Rossini V

Rossini V

Franco Rossini, già avvocato ed esperto in diritto del lavoro e della previdenza collabora dal 2013 con PensioniOggi.it. 

Mia madre è una dipendente comunale, nata nell' aprile 1950. E' stata assunta in servizio nell'agosto 1978, ha fruito di mesi 10 per maternità. Vorrei saper quando sarà possibile per lei andare in pensione. Giuseppe da Aversa

La madre del lettore, avendo compiuto 61 anni entro il 2011 potrà andare in pensione di vecchiaia con le norme precedenti quelle introdotte dalla manovra Monti. La pensione verrà liquidata con il sistema retri­butivo, in presenza di almeno 18 anni di contribuzione (compresa quella figurativa per maternità) entro il 31 dicembre 1995. Per i contributi riferiti dal 1°, gennaio 2012 scatterà, invece, il calcolo contributivo. Eccone le relative regole.

Il comma 12-sexies dell'articolo 12 del decreto legge 78/2010, convertito dalla legge 122/2010 (Inpdap, Nota divulgativa del 3 agosto 2010) prevede che, a decorrere dall'anno 2012, il requisito anagrafico delle lavoratrici dipendenti pubbliche già a 61 anni a decorrere dal 1° gennaio 2010 per il conseguimento del trattamento pen­sionistico di vecchiaia, ovvero per il collocamento a ri­poso per raggiunti limiti di età (secondo le regole fissa­te dai singoli ordinamenti di appartenenza), viene ulte­riormente elevato a 65 anni.

Per espressa previsione normativa: «Restano ferme la disciplina vigente in ma­teria di decorrenza del. trattamento pensionistico e le disposizioni vigenti relative a specifici ordinamenti che prevedono requisiti anagrafici più elevati, nonché le disposizioni di cui all'articolo 2 del decreto legislati­vo 30 aprile 1997, n. 165», Quando le lavoratrici abbiano maturato i prescritti requisiti contributivi e anagrafici anteriormente al 1° gennaio 2012, fermo restando il di­ritto acquisito, occorre distinguere, ai fini della decor­renza del pensionamento di vecchiaia, le diverse situa­zioni in relazione alla normativa vigente alla data di ma­turazione di questi requisiti.

In particolare le cose stan­no così :

- quando al 31 dicembre 2009 è maturato il requisito anagrafico di 60 anni, congiuntamente al requisito con­tributivo minimo prescritto, il trattamento pensionisti­co di vecchiaia ha decorrenza immediata, dal giorno successivo alla data di risoluzione del rapporto di lavo­ro, in quanto già risulta aperta la relativa finestra;

- quando al 31 dicembre 2010 è maturato il requisito ana­grafico di 61 anni, congiuntamente al requisito contri­butivo minimo prescritto, il trattamento pensionistico scatta secondo le vecchie finestre introdotte per le pensioni di vecchiaia dall'articolo 1, comma 5, lettera b) del­la legge n. 247/2007;

- quando al 31 dicembre 2011 è maturato il requisito ana­grafico di 61 anni, congiuntamente al requisito contribu­tivo minimo prescritto (è il caso della madre del letto­re), il trattamento pensionistico ha decorrenza secon­do quanto stabilito dall'articolo 12, comma 1 della legge 122/2010 e cioè con la finestra mobile e personalizzata, determinata trascorsi 12 mesi dalla data di maturazione dei prescritti requisiti.


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Ho 58 anni. A causa detta crisi sono stato licenziato per giustificato motivo oggettivo Il 30 dicembre 2011, senza nessun accordo, da una piccola azienda di due dipendenti.  Ho lavorato per un breve periodo dopo il licenziamento in contratti a termine. Al 31 dicembre 2012 avevo 2069 settimane di contributi Inps; sono iscritto alla contribuzione volontaria dal giugno 2010, e ho già versato contributi volontari e dovrei raggiungere i 40 anni a fine Giugno 2013. Vorrei sapere se ho le caratteristiche per rientrare nella platea dei salvaguardati e se potrò andare in pensione con le vecchie regole. Damiano da Firenze

L'articolo 24 della riforma Monti-Fornero e le modifiche che si sono susseguite nel corso del 2012 ha previsto delle salvaguardie nei confronti di taluni lavoratori i quali potranno accedere alla pensione secondo i requisiti previgenti la riforma.

Per quanto riguarda la prosecuzione volontaria, dai dati forniti dal lettore, sembrerebbe che i 40 anni saranno raggiunti nel giugno 2013, ma tra l'autorizzazione al versamento volontario dei contributi (giugno 2010) e la riforma Monti-Fornero, c'è stata dell'attività lavorativa.  In tal caso l'articolo 1, comma 231, lettera d) della legge 228/2012 precisa che per rientrare tra i salvaguardati: a) l'autorizzazione deve risultare antecedente al 4 dicembre 2011; b) vi sia un contributo volontario accreditato o accreditabile al 6 dicembre; c) il lavoratore può essere stato rioccupato dopo l'autorizzazione ai volontari in contratti a tempo non indeterminato a condizione tuttavia che il reddito annuale derivante da tali attività non superi i 7500 euro per il periodo successivo al 4 Dicembre 2011 e che la decorrenza massima della pensione si verifichi entro il 6 gennaio 2015.

La presenza dei requisiti farebbe supporre che il lavoratore risulti salvaguardato. La decorrenza della prestazione si verificherebbe infatti nel Settembre 2014.


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Mia figlia ha uno stato di famiglia che comprende, oltre a se stessa, il suo compagno (non sono formalmente sposati) e il loro figlio. Volendo affrontare insieme un mutuo a lunga scadenza per l'acquisto in comproprietà (50/50) di un immobile, e versando ambedue contributi Inps in quanto dipendenti a tempo indeterminato, chiedono se, in caso di premorienza di uno dei due, l'altro sia legittimato a fruire della reversibilità della pensione. Gennaro da Benevento

La risposta è negativa per il/la convivente. La pensione indiretta ai superstiti spetta solo al coniu­ge (anche separato/divorziato che sia titolare di assegno alimentare/divorzile o comunque separato consensualmente) nella misura del 60%. Spetta al fi­glio minorenne o comunque studente fino al 21 esimo anno di età (26esimo se studente universitario) nella misura del 70% qualora sia l'unico beneficiario e sem­preché non presti attività lavorativa. In caso di matri­monio, l'assegno ai superstiti sale all'80% (60% al co­niuge e 20% al figlio).


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Un dipendente viene assunto da una azienda il 2 novembre 2012 e presenta il modulo per gli assegni per il nucleo familiare. Gli unici redditi posseduti nell'anno 2011 sono costituiti dall'immobile adibito ad abitazione principale del dipendente. Non essendo soddisfatto il requisito che almeno il 70% dei reddito sia costituito da reddito di lavoro dipendente, è corretto non erogare assegni fino al 30 giugno 2013? Damiano da Cagliari

Mancando il requisito del 70 per cento, non scatta il diritto all'assegno per il nucleo familiare. In particolare ecco, infatti, le relative regole. L'assegno spetta soltanto quando nel nucleo familiare la somma dei redditi derivanti da lavoro dipendente, da pensione o da prestazione previdenziale derivante sem­pre da lavoro dipendente è pari almeno al 70% dell'inte­ro reddito del nucleo familiare.

Dal computo del reddi­to familiare, per la corresponsione dell'Anf, vengono escluse le somme corrisposte come ar­retrati per integrazioni salariali riferite agli anni prece­denti a quello di erogazione. Può capitare però che con questa esclusione non si raggiunga il limite del 70% per far scattare il diritto all'Anf. In questi casi, per non dan­neggiare il lavoratore, l'Inps (messaggio n. 11194 del 30 maggio 1997) fa rientrare, per motivi di equità, gli emo­lumenti Cig riferiti ad anni precedenti a quello di corre­sponsione nel calcolo dell'anno di percezione come ogni altro emolumento corrente.

Redditi rilevanti per la determinazione del 70% -  Ecco, nel dettaglio, i redditi che rientrano nella valuta­zione del 70 per cento:

- i redditi provenienti da lavoro dipendente od assimila­ti assoggettabili all'Irpef, compresi quelli a tassazione separata (arretrati di retribuzione, indennità di preavvi­so, somme risultanti dalla capitalizzazione della pensione eccetera);

- i redditi suindicati conseguiti all'estero o presso enti internazionali residenti nel territorio della Repubblica, non soggetti alla normativa tributaria italiana;

- i redditi da lavoro dipendente esenti da Irpef, quali gli assegni accessori annessi alle pensioni privilegiate di prima categoria concesse per attività di lavoro dipen­dente. Ovviamente, solo quando la somma di questi redditi con gli altri esenti da imposte e di quelli sogget­ti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva superi nel complesso il limite annuo di 1.032,91 euro;

- le pensioni sociali ed assegni agli invalidi civili, cie­chi civili e ai sordomuti, in quanto tali trattamenti so­no da considerare, secondo l'articolo 46, comma 2, del Tuir, redditi da lavoro dipendente pur non essendo assoggettati all'Irpef per specifiche disposizioni;

- le pensioni a carico delle gestioni speciali dei lavora­tori autonomi, in quanto anche queste pensioni sono da considerare redditi da lavoro dipendente secondo il predetto articolo 46;

- gli assegni periodici corrisposti dall'altro coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, a seguito di separazione legale o di annullamen­to, scioglimento o cessazione degli effetti civili del ma­trimonio e gli alimenti corrisposti secondo l'articolo 433 del Codice civile, nella misura nella quale risulta­no da provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Questi redditi, secondo l'articolo 47, comma 1, lettera i) del Tuir, costituiscono reddito assimilato a quello da lavo­ro dipendente. Quando dal provvedimento giudiziale non risulta la ripartizione della somma destinata al mantenimento del coniuge e dei figli, tali assegni, a norma dell'articolo 3, del Dpr n. 42 del 4 febbraio 1988, costituiscono reddito nella misura del so per cento.

Situazioni Particolari - Quando il reddito complessivo di uno dei componenti il nucleo familiare risulti negativo in relazione a perdi­te di esercizio connesse ad attività di lavoro autonomo o di impresa, il reddito stesso dovrà essere considera­to uguale a zero, senza che le predette perdite possano essere sottratte dal reddito di altri componenti il nu­cleo familiare ai fini della determinazione del reddito familiare. Se risulti, invece, soltanto diminuito per ef­fetto delle perdite stesse può avvenire, in mancanza di redditi degli altri familiari o in presenza di perdite di esercizio superiori ai redditi degli altri familiari, che il reddito complessivo del nucleo familiare sia inferiore all'ammontare dei redditi da lavoro dipendente.

Quando l'incidenza percentuale dei redditi da lavoro dipendente rispetto ai redditi di altra natura non si possa quantificare in quanto nell'anno considerato en­trambi inesistenti o in quanto risultino solo redditi ne­gativi, non diventa verificabile la condizione che com­porta l'esclusione dal diritto all'Anf. Il diritto all'asse­gno va, quindi, riconosciuto. Al contrario, l'esistenza solo di redditi diversi da quelli derivanti da lavoro di­pendente, ancorché di modesta entità, comporta l'esclusione dal diritto all'Anf.


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La prestazione spetta ove l'assicurato sia deceduto senza raggiungere in una delle gestioni previdenziali presso le quali ha contribuito durante la vita lavorativa i requisiti per conferire ai superstiti il diritto autonomo ad una pensione indiretta.
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