Fisco

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L'Ipotesi del governo è di un taglio immediato del 5% per il 2014 e del 10% per il 2015. Padoan conferma che le misure saranno pronte entro Maggio.

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Sul versante delle imprese, Renzi ha annunciato una dimunizione del 10% dell'Irap per le aziende - sempre dal 10 maggio - che verrà finanziato con l'aumento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 26%, ad esclusione dei titoli di Stato, con un gettito previsto di 2,6 miliardi. "La tassazione sulle rendite finanziarie va in linea con gli altri Paesi europei, e con questo si abbassa il costo del lavoro", ha detto il premier. Questa misura è al di fuori del conteggio dei 10 miliardi di cuneo, "ma rientra in un riequilibrio delle imposte". Il ministro Guidi ha poi specificato che il taglio dell'Irap andrà a impattare per 1,4-1,5 miliardi sulla quota che pesa sulle spalle delle piccole e medie imprese.

Su questo fronte il governo punterebbe a un intervento in due tappe con un taglio immediato del 5% sull'imposta regionale che le imprese saranno chiamate a pagare quest'anno. E un taglio del 10% per l'Irap che verrà pagata nel 2015. Per quanto riguarda le addizionali regionali all'imposta sulle attività produttive, l'ipotesi dell'esecutivo è quella di lasciare ai Governatori la possibilità di elevare al massimo il prelievo dello 0,92%, così come è previsto attualmente.

I dettagli dell'intera operazione sulla riduzione delle tasse saranno tuttavia resi noti solo dopo la presentazione, prevista per l'inizio della prossima settimana, del Documento di economia e finanza. In quell'occasione saranno messe nero su bianco le risorse recuperate dalla spending review targata Cottarelli e sarà indicato anche l'effetto della manovra di riduzione del prelievo che potrebbe contribuire a centrare un obiettivo di crescita che il Governo sarebbe intenzionato a fissare nel Def tra 0,8 e 0,9 per cento.

Il taglio dell'Irpef potrebbe precedere di qualche settimana quello dell'Irap. Comunque sia, la riduzione del tributo regionale verrà coperta proprio dall'aumento delle rendite finanziarie dal 20 al 26% a partire dal 1° luglio.

Per quanto riguarda il taglio dell'Irpef ieri il ministro dell'Economia Padoan ha confermato che la misura sarà introdotta nei tempi indicati dal Premier.  La novità, attesa per Maggio, prevede un guadagno di 1.000 euro netti in busta paga per chi ha una remunerazione di meno di 1.500 euro al mese: si tratta di circa 80 euro in più al mese.

I destinatari del provvedimento sono "una platea di 10 milioni di persone", cioè coloro che guadagnano fino a 25mila euro lordi. Tuttavia restano ancora sul tavolo diverse modalità d'intervento per il taglio dell'Irpef, che verranno definite nei provvedimenti attuativi dei prossimi giorni. L'orientamento dell'esecutivo è per un incremento delle detrazioni, ma resta aperta la porta a un mix che includa la rimodulazione delle aliquote.

La Commissione Bilancio della Camera dei Deputati approva un emendamento che impone effetti equivalenti o inferiori rispetto all'Imu.

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Alla Commissione Finanze Bilancio della Camera dei Deputati si complica il percorso per inserire un alleggerimento della Tasi per le abitazioni principali. Il presidente della Commissione, Francesco Boccia (Pd), nell'esaminare gli emendamenti al testo dell'articolo 1 del decreto Salva Roma ter, ha infatti precisato che "l'imperativo è quello di non fare pasticci. Bisogna varare una riforma che abbia gambe per camminare per anni evitando compromessi approvati storcendo il naso destinati a cambiare ancora fra pochi mesi."

Oltre 50 gli emendamenti proposti. Il nodo è quello delle detrazioni finanziate dall'aliquota aggiuntiva, l'attuale decreto concede la possibilità ai Comuni di aumentare le aliquote fissate per legge di un ulteriore 0,8 per mille al fine di finanziare le detrazioni.

Solo un emendamento però stato approvato dalla Commissione ed è quello presentato da Filippo Busin della Lega Nord che chiede che le detrazioni finanziate dall'aliquota aggiuntiva determinino per la Tasi effetti equivalenti o inferiori a quelli previsti per l'imu sulla stessa tipologia degli immobili.

Accantonati invece tutti gli altri emendamenti che avrebbero inciso in maniera significativa sull'impianto complessivo della tassazione immobiliare.

Il riferimento è, evidentemente, alle ultime varie riforme approvate sulla tassazione immobiliare in questi ultimi tre anni che hanno visto dapprima l'introduzione dell'Imu, poi la sua modifica, l'eliminazione parziale per le sole prime case nel 2013 e poi la reintroduzione sotto la forma della Tasi da quest'anno.

Un vero rebus per centinaia di migliaia di contribuenti che hanno messo in difficoltà anche i CAF e i professionisti del settore fino all'ultimo minuto nell'incertezza su come si dovesse procedere.

Purtroppo nonostante l'abolizione dell'Imu sulla abitazione principale in molti casi  il contribuente dovrà pagare un contributo più alto rispetto al 2012 con la Tasi. Il risultato è inevitabile per quelle case di valore catastale basso nei comuni che decideranno di non sfruttare la possibilità di introdurre un'aliquota aggiuntiva per finanziare le detrazioni base come prevedeva in origine la vecchia Imu.

In altri termini, in assenza di una decisione dei comuni  tutti i cittadini dovranno presentarsi alla cassa, anche coloro che grazie alle detrazioni fisse previste per l'Imu ne erano esenti nel 2012.

Ai comuni spetterà la possibilità di introdurre le detrazioni necessarie per non superare gli effetti della vecchia Imu. 

In molti comuni il rischio di rimpiangere il conto della vecchia Imu potrebbe essere concreto soprattutto sulle case che hanno un valore più basso.

È l'effetto dell'introduzione della nuova Tasi che non prevede le detrazioni che nell'Imu cancellavano l'imposta per oltre 5 milioni di abitazioni principali di valore basso e la diminuiva in modo importante anche per quelle di valore medio. L'Imu 2012 escludeva del pagamento infatti tutte le case fino 53 mila euro di valore catastale, una somma però che poteva alzarsi in caso di presenza di figli conviventi sotto i 26 anni concedendo una boccata d'ossigeno a moltissime famiglie italiane.

Ora invece la Tasi chiede un obolo a tutti i contribuenti: se con l'Imu un appartamento con 53 mila euro di reddito catastale non pagava nulla, ora dovrà sborsare, ad aliquota standard, ben 53 euro. Ma le cose rischiano di andare anche peggio in quanto molti comuni, per far quadrare i conti, hanno portato le aliquote vicino o in linea con il massimo valore consentito dalla legge (fissato al 2,5 per mille). Insomma un contribuente che nel 2012 era esente dall'Imu quest'anno rischia di pagare oltre 100 euro.

In verità l'esecutivo ha aggiunto nel decreto legge Salva Roma la possibilità di introdurre un'aliquota aggiuntiva pari allo 0,8 per mille da applicare sulle abitazioni principali oppure sugli altri immobili (altrimenti da dividere tra queste due categorie) per consentire ai Comuni di reintrodurre le detrazioni base.

In pratica i Comuni potranno portare l'aliquota sulla prima casa sino al 3,3 per mille oppure quella per gli altri immobili all'11,4 per mille superando i limiti massimi del 2,5 e 10,6 per mille. Ammessa anche la possibilità di spalmare a metà l'aumento sulle prime case e sulle seconde case. 

È questa ipotesi a cui sta già lavorando, ad esempio, il Comune di Bologna che vorrebbe applicare la super Tasi all'abitazione principale portando l'aliquota al 3,3 per mille e finanziando una detrazione base di 200 euro.

I sindaci potrebbero però anche finanziare detrazioni diverse a seconda dell'aumentare del valore dell'immobile. Ad esempio i Comuni potrebbero riservare sconti maggiori alle rendite catastali più basse e farle diminuire all'aumentare della rendita catastale.

Ma l'incremento della Tasi per finanziare le detrazioni è solamente un'opzione e dunque non è detto che i primi cittadini la introdurranno. E inoltre, se lo faranno, ci sarà inevitabilmente una ulteriore frammentazione della disciplina della tassazione degli immobili a livello locale in quanto ciascun comune avrà le sue regole, le sue aliquote e le sue detrazioni. Insomma per i contribuenti i problemi non sono destinati a diminuire.

La misura contenuta nel decreto casa 2014, la tassa piatta è quasi sempre più conveniente del prelievo Irpef.

Con il decreto legge 47/2014, il governo ha abbassato l'aliquota della cedolare secca sugli affitti a canone concordato al 10 per cento, quella prevista per le locazioni a canone libero rimane invece fissa al 21 per cento.

Secondo le stime delle Acli per i locatori che hanno già stipulato un contratto a canone convenzionato la nuova aliquota comporterà quindi un risparmio d'imposta del 5 per cento. Tradotto in soldoni significa circa 180 euro l'anno in meno in tasse per quei canoni mensili sino a 300 euro. 

È chiaro invece che chi deve stipulare un nuovo contratto di locazione dovrà fermarsi un attimo ed effettuare le consuete valutazioni di convenienza. Qui vale un principio generale: chi stipula un contratto a canone concordato deve mettere in conto di ottenere una cifra inferiore rispetto ai valori di mercato, ma consegue il vantaggio di pagare tasse ridotte sul reddito di locazione. 

Insomma il conduttore che voglia stipulare un nuovo contratto di locazione dovrà capire se lo sconto riferito alla cedolare secca sia sufficiente a compensare la riduzione del canone che potrebbe essere ottenuto in regime libero.

Secondo i calcoli del Patronato Acli, immaginando un affitto in regime di libero mercato a 1.000 euro al mese il locatore potrebbe comunque ottenere un vantaggio fiscale accontentandosi di un canone in regime concordato anche pari a 900 euro al mese. Prima della modifica il proprietario non avrebbe avuto interesse invece a stipulare un contratto a canone concordato inferiore a 950 euro al mese. La mini cedolare quindi può rendere più conveniente gli affitti convenzionati superiori a 900 euro al mese.

La soglia è solo indicativa precisano le Acli. Ad incidere sul concordato sono gli accordi locali tra sindacati degli inquilini ed associazioni della proprietà che individuano il range entro cui deve essere definito il canone concordato. Le condizioni possono in realtà cambiare anche all'interno della stessa città. Quindi bisogna fare attenzione ai calcoli.

Ma un dato è certo. La cedolare secca al 10 per cento può comportare vantaggi sia al proprietario che può pagare meno tasse sia al conduttore che può ottenere un prezzo più basso. E un ulteriore fattore che potrebbe stimolare il ricorso al concordato è la crisi economica che in molte città ha limitato gli affitti di mercato rendendo il canone concordato più competitivo. Senza contare che anche i comuni possono determinare la convenienza o meno della cedolare con l'introduzione di agevolazioni e rincari su Imu e Tasi.

La nuova cedolare secca - La cedolare secca, prevista nel decreto sul fisco municipale nel 2011, sostituisce l'Irpef. Le aliquote previste all'inizio erano pari al 21 per cento sui canoni liberi e del 19 per cento su quelli concordati. Dal 2013 l'aliquota del concordato è stata ridotta al 15 per cento e da quest'anno passa al 10 per cento.

Il locatore che opta per la tassa piatta deve comunicarlo con raccomandata all'inquilino e deve rinunciare all'aggiornamento del canone Istat. La tassa piatta inoltre può essere applicata solo sulle locazioni abitative stipulate da privati con inquilini persone fisiche.

Chi ha un contratto a canone di mercato potrebbe essere invogliato a optare per quello concordato.

Tra le novità approvate con il decreto casa, dl 47/2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 marzo 2014, la principale è certamente quella che ha ridotto la cedolare secca sugli affitti abitativi al 10 per cento. 

La tassa piatta, lo si ricorda, è una forma di fiscalità che sottopone la rendita da locazioni abitative tra persone fisiche ad un prelievo, in sostituzione alla ordinaria tassazione Irpef, fissato al 10 per cento. La tassa piatta si applica tuttavia solo per i contratti a canone concordato. Ciò significa che l'aliquota agevolata potrà essere applicata solo nei comuni ad alta tensione abitativa individuati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica. 

Detto questo vediamo dunque rapidamente quali sono le scelte che può effettuare il proprietario dopo le novità introdotte dal decreto casa.

L'ipotesi più semplice è quella in cui il locatore già avesse stipulato un contratto a canone concordato optando per per la tassa piatta. In tal caso nessun altro adempimento sarà richiesto in quanto già risulta nel mod 69 dell'Agenzia delle Entrate l'opzione per il regime agevolato. In pratica in tal caso l'aliquota ridotta scatterà automaticamente.

Se invece il locatore avesse originariamente optato per l'Irpef e vuole ora passare alla tassa piatta dovrà curare due adempimenti: effettuare la comunicazione all'inquilino della rinuncia all'adeguamento Istat e quindi comunicare l'opzione per la cedolare attraverso il mod 69 all'Agenzia delle Entrate. 

Il passaggio alla cedolare secca comporta il vantaggio di non dover pagare altre imposte riguardanti il rapporto di locazione. Ad esempio non dovrà essere più pagata l'imposta di registro annuale, il bollo e chiaramente l'Irpef. Il passaggio alla cedolare tuttavia determina che l'aliquota colpirà l'intero importo del canone di di locazione e quindi contribuente non potrà più godere delle detrazioni previste per l'Irpef.

Chi ha invece stipulato un contratto di mercato, per passare alla cedolare secca, dovrà necessariamente, di comune accordo con il conduttore, risolvere il precedente rapporto contrattuale di locazione e sottoscriverne uno nuovo sulla base delle disposizioni previste per i contratti concordati. 

Dopo il parere contrario della Presidenza della Repubblica rimane il doppio tetto di spesa per il bonus mobili.

Con la pubblicazione del decreto casa 2014 (dl 47/2014) avvenuta venerdì scorso in Gazzetta Ufficiale non è stato eliminato l'obbligo secondo il quale le spese per l'arredamento non possono superare l'importo che il contribuente ha sostenuto per i lavori di recupero edilizio.

Niente da fare dunque per l'eliminazione del doppio tetto di spesa introdotto con la scorsa legge di stabilità (legge 147/2013). I contribuenti dovranno pertanto rispettare 2 limiti per fruire del beneficio: rispettare il tetto massimo di spesa di 10 mila euro e non superare in ogni caso le spese sostenute per il recupero edilizio. 

Ad esempio chi spende 4.000 euro per ristrutturare il proprio appartamento potrà applicare la detrazione del 50 per cento su una spesa massima di 4.000 euro in mobili ed elettrodomestici. Qualora invece si spendano 40.000 euro per i lavori di ristrutturazione edilizia il tetto massimo resta fisso a 10 mila euro. 

Il doppio tetto per fruire del bonus mobili è stato introdotto dall'ultima legge di stabilità che è entrata in vigore lo scorso 1° gennaio 2014. Subito dopo il governo Letta è tornato sui suoi passi tentando di ripristinare la norma contenuta nel dl 63/2013 (che consentiva la fruizione del beneficio indipendentemente dall'importo delle spese di lavori di ristrutturazione edilizia con il solo limite di 10mila euro) con il decreto salva Roma bis.

Il problema è che questo decreto è stato fatto decadere con la conseguenza che il il doppio tetto è stato riportato in vita. 

Secondo Paolo Del Vecchio, consigliere dell'Ordine nazionale degli architetti, diventerà importante per i contribuenti comprendere la data in cui sono state effettuate le spese per i beni per l'acquisto degli arredamenti. "Infatti le spese che sono state effettuate fino al 31 dicembre 2013 non sono soggette al doppio tetto in quanto il vincolo introdotto dalla legge di stabilità 2013 ha efficacia a decorrere dal 1º gennaio 2014".

Ciò significa, secondo Del Vecchio che le "spese effettuate entro la fine dell'anno scorso devono esclusivamente rispettare il tetto dei 10mila euro come individuati nel dl 63/2013. 

Per capire quale disciplina applicare bisogna fare riferimento alla data di effettuazione del bonifico bancario o postale di pagamento. Se invece gli acquisti siano stati effettuati con moneta elettronica, la data di pagamento è il giorno di utilizzo della carta di credito o di debito da parte del titolare indicata nella ricevuta telematica di avvenuta transizione. 

Le spese intervenute successivamente al 2013 devono invece rispettare il doppio tetto individuato dalla legge di stabilità 2014; cioè non possono superare le spese per interventi di recupero edilizio sostenute dal contribuente".

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