Capita spesso che i lavoratori che hanno concluso l'attività lavorativa in regime di part-time chiedono la prosecuzione volontaria dell'assicurazione IVS per raggiungere i requisiti contributivi per il diritto alla pensione anticipata. In questo caso molti assicurati si trovano recapitare dall'Inps un contributo volontario piuttosto salato rispetto alle aspettative dato che la retribuzione percepita prima della cessazione dal lavoro era influenzata dal rapporto di lavoro part-time.
Com'è noto la regola generale in materia di contribuzione volontaria è che il contributo da versare (giornaliero o settimanale a seconda dei casi) debba essere calcolato sulla retribuzione pensionabile percepita nelle ultime 52 settimane antecedenti la domanda di autorizzazione ai volontari. Il valore deve essere, quindi, moltiplicato per l'aliquota contributiva vigente nella gestione previdenziale in cui si chiede l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria dell'assicurazione (in genere il 33%) e rapportato al numero di settimane che si intende coprire ai fini pensionistici. Se nei 12 mesi antecedenti alla domanda non si trovano 52 settimane di contribuzione derivante da lavoro occorrerà procedere a ritroso nel tempo sino a ricostruire il lasso di tempo indicato.
Così ad esempio un lavoratore dipendente che nei 12 mesi prima della domanda abbia percepito una retribuzione di 40mila euro dovrà pagare un contributo volontario di 13.200 euro per avere un anno pieno di copertura pensionistica (40mila x 0,33). Ma cosa accade se il prestatore ha svolto lavoro part-time e, poi, chiede i versamenti volontari? Molti pensano che il part-time riducendo la retribuzione pensionabile diminuirà anche il costo del versamento volontario. Così nell'esempio sopra citato se il lavoratore avesse prestato un lavoro part-time al 50% avrebbe ottenuto - nei 12 mesi antecedenti la domanda ai vv - un reddito di 20mila euro. In caso di prosecuzione volontaria dei contributi il lavoratore è portato a pensare di dover pagare un onere praticamente dimezzato.
Purtroppo le cose stanno diversamente. In caso di lavoro part-time, infatti, la ricostruzione della retribuzione pensionabile avviene prendendo come punto di riferimento le settimane utili ai fini della misura della pensione e non ai fini del diritto riportate nell'estratto conto contributivo. E dato che con il rapporto di lavoro part-time i due valori non coincidono (le settimane ai fini della misura vengono ridotte in proporzione al servizio prestato in regime di tempo parziale) per ricostruire il periodo di riferimento occorrerà prendere in considerazione la retribuzione pensionabile percepita su un arco temporale più lungo rispetto alle ultime 52 settimane utili ai fini del diritto alla pensione. Nel caso di specie, dato che le settimane utili ai fini della misura saranno 26 e non 52, si dovrà utilizzare la retribuzione pensionabile percepita negli ultimi due anni per stabilire l'importo dei versamenti volontari dovuti una volta concluso il rapporto di lavoro. Essendo il periodo di riferimento più lungo l'importo da pagare in sostanza sarà più elevato, praticamente come se l'ultimo periodo fosse stato lavorato a tempo pieno.
La contribuzione volontaria ha, comunque, un minimale annuo al di sotto del quale non è possibile scendere. Nel 2022 il contributo minimo da pagare è rapportato ad una retribuzione settimanale minima di 210,15€. Così i lavoratori dipendenti devono versare un minimo di 69,35€ per coprire una settimana ossia 3.606,17€ per coprire ai fini pensionistici l'anno intero. Gli autorizzati ai volontari entro il 1995 pagano invece un contributo di 58,57€ euro a settimana dato che nei loro confronti è mantenuta l'aliquota contributiva del 27,87%.