 mesi dalla data di maturazione del requisito; per gli autonomi sono invece pari a 18 mesi. Ancora piu' lunghe quelle per i quarantisti che dal 2012 scontano un differimento di un mese, di due mesi dal 2013 e di tre mesi dal 2014.
La complessità della normativa previgente può essere chiarita dalle seguenti tabelle.
P. Anzianità (quote) | Lavoratori dipendenti | Lavoratori Autonomi | ||||
Anno | Età* | Contributi* | Quota | Età* | Contributi* | Quota |
2011-2012 | 60 | 35 | 96 | 61 | 35 | 97 |
2013-2015 | 61 anni e 3 mesi | 35 | 97,3 | 62 anni e 3mesi | 35 | 98,3 |
2016-2018 | 61 anni e 7 mesi | 35 | 97,7 | 62 anni e 7 mesi | 35 | 98,7 |
dal 2019 | 61 anni e 11 mesi | 35 | 98,1 | 62 anni e 11 mesi | 35 | 99,1 |
Finestra | 12 mesi | 18 mesi | ||||
* Valori al di sotto dei quali non è possibile scendere. Cio' significa che la quota può essere raggiunta tramite la somma di 61 anni e 35 contributi oppure 60 anni e 36 contributi. Ma non tramite la somma di 59 anni e 37 o 62 anni e 34 di contributi. |
Pensione di Anzianità (40 anni di contributi) | ||||
Tipologia | Requisito contributivo 2012-2019 | Finestra 2012 | Finestra 2013 | Finestra 2014 in poi |
Dipendenti | 40 anni | 13 mesi | 14 mesi | 15 mesi |
Autonomi | 40 anni | 19 mesi | 20 mesi | 21 mesi |
Pensione di vecchiaia | Uomini e Donne Pubblico Impiego | Donne settore Privato |
2012 | 65 anni | 60 anni |
2013 | 65 anni e 3 mesi | 60 anni e 3 mesi |
2014 | 65 anni e 3 mesi | 60 anni e 4 mesi |
2015 | 65 anni e 3 mesi | 60 anni e 6 mesi |
2016 | 65 anni e 7 mesi | 61 anni ed 1 mese |
2017 | 65 anni e 7 mesi | 61 anni e 5 mesi |
2018 | 65 anni e 7 mesi | 61 anni e 10 mesi |
2019 | 65 anni e 11 mesi | 62 anni e 8 mesi |
Finestra | 12 mesi |
Pensioni, l'Inps avvia le verifiche sui beneficiari delle prestazioni assistenziali
Ai pensionati che hanno utilizzato i canali telematici l'Inps chiederà via internet i dati relativi ai redditi 2013. Da luglio l'istituto invierà un sollecito su carta a chi non ha risposto.
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I pensionati che hanno già utilizzato il canale telematico Inps in passato potranno inviare all'istituto previdenziale, anche tramite i Caf e i professionisti abilitati, i documenti per effettuare la verifica dei requisiti reddituali o per le prestazioni assistenziali.
I pensionati destinatari di prestazioni collegate al reddito o assistenziali riceveranno infatti un messaggio di posta elettronica che li inviterà a comunicare, entro il 30 giugno, le informazioni relative ai redditi 2013 per certificare il possesso dei requisiti alla fruizione dei benefici. L'avviso interesserà coloro che l'anno scorso hanno trasmesso online la dichiarazione reddituale o di responsabilità.
Collegandosi al sito internet dell'Inps, sezione «servizi online», «servizi per il cittadino» l'interessato potrà accedere alla sezione del portale dedicata alle verifiche reddituali: dopo aver proceduto all'autenticazione potrà immediatamente comprendere se la sua posizione necessita di essere integrata con alcune informazioni. In tal caso l'Inps mediante un apposito modulo consentirà l'invio della documentazione richiesta.
Dal prossimo luglio inoltre, chi non avrà comunicato i dati tramite internet,riceverà su carta, la richiesta della presentazione delle dichiarazioni riguardanti la situazione reddituale o le prestazioni assistenziali con l'indicazione dell'ultimo termine utile entro cui fornire le informazioni.
In mancanza di comunicazione delle informazioni entro i termini previsti, l'Inps è autorizzato a sospendere le prestazioni nel corso dell'anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere resa la dichiarazione, oltre all'obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite.
Tasi 2014, i contribuenti alla cassa entro il 16 giugno
La Tasi dovrà essere pagata in due rate che scadono il 16 giugno e il 16 dicembre, mentre l'acconto 2014 per gli immobili diversi dall'abitazione principale dovrà essere calcolato con l'aliquota base dell'1 per mille.
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Secondo le principali modifiche introdotte dalle Commissioni Finanze e Bilancio della Camera al decreto "Salva-Roma ter" in materia di tasse sul mattone, la Tasi dovrà essere pagata in due rate che scadono il 16 giugno e il 16 dicembre (sulla falsariga di quanto è acccaduto per l'Imu), mentre l'acconto 2014 per gli immobili diversi dall'abitazione principale dovrà essere calcolato con l'aliquota base dell'1 per mille, qualora i comuni non abbiano deliberato una diversa aliquota entro maggio.
Queste le novità in sede di esame della legge di conversione del decreto legge 16/2014, che approda questa settimana in Aula per la discussione generale. Il chiarimento sul calendario evita quella "libertà di date" prevista nella legge di stabilità che avrebbe chiamato i contribuenti alla cassa sei volte all'anno ma complica le modalità di pagamento per milioni di cittadini. I Comuni avranno sino al 31 luglio per fissare le aliquote.
La previsione di un siffatto meccanismo non è al riparo di storture e complessità. La prima è che dalla fissazione dell'acconto con aliquota standard sono escluse le abitazioni principali, pertanto nei Comuni che non decidono le aliquote entro maggio, i contribuenti saranno chiamati a pagare l'intera soluzione a dicembre.
Con riguardo alla seconde case, solo per quest'anno, il versamento della prima rata sarà effettuato con l'aliquota base Tasi dell'1 per mille qualora il comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014.
I contribuenti dovranno quindi conguagliare a dicembre l'eventuale il saldo sulla base delle aliquote approvate dai singoli enti entro il 31 luglio 2014. Ma tale previsione rischia di determinare il pagamento in acconto di somme non dovute che quindi dovranno essere poi restituite al contribuente.
L'aliquota standard, infatti, chiede l'1 per mille a tutti, ma in molti Comuni i sindaci non potranno applicarla perchè l'Imu è già al 10,6 per mille e tale pagamento comporterebbe che milioni di contribuenti sarebbero chiamati a versare a giugno un'imposta che dovrà loro essere restituita.
Dal prossimo anno poi, per provare a semplificare la vita a cittadini e imprese, il versamento della'acconto sulla Tasi sarà effettuato sulla base dell'aliquota dei 12 mesi precedenti, mentre il saldo dovrà tenere conto degli atti pubblicati dal comune entro il 28 ottobre. Il contribuente che voglia liberarsi del pagamento in una unica soluzione potrà effettuare un unico pagamento entro il 16 giugno.
Insomma come nel 2012, il cambio delle regole in corsa rischia di essere fonte di errori e incertezze anche per gli addetti ai lavori.
Oltre alle modalità di pagamento, ancora non risulta chiaro se saranno disponibili i bollettini Tasi precompilati che i Comuni dovrebbero inviare ai contribuenti (operazione complessa per la mancanza di dati e informazioni sugli occupanti degli immobili) e restano dei dubbi sul calcolo del tributo in presenza di più proprietari (qui si dovrà chiarire se la Tasi dovrà essere determinata in base alla quota di ciascun proprietario, come per l'Imu) nonchè di come ripartire l'onere tra inquilino e proprietario.