La presenza di un rapporto lavorativo, anche se di natura parasubordinata, esclude la possibilità di proseguire volontariamente l'assicurazione IVS. E' questa una delle principali caratteristiche dell'ordinamento previdenziale pubblico su cui si scontrano molti lavoratori. In sostanza il lavoratore non può effettuare versamenti contributivi presso le gestioni previdenziali ove al contempo questi svolga un rapporto di lavoro di qualsiasi natura, sia subordinato che autonomo o parasubordinato stante il divieto previsto dall'articolo 6, comma 2 del decreto legislativo 184/1997.
Su tale norma si è pronunciata anche la Corte Costituzionale più volte (sentenze 114/2015 e 44/2017) confermando, sostanzialmente, la cogenza del dettato normativo in parola. Capita spesso, infatti, che un lavoratore iscritto al Fpld che abbia perso l'occupazione ricorra al versamento della contribuzione volontaria al fine di integrare l'importo della pensione o per innalzare il numero dei contributi maturati. Tuttavia se durante i periodi di contribuzione volontaria si svolgono ulteriori lavori, ad esempio prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa, con relativa iscrizione alla gestione separata dell'Inps, gli enti previdenziali non possono riconoscere l'accredito volontario per il periodo sovrapposto temporalmente. La limitazione è tassativa e vale a prescindere dal reddito ricavato dall'attività lavorativa che a volte potrebbe essere insufficiente ad assicurare alcuna copertura contributiva.
Nella Sentenza numero 44 del 2017, però la Corte Costituzionale ha aperto alla possibilità che il legislatore riveda in senso diverso il divieto di cumulo in questione perlomeno con riferimento alle attività lavorative di natura discontinua in modo da non sacrificare la formazione di una posizione assicurativa per i soggetti più deboli sul mercato del lavoro.
In tale occasione la Corte Costituzionale è stata chiamata a valutare la legittimità dell'articolo 6, co. 2 del Dlgs 184/1997 dalla Corte di Appello di Trieste evidenziando come il quadro normativo attuale impedisca la contribuzione volontaria se si versa alla gestione separata, anche per piccoli importi (il caso si riferiva ad una lavoratrice che aveva avuto redditi per meno di 3mila euro all'anno, praticamente marginali, perdendo la possibilità, per il medesimo periodo, di coprire con i volontari il periodo nella gestione dei lavoratori dipendenti alla quale era stata autorizzata precedentemente). Una situazione ritenuta dal giudice di merito paragonabile a quella dell'impiego part time, per il quale invece è concesso integrare con versamenti volontari i periodi eventualmente non coperti da contribuzione.
La richiesta è stata dichiarata dai Giudici delle Leggi inammissibile per difetto di motivazione e per la formulazione della stessa, in quanto generica e indeterminata. Tuttavia la Corte nelle sue motivazioni ha accolto le critiche sollevate del giudice di merito suggerendo al legislatore un intervento migliorativo sulla questione perlomeno con riferimento alle situazioni di maggiore difficoltà e precarietà. "Non può escludersi - hanno scritto i giudici - che il legislatore identifichi con precisione le prestazioni di lavoro che, in considerazione del carattere saltuario dell’attività prestata o comunque del limitato impegno orario e della ridotta entità dei compensi, siano sottratte al divieto di cumulo di cui al comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 184 del 1997. Un tale intervento di definizione delle contribuzioni richieste ben potrebbe fornire una più specifica tutela a soggetti caratterizzati da una condizione di particolare debolezza nel mercato del lavoro". Allo stato attuale il suggerimento della Corte è rimasto però inascoltato.