Anche gli agricoli a tempo indeterminato con 270 giornate lavorate hanno diritto alla disoccupazione agricola

Nicola Colapinto Giovedì, 02 Maggio 2019
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale. Nessun pregiudizio nell'erogazione della disoccupazione agricola nei confronti degli operai agricoli a tempo indeterminato licenziati alla fine dell'anno.
Anche gli operai agricoli a tempo indeterminato (Oti) licenziati il 31 dicembre dell'anno con 270 o più giornate lavorate possono accedere al trattamento di disoccupazione agricola; pertanto non è incostituzionale la normativa che regola il computo della disoccupazione agricola in misura diversa rispetto a quanto stabilito nei confronti degli operai agricoli a tempo determinato (Otd). E' quanto in sintesi ha sancito la Corte Costituzionale con la sentenza numero 30/2019 del 22 Gennaio 2019 pubblicata lo scorso 6 marzo 2019 in Gazzetta Ufficiale respingendo la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949 e dell'articolo 1, co. 55 della legge 247/07 sollevata dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione.

La questione

La questione riguardava il mancato riconoscimento da parte dell'Inps del trattamento di disoccupazione nei confronti di due lavoratori agricoli a tempo indeterminato licenziati il 31 dicembre 2008. L'Istituto di previdenza aveva rigettato, infatti, sia la domanda di disoccupazione non agricola (naspi) in quanto nel biennio antecedente il licenziamento l'attività lavorativa prevalente era stata di natura agricola, sia la domanda di disoccupazione agricola perchè nell'anno del licenziamento i due interessati non avevano giornate prive di occupazione.

Dal mancato riconoscimento delle prestazioni è scaturito un lungo contenzioso legale che, giunto in Cassazione, ha spinto la Sezione Lavoro a sollevare la questione di costituzionalità dell'art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949 che regola il computo della durata della prestazione. La disposizione richiamata prevede, infatti, che la durata della disoccupazione agricola nei confronti degli agricoli a tempo indeterminato sia pari alla differenza tra il «numero di 270», che costituisce il parametro annuo di riferimento, e il «numero delle giornate di effettiva occupazione prestate nell’anno». Da qui, il rischio, ravvisato dalla Sezione Lavoro, che ai lavoratori agricoli a tempo indeterminato licenziati il 31 dicembre dell'anno avendo maturato 270 o più giornate di lavoro fosse nei fatti precluso il trattamento di disoccupazione agricola, non avendo alcun giorno non lavorato nell'anno del licenziamento.

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, ha quindi denunciato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949, laddove esclude che sia corrisposto ai lavoratori agricoli a tempo indeterminato, in possesso dei requisiti assicurativi, il trattamento di disoccupazione ordinario riservato agli altri lavoratori a tempo indeterminato e, in via subordinata, lo stesso art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949 e l’art. 1, comma 55, della legge n. 247 del 2007, laddove non prevede che si applichino ai medesimi lavoratori agricoli a tempo indeterminato lo stesso trattamento previsto per i lavoratori agricoli a termine. Per gli Otd, infatti, il trattamento di disoccupazione è rapportato sulla base delle giornate lavorative prestate nell'anno e quindi l'utilizzo di tale meccanismo di computo non darebbe luogo - è la tesi dei giudici di Piazza Cavour - a discriminazioni nei confronti degli Oti che hanno lavorato l'anno intero.

La decisione

La Corte Costituzionale ha respinto la questione di legittimità costituzionale ravvisata dalla Sezione Lavoro. Secondo la Corte tali lavoratori ben possano vantare il diritto a ottenere l’indennità di disoccupazione agricola per l’anno successivo – nel caso del giudizio a quo, per il 2009 – nel corso del quale siano stati, anche per l’intera durata, disoccupati. Nella decisione i giudici fanno leva su un pregresso orientamento costituzionale (sentenza numero 194 del 2017) in cui è stato chiarito che il requisito contributivo necessario per la liquidazione della disoccupazione agricola, e cioè dell’avere «conseguito nell’anno per il quale è richiesta l’indennità e nell’anno precedente un accredito complessivo di almeno 102 contributi giornalieri», deve essere inteso nel senso che tali contributi «possono essere accreditati al lavoratore anche in uno solo dei due anni per il quale è richiesta l’indennità e nell’anno precedente». 

Da ciò deriva che anche i lavoratori licenziati il 31 dicembre con 270 o più giornate lavorate hanno diritto alla prestazione, ma che questa potrà essere corrisposta l'anno successivo a quello in cui si è svolta l’attività lavorativa, anche quando esso sia privo, totalmente, di giornate “lavorate”. Naturalmente restano ferme le modalità di liquidazione della prestazione secondo le quali la corresponsione del trattamento avviene l’anno successivo a quello per cui essa è richiesta. In definitiva i giudici chiariscono che il diritto alla disoccupazione agricola nel caso proposto alla Corte verrebbe a maturarsi nel 2009, anno nel quale non è stata prestata alcuna attività lavorativa, anzichè nel 2008 con liquidazione della prestazione l'anno successivo.

Seguendo tale impostazione la Consulta ha bocciato, quindi, la questione di illegittimità costituzionale avanzata dalla Sezione Lavoro. I giudici spiegano, infatti, che "nella direzione di una tutela – e non di una totale privazione della stessa – si deve orientare una interpretazione delle disposizioni censurate che consenta di erogare ai lavoratori agricoli, assunti a tempo indeterminato e poi licenziati «alla fine dell’anno e comunque oltre le 270 giornate all’anno», un sostegno previdenziale. Ciò porta a escludere che tali lavoratori siano discriminati, sia rispetto agli altri lavoratori assunti a tempo indeterminato, sia rispetto ai lavoratori agricoli assunti con contratto a tempo determinato".

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