In attesa che il Parlamento decida appare utile comunque ricordare chi dovrà prestare attenzione alle novità in arrivo. Innanzitutto ci sono coloro che hanno perso l'appuntamento con la settima salvaguardia per non aver prodotto l'istanza di accesso entro la scadenza del 1° marzo 2016. Diversi lavoratori, infatti, pur avendo già sulla carta i requisiti per accedere alla tutela si sono accorti in ritardo, una volta spirato il termine per la produzione dell'istanza di accesso, di avere la possibilità di farne parte e, quindi, hanno perso il treno.
Particolare attenzione deve essere prestata, anche da coloro che non hanno potuto fruire del beneficio di cui articolo 24 comma 15 bis del decreto legge 201/2011 convertito con legge 214/2011 ossia della possibilità di pensionarsi a 64 anni, per il fatto di trovarsi disoccupati alla data del 28 dicembre 2011 (paletto imposto in modo occulto dall'Inps con la Circolare 35/2012). Questi lavoratori, infatti, avendo perduto il lavoro prima del 31 dicembre 2011 e maturando il diritto alla pensione, secondo le regole previgenti al dl 201/2011 entro il 2012 hanno spesso le carte in regola per partecipare alla salvaguardia pensionistica.
Si immagini un lavoratore dipendente del settore privato che ha perso il lavoro nel febbraio 2011 ad un'età di 59 anni di età e 36 di contributi. Questi nel 2012 avrebbe agganciato la quota 96 con il raggiungimento dell'età di 60 anni. E sarebbe andato in pensione, con le vecchie regole, nel 2013 dopo 12 mesi di finestra mobile. Non trovandosi in condizione lavorativa subordinata al 28 dicembre 2011 non può usufruire dello scivolo previsto dal comma 15-bis appena citato che lo avrebbe traghettato in pensione nel 2017 (al compimento dei 64 anni e 7 mesi). Ma dato che aveva perso il lavoro entro il 2011 l'interessato può essere ammesso alla salvaguardia dato che con le vecchie regole avrebbe maturato la decorrenza della pensione nel 2013. E quindi riuscirebbe comunque ad andare in pensione. Le salvaguardie non fanno distinzione circa i motivi che hanno portato alla conclusione del rapporto lavorativo (alla data del 28 dicembre 2011): il lavoratore può essere stato licenziato, può essersi dimesso, può aver risolto consensualmente il rapporto con un accordo con l'azienda, oppure può aver concluso il rapporto a seguito della scadenza naturale del rapporto lavorativo a tempo determinato. L'unico paletto è che, dopo la cessazione del rapporto, non sia stato rioccupato a tempo indeterminato. La salvaguardia può, in sostanza, essere utilizzata come strumento alternativo per rimediare, almeno in parte, alla restrizione imposta dall'Inps nel 2012 che impedisce di utilizzare lo scivolo del pensionamento anticipato a 64 anni ai disoccupati.
L'esito del provvedimento non è ancora scontato. Pesa il fatto che l'iter legislativo andrà a sovrapporsi alla flessibilità in uscita a cui sta lavorando il Governo e che vedrà la luce dopo l'estate. Il rischio è che l'esecutivo si possa opporre barattandolo proprio con la flessibilità. I due provvedimenti sono però diversi e chi opera nel settore nè è ben consapevole: con la flessibilità in uscita si andrà incontro ad un assegno penalizzato (la riduzione è ancora da fissare) mentre se si usa la salvaguardia non c'è alcuna decurtazione sulla pensione. La partita è aperta.