Come noto in caso di morte del pensionato o di un lavoratore assicurato, il figlio superstite ha diritto alla pensione ai superstiti, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico dei genitori al momento del decesso. Il requisito della vivenza a carico consiste nell'accertamento in particolare di due condizioni: 1) la non autosufficienza economica, circostanza che viene integrata quando il reddito individuale del superstite inabile, dedotti i redditi non computabili per legge, non supera l'importo della pensione di inabilità civile (cioè circa 16.500 euro annui); se il maggiorenne è titolare dell'indennità di accompagnamento il predetto valore deve essere incrementato dall'importo dell'indennità di accompagnamento (raggiungendo, pertanto, circa 23.500 euro annui); 2) il mantenimento abituale, condizione che può desumersi dall’effettivo comportamento del genitore nei confronti del figlio. In particolare la prassi consolidata ritiene soddisfatto il mantenimento abituale nel caso in cui il figlio inabile conviva con il genitore al momento del suo decesso (il tal caso il requisito si presume); se il figlio non è convivente occorre accertare che il dante causa concorra in maniera rilevante e continuativa al suo mantenimento.
L'orientamento ormai prevalente della giurisprudenza, seguito anche dall'Inps nella sua prassi amministrativa, richiede che l'accertamento di tale requisito sia effettuato tramite un esame comparativo dei redditi del dante causa e del superstite da cui emerga quel contributo economicamente rilevante ed abituale per il mantenimento del figlio che, ancorchè non esclusivo, deve risultare comunque prevalente. Così, ad esempio, il pagamento delle bollette di luce e gas oppure il pagamento dell'affitto dell'immobile in cui risiede il figlio inabile sono stati considerati nel tempo elementi che fanno presupporre il mantenimento abituale da parte del genitore.
Il quadro
Fermo restando il quadro sopra delineato la Cassazione con la sentenza sopra citata sollecita anche a collegare la prova del requisito della vivenza a carico con lo stato di salute del richiedente. Secondo la Cassazione, infatti, il requisito in questione integra una situazione complessa che non si identifica con la mera coabitazione, né con uno stato di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, ma che deve essere verificato anche alla luce della situazione di salute del soggetto inabile ed in particolare con l'accertata impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa. Nel caso specifico valutato dalla Corte, le varie perizie mediche susseguitesi avevano accertato da una parte lo stato di invalidità totale e l'impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, dall'altra che le patologie di natura psichiatrica di cui soffriva il soggetto inabile erano risalenti e si erano aggravate sensibilmente proprio nell'ambito del contesto familiare all'interno del quale il ricorrente era inserito. Pertanto in questi casi lo stato della vivenza a carico può essere desunto anche dalla condizione sanitaria del figlio inabile e, quindi, dall'impossibilità di svolgere attività lavorativa, circostanza che evidentemente fa presupporre il requisito della vivenza a carico.