Delle oltre 370mila pensioni pagate all'estero, il 16% dei titolari, oltre 59mila, scelgono di lasciare l'Italia perché considerano alto il costo della vita nel nostro Paese e per usufruire di vantaggi fiscali, nonostante gli assegni siano frutto di contributi versati interamente in Italia. Nel 2016, infatti, si legge nello studio, sono state 373.265 le prestazioni pensionistiche liquidate all'estero, da ripartire tra cittadini italiani (l'82,6%) e stranieri (il 17,4%): circa 160 i diversi Paesi coinvolti per un importo complessivo pari a 1.057.428.584 euro. E’ destinata in Europa la maggior parte dei pagamenti; seguono l'America Settentrionale, l'Oceania e l'America Meridionale.
Complessivamente, si tratta in prevalenza di pensioni di vecchiaia (227.367), cui seguono quelle ai superstiti (132.479) e con una certa distanza le pensioni di invalidità (13.419), calcolate “in regime di convenzione internazionale” (che consente la totalizzazione dei contributi), vale a dire frutto di versamenti effettuati in parte in Italia e in parte all'estero, mentre il restante 16%, pari a 59.537 prestazioni, riguarda le pensioni calcolate in “regime nazionale”, la cui contribuzione è stata cioè interamente versata nel nostro Paese.
Benché di rilievo numerico ancora contenuto, avverte il Rapporto, "i dati obbligano a fare i conti con i pensionati italiani che “fuggono” verso l'estero per due ragioni principali: il costo della vita e i possibili vantaggi fiscali". Il pensionato residente oltre il nostro confine nazionale per più di 6 mesi, infatti, può chiedere all'Inps il pagamento della pensione al lordo delle tasse, optando per la tassazione esclusiva nel Paese di residenza oppure per l'applicazione del trattamento fiscale più favorevole. In questi casi, l'Istituto Nazionale di Previdenza Sociale mette in pagamento la pensione al lordo della tassazione, che viene successivamente applicata secondo il regime fiscale vigente nel Paese estero di residenza.