Il mondo del lavoro nel 2022 si aggira tra precarietà e retribuzioni inadeguate. È questa l'immagine sconfortante che emerge dal Rapporto Censis-Ugl «Tra nuove disuguaglianze e lavoro che cambia: quel che attende i lavoratori».
Pochi dati possono dare un'idea della situazione dei lavoratori in Italia al momento attuale: nel decennio tra il 2010 e il 2020 le retribuzioni lorde sono scese dell'8.3%, collocando la Penisola al terzo peggior posto in Europa dietro Grecia e Spagna, rispettivamente in caduta del 16,1% e dell'8,6%.
«Il mondo del lavoro, negli ultimi anni, è cambiato molto, spesso acuendo disuguaglianze e criticità – ha osservato in merito il segretario generale dell'Ugl Paolo Capone - anche a livello sociale. Dalla politica sono giunte risposte finora poco incisive e lungimiranti, penalizzate anche da un biennio di crisi e di emergenza continua dovuta alla pandemia, che ha accentuato precarietà e polarizzazione del mercato del lavoro».
Rapporto Censis-Ugl: disuguaglianze contrattuali, di genere, di età e territoriali
Nel Rapporto Censis-Ugl si evidenziano disuguaglianze di ogni tipo nel mondo del lavoro: i lavoratori a tempo determinato guadagnano il 32% in meno di quelli a tempo pieno; i giovani fino a 29 anni hanno addirittura retribuzioni inferiori del 40% rispetto ai lavoratori sopra i 55; le donne hanno redditi inferiori del 37% rispetto agli uomini; i tempi determinati del 32% in meno rispetto agli indeterminati; al Sud si guadagna il 28% in meno rispetto al Nord-Ovest e così via, delineando un panorama variegato di fratture sociali tra lavoratori.
Infine, oltre il 10% di chi lavora percepisce salari medi mensili inferiori al valore soglia di 953 euro, quindi è tecnicamente definibile come sottopagato. Il che riporta alla mente la necessità di riprendere seriamente la discussione sul salario minimo.
Rapporto Censis-Ugl: l'esplosione del part-time e la necessità della formazione
L'altro fenomeno che viene registrato nell'indagine Censis-Ugl è quello relativo all'esplosione del cosiddetto lavoro part-time involontario, ovvero non richiesto dai prestatori d'opera, ma imposto dalle aziende che riguarda il 19,8% della forza lavoro contro il 15,8% nel 2010. Questo allargamento non richiesto del lavoro parziale ovviamente incide sull'abbassamento del monte delle retribuzioni precedentemente citato.
A fronte di questo impoverimento dei lavoratori, c'è da prendere in considerazione il fatto che tra il 2020 e il 2021, 570.000 persone hanno percepito reddito attraverso la crescita della cosiddetta web economy, cresciuta a causa dell'impatto della pandemia e della necessità dei consumatori di affidarsi alle consegne a domicilio per ricevere i prodotti desiderati. Infatti, l'indagine mette in rilievo anche che il 52% degli occupati svolge lavoro da remoto.
La necessità di impiegare le nuove piattaforme informatiche per lavorare ha fatto anche crescere nelle persone la coscienza del bisogno di formazione per evitare ulteriori disuguaglianze, dovute alla disparità di competenze digitali, temute dal 67,8% degli occupati. Così i dati rilevano che il l'84% degli intervistati chiede supporto su aspetti particolari del proprio lavoro e il 65,9% sente l'esigenza di formazione in materia di sicurezza informatica.