Nel 2021 le donne hanno percepito solo il 44% dei redditi pensionistici ed il 32% dei pensionati ha un assegno inferiore ai 1.000 euro al mese. Sono alcuni dei dati emersi nel 21° rapporto annuale Inps presentato ieri alla Camera dei Deputati alla presenza dei vertici Inps, del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del Ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Un dato che include integrazione al minimo, maggiorazioni sociali, indennita’ di accompagnamento ed eventuale quattordicesima.
Resta il divario di genere
L’Inps certifica 16 milioni di pensionati a fine dicembre 2021 di cui 7,7 milioni uomini e 8,3 milioni donne per un importo lordo complessivo di quasi 312 miliardi di euro di prestazioni erogate (+1,55% sul 2020). Le pensionate, nonostante costituiscano il 52% del bacino, percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici; l’assegno medio mensile per un uomo è di 1.884 euro lordi, mentre quello delle donne scende a 1.374 euro (37% in meno del trattamento riservato agli uomini). La differenza media supera il 60% (1.390 contro 852 euro, nel 2021).
Ancora una volta il problema, se si guarda specialmente ai trattamenti anticipati e di vecchiaia, è da rinvenire nelle criticità dell’esperienza lavorativa e retributiva. Nel corso degli anni le donne sono andate in pensione sempre più tardi per adeguarsi ai colleghi uomini pur avendo, in linea generale, lavorato meno in termini di ore, percependo una paga oraria/settimanale inferiore a quella degli uomini e, di conseguenza, avendo versato meno contributi. Tra i fattori a cui è riconducibile il divario salariale di genere vi sono la diffusione, tra le donne, dei contratti a tempo determinato con una retribuzione media oraria inferiore di quasi il 30% rispetto agli indeterminati. Ad incidere sul divario è soprattutto il part-time scelto in prevalenza dal genere femminile con un gap retributivo, rispetto al full-time, di oltre il 30%.
Il tutto incide sull’anzianità contributiva. C’è da dire, però, che il gap si è ridotto rispetto al 2001 quando superava il 40%, vent’anni dopo si è attestato sul 25%, ma comunque resta alto visto che nel 2021, le pensionate hanno in media quasi 350 settimane di contribuzione in meno rispetto agli uomini.
Pensionati poveri
Nel rapporto l'Inps ha anche ipotizzato il futuro previdenziale della generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980). Un futuro magro in cui i giovani dovranno lavorare in media tre anni in più rispetto ai più anziani ottenendo una pensione più bassa: con 9 euro l’ora per tutta la vita attiva (l’attuale scenario di «salario minimo») si prenderà una pensione di 750 euro mensili (a prezzi correnti), una somma di poco superiore al trattamento minimo.
Il problema dei futuri pensionati poveri, innescato da esperienze lavorative instabili e frammentate, è legato a doppio filo alla sostenibilità del sistema pensionistico nel medio periodo. Il quadro disegnato dal Rapporto, infatti, mostra che da una parte le varie misure temporanee (quota 100 e ora quota 102) stiano facendo fuoriuscire anticipatamente dal mondo del lavoro più persone e, dall’altra, che la base contributiva si stia restringendo. Prorogarne e/o aggiungerne altre potrebbe peggiorare la situazione. Già ora, in base alle stime sulla sostenibilità del «sistema-INPS», incrociando le previsioni ISTAT sull’aumento demografico e i dati di finanza pubblica, i risultati di gestione in negativo entro il 2029 il patrimonio netto dell’Istituto potrebbe arrivare ad un disavanzo di 92 miliardi di euro.
Le soluzioni
Pur non essendoci un problema di sostenibilità nell’immediato, occorre stimolare la crescita economica e produttività. Per mettere in «equilibrio» il sistema sarebbe «necessario più lavoro e meglio retribuito» si legge nella Relazione illustrativa del Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Che stressa l’obiettivo di recuperare il sommerso e favorire una maggiore produttività delle aziende, con stipendi più elevati. Si deve puntare ad «un forte investimento in formazione soprattutto, ma non solo, durante il periodo giovanile», con incentivi contributivi. Si potrebbe, ad esempio, valorizzare gratuitamente ai fini pensionistici il corso di studi universitari e gli altri periodi di formazione a condizione che la misura della pensione «non superi un determinato importo prestabilito».
Proposta anche una programmazione e la regolarizzazione di nuovi cittadini stranieri per coprire i posti di lavoro non sostituiti dall’invecchiamento della popolazione. A tal fine l’Inps cita l’esempio della regolarizzazione straordinaria del 2020 che, in piena pandemia, ha avuto effetti positivi in termini di entrate contributive (anche se più nel settore del lavoro domestico rispetto a quello agricolo).
Anche la natalità, infine, andrebbe ulteriormente sostenuta per rafforzare la sostenibilità delle prestazioni previdenziali nel lungo periodo. In tal senso l’Istituto saluta positivamente il decollo dell’assegno unico e le misure di sostegno a favore dei figli maggiorenni disabili contenute nel decreto semplificazioni (dl n. 73/2022).