Il prelievo di solidarietà
I giudici nell'ordinanza di rimessione mettono in discussione in primo luogo il nuovo contributo di solidarietà di cui all'articolo 1, co. 261 della legge 145/2018 sulle pensioni i cui importi complessivamente considerati superino 100.000 euro lordi su base annua (la riduzione, prevista su scaglioni progressivi, oscilla da un minimo del 15% sino a raggiungere il 40%). Tre le ragioni che per la Corte meritano un nuovo pronunciamento della Consulta. Secondo i giudici contabili il contributo deliberato dal legislatore non può inscriversi nel perimetro tracciato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016, (con la quale è stata positivamente esaminata l'omologa misura, disposta con l'art. 1, comma 486, della n. 147/2013 per il triennio 2014-2016) in quanto mancherebbe la destinazione delle risorse recuperate tramite l'intervento al finanziamento di misure di solidarietà nel settore previdenziale.
Per la Corte, inoltre, non si è in presenza di una situazione emergenziale dei conti pubblici che giustificherebbe uno strumento "straordinario" come il contributo di solidarietà, "bensì di previsioni volte ad individuare mezzi di copertura aggiuntivi delle spese pubbliche mediante imposizione, tuttavia, di un prelievo "selettivo" a carico di alcune categorie di pensionati".
La Corte ravvisa pure la violazione del carattere di necessaria temporaneità della misura considerando che il prelievo giunge poco dopo la scadenza dell'ultimo contributo di solidarietà (imposto per il triennio 2014/2016). Ed infatti nell'ordinanza si cita il caso di un soggetto andato in pensione nel 2014 che si troverebbe a percepire - in un decennio - la pensione intera unicamente per due anni (2017 e 2018).
Meccanismo di perequazione
Nell'ordinanza la Sezione impugna anche il meccanismo di rivalutazione delle pensioni contenuto nella medesima legge di bilancio per il 2019 (art. 1, comma 260, legge n. 145/2018) con il quale il legislatore ha compresso per il triennio 2019 - 2021 l'indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo inps (circa 1.500 euro lordi al mese).
Nel mirino della Corte dei Conti il carattere ormai non più transitorio della misura (la minore indicizzazione delle pensioni dura, infatti, ormai dal 1° gennaio 2012 dopo numerose proroghe) al quale, peraltro, si accompagna la carenza di adeguate e motivate ragioni di finanza pubblica ed una perdita progressiva ed irrecuperabile del potere d'acquisto delle pensioni.
La Corte ravvisa, a tale riguardo, la violazione dei precetti affermati nella decisione della Corte Costituzionale numero 70/2015 (con la quale è stato bocciato parzialmente il blocco della perequazione previsto nella Riforma Fornero), secondo cui "la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure tese a paralizzarlo "esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità", poiché risulterebbe incrinata la principale finalità di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d'acquisto delle pensioni".
La parola ora passa alla Consulta che dovrà, quindi, scrutinare (nuovamente) la legittimità dell'intervento del legislatore.