La nuova disciplina dei vitalizi degli ex senatori – ridotti per effetto dell’applicazione del regime contributivo anche ai trattamenti maturati prima del 2012 e già in godimento – e la sua compatibilità con i principi generali in materia di previdenza, stabiliti dalla Costituzione, non può essere sindacata dalla Corte costituzionale. Lo ha stabilito la sentenza della Corte Costituzionale n. 137 depositata ieri con la quale la Corte ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di garanzia del Senato, nei confronti della deliberazione del Consiglio di Presidenza del Senato del 16 ottobre 2018, n. 6, per contrasto con gli artt. 2, 3, 23, 36, 38, 53, 67, 69 e 117 della Costituzione.
La questione
Riguarda la deliberazione del Consiglio di Presidenza del Senato del 16 ottobre 2018, n. 6 con la quale l’emiciclo ha disposto il ricalcolo dal 1° gennaio 2019 con il sistema contributivo dei vitalizi maturati prima del 2012 e già in godimento. Analogo provvedimento era stato adottato dalla Camera dei Deputati.
La Commissione contenziosa dell’Aula, con decisione n. 660 del 30 settembre 2020, aveva accolto parzialmente i numerosi ricorsi presentati dagli ex senatori condividendo la tesi secondo la quale il ricalcolo avrebbe sì potuto trovare applicazione ma con modalità tecniche differenti. In particolare non era condivisibile che il coefficiente di trasformazione da applicarsi per il ricalcolo dovesse essere quello commisurato all’aspettativa di vita del percettore alla data della maturazione del diritto all’erogazione dell’emolumento e non a quello dell’entrata in vigore della delibera. Il che avrebbe escluso una riduzione del trattamento significativa. La Commissione aveva espresso rilievi pure sull’aver decurtato i trattamenti di reversibilità senza considerare che i relativi importi erano stati già ridotti del quaranta per cento.
L’amministrazione del Senato ha nuovamente riproposto la questione al Consiglio di Garanzia del Senato, in grado d’appello, chiedendo l’annullamento e la riforma della decisione di primo grado. E’ stato l’organo di autodichia ad aver sottoposto la questione alla Consulta sospettando, tra l’altro, che delibera del n. 6 del 2018 avesse violato i principi di proporzionalità e ragionevolezza nella determinazione retroattiva dei vitalizi, in rapporto agli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53, 67, 69 e 117, primo comma, della Costituzione.
La decisione
La Corte Costituzionale ha stabilito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Garanzia del Senato. Secondo la Consulta, infatti, la rideterminazione dei vitalizi è stata disposta con un regolamento «minore» del Senato che non rientra tra gli atti con forza di legge sottoposti, ai sensi dell’art. 134 Cost., al proprio giudizio. Di conseguenza l’atto impugnato è sindacabile direttamente dall’organo stesso, nell’ambito di un procedimento di natura sostanzialmente giurisdizionale, nel rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio.
La Corte ha, tuttavia, precisato che gli emolumenti, dovuti al termine dell’incarico elettivo, «investendo una componente essenziale del trattamento economico del parlamentare, contribuiscono ad assicurare a tutti i cittadini uguale diritto di accesso alla relativa funzione» e scongiurano «il rischio che lo svolgimento del munus parlamentare, […] possa rimanere sprovvisto di adeguata protezione previdenziale». Fin dalla sua istituzione, il vitalizio ha avuto un regime speciale, definito con regolamenti interni delle Camere. La Corte costituzionale afferma che la sua previsione con legge assicurerebbe «un’auspicabile omogeneità della disciplina concernente lo status di parlamentare», oltre a garantire che quell’atto normativo potrebbe essere scrutinato dalla stessa Corte.
Le conseguenze
La decisione apre ad una conclusione favorevole per gli ex senatori. Lo stesso Consiglio di Garanzia del Senato, infatti, nell’ordinanza con cui ha rimesso la questione alla Consulta aveva condiviso la decisione di primo grado nella parte in cui ha escluso che il ricalcolo del vitalizio «possa avvenire mediante la moltiplicazione del montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all’età anagrafica del senatore alla data di decorrenza dell’assegno vitalizio o del trattamento previdenziale pro rata, anziché alla data di entrata in vigore della stessa deliberazione n. 6 del 2018, o a data successiva per i parlamentari ancora in carica». In tal modo – si legge nelle motivazioni - «si escluderebbero applicazioni retroattive, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità».
La decisione, tuttavia, potrebbe escludere il diritto agli arretrati medio tempore maturati in quanto, si legge nell’ordinanza, «potrebbe farsi riferimento ai contenuti della sentenza della Consulta n. 10 del 2015, la quale, pur dichiarando la illegittimità costituzionale della norma, ha escluso la retroattività della sua decisione».
Infine per quel che concerne i trattamenti di reversibilità, l'organo di autodichia ha rammentato «come spetti alla discrezionalità del Consiglio di presidenza del Senato stabilire ragionevoli criteri di ricalcolo o di tagli o di temperamenti, in ciò condividendo la decisione assunta sul punto dalla Commissione contenziosa». In definitiva uno dei cavalli di battaglia del M5S della scorsa legislatura si appresta ad essere ampiamente ridimensionato.