La questione
La questione riguardava un contribuente, in carica quale consigliere regionale, che nell’anno d’imposta 2004 si era portato in deduzione dai redditi i contributi trattenuti sull’indennità di presenza al fine del finanziamento dell’assegno vitalizio di fine mandato. La Commissione tributaria Provinciale di Udine aveva confermato l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate ex art. 36 bis DPR 600/73 (controllo automatizzato della dichiarazione) relativamente alla indeducibilità delle somme. La Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia aveva successivamente ribaltato la decisione ritenendo che tali contributi avessero natura previdenziale in quanto obbligatori secondo la specifica normativa regionale. Contro la sentenza della Commissione Regionale l’Agenzia delle Entrate adiva alla Suprema Corte deducendo, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. "violazione e falsa applicazione dell'art. 10, primo comma, lett. e), e degli artt. 50, 51 e 52 del d.P.R. 917/1986, nonché degli artt. 1, 2, 3 e 7 della legge regionale del Friuli Venezia Giulia n. 38/1995" contestando la decisione della Commissione Tributaria Regionale.
La decisione
Secondo la Cassazione i contributi versati per il finanziamento dell'assegno vitalizio regionale non sono deducibili dal reddito in quanto non hanno natura previdenziale ed assistenziale. La Corte giunge alla conclusione nel solco di alcune decisioni sulla questione (in riferimento alle Marche e al Molise) nelle quali è stato sancito un principio generale in tema di imposte sui redditi: le trattenute obbligatorie operate sull'indennità di carica dei consiglieri regionali, a titolo di contributo per la corresponsione dell'indennità di fine mandato, devono essere assoggettate a tassazione (non potendo ad esse applicarsi la causa di esclusione di cui all'art. 51, 2° comma, lett. a) d.P.R. n. 917 del 1986 relativa ai «contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge») in quanto ad esse non può essere riconosciuta natura previdenziale, essendo finalizzate all'erogazione di un vitalizio che si differenzia dalle prestazioni di natura pensionistica.
La natura non previdenziale dell'assegno vitalizio, peraltro, era già stata ribadita in una decisione della Cassazione a Sezioni Unite (Cass. SU, 20.7.2016, n. 14920) in cui è stato affermato che il vitalizio ragionale non può essere assimilato alla pensione del pubblico dipendente. Ciò in quanto i i consiglieri regionali non sono titolari di un rapporto di lavoro ma sono semplicemente investiti di un incarico che si ottiene attraverso un’elezione popolare e non consegue il superamento di un concorso pubblico. Pertanto non intercorre tra il consigliere regionale e la Regione un rapporto di lavoro subordinato e di conseguenza il trattamento di fine mandato si differenzia per principi e per caratteristiche da un trattamento pensionistico che scaturisce da un rapporto di lavoro.
In tal senso depone, infine, anche una interpretazione del giudice delle leggi. Nella sentenza n. 289 del 1994 della Corte Costituzionale è stato, infatti, chiarito che tra la situazione del titolare di assegno vitalizio goduto in conseguenza della cessazione di una determinata carica e quella del titolare di pensione derivante da un rapporto di pubblico impiego 'non sussiste ... una identità né di natura, né di regime giuridico, dal momento che l'assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico: indennità che, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego". Alla luce di tali motivazione la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dichiarando l’indeducibilità di tali contributi.