L’RdC può essere concesso anche al richiedente che non risulti iscritto nei registri anagrafici al momento della domanda purché questi sia in grado di dimostrare, tramite apposita documentazione, la presenza effettiva sul territorio nazionale per almeno dieci anni di cui gli ultimi due in modo continuativo. Lo spiega il Ministero del Lavoro nella nota parere n. 10155 del 21 dicembre 2021 in risposta ad alcune richieste di chiarimenti.
Possibile Sanatoria
Per fruire dell’RdC, tra l’altro, la legge impone che il richiedente/beneficiario sia residente in Italia da almeno 10 anni, al momento della domanda, di cui gli ultimi due in via continuativa. Il requisito viene verificato dai Comuni che poi segnalano l’esito all'INPS per il tramite della piattaforma “SIUSS" (Sistema Informativo Unitario dei Servizi Sociali). Il chiarimento ministeriale riguarda quelle situazioni irregolari ove il richiedente, al momento della domanda di RdC, pur essendo stato presente sul territorio italiano per il periodo richiesto dalla legge, non risulti iscritto nei registri anagrafici comunali.
In tal caso, spiega il Ministero, è possibile sanare l’irregolarità (e quindi accedere all’RdC), provvedendo all'iscrizione anagrafica, a condizione che la presenza effettiva in Italia per la durata richiesta dalla norma sia stata opportunatamente documentata e accertata (dieci anni di cui gli ultimi due in modo continuativo) dal Comune. In merito agli elementi probatori il Ministero non fornisce indicazioni evidenziando come siano connessi alla situazione specifica del beneficiario e pertanto non generalizzabili a priori.
Se l’esito della verifica ha riscontro positivo, spiega il Ministero, il richiedente può sanare il requisito della residenza richiedendo l’iscrizione nei registri anagrafici entro 30 giorni dalla comunicazione dell’avvenuto accertamento della mancanza della condizione da parte del responsabile dei controlli anagrafici. In mancanza di tale iscrizione il beneficio dovrà essere revocato.
No agli iscritti AIRE
La sanatoria, tuttavia, incontra un limite insuperabile ove il richiedente/beneficiario nel periodo in questione sia risultato iscritto nelle anagrafi estere o all’AIRE. In tali casi, infatti, difetterebbe il requisito soggettivo, cioè la volontarietà della permanenza sul suolo italiano. Pertanto i periodi di iscrizione nelle anagrafi estere o all’AIRE non potranno essere presi in considerazione ai fini della verifica del requisito di residenza tanto al momento di presentazione della domanda che per i precedenti due anni in modo continuativo e per i complessivi dieci, anche nel caso in cui l’interessato dimostri la presenza sul territorio italiano (requisito oggettivo).
Questa impostazione, conclude il Ministero del Lavoro, discende dall’orientamento della Cassazione che con la sentenza n. 1738 del 14 marzo 1986, ha chiarito che la residenza abituale e volontaria della persona si articola in due elementi necessariamente coesistenti: uno oggettivo, cioè la permanenza fisica in un determinato luogo, ed uno soggettivo, cioè la volontarietà di tale permanenza desumibile dal comportamento tenuto dal soggetto.