I contributi restituiti al proprio datore di lavoro derivanti dagli errori sull'applicazione del massimale contributivo di cui alla legge n. 335/1995 sono deducibili dal reddito complessivo del contribuente con riferimento all'anno in cui sono stati versati (cd. principio di cassa). Lo rende noto l'amministrazione finanziaria rispondendo ad un interpello (risposta n. 117/2022) proposto da un lavoratore in merito alle diffide che l'Inps sta inviando per il recupero delle omissioni contributive.
La questione
Riguarda l'applicazione del massimale della base contributiva e pensionabile di cui alla legge n. 335/1995 che, come noto, scatta a favore: a) dei lavoratori privi di anzianità contributiva al 31.12.1995 (non solo presso le gestioni Inps dei lavoratori autonomi o dipendenti, del settore pubblico o privato, ma anche presso le casse professionali o paesi esteri convenzionati con l'Italia) oppure; b) di coloro che abbiano esercitato l'opzione al sistema contributivo ai sensi dell'articolo 1, co. 23 della legge 335/1995 (in tal caso l'abbattimento al massimale scatta dalla data di decorrenza dell'opzione al contributivo).
La legge, infatti, prescrive che per questi soggetti i contributi vanno versati sino a concorrenza di una retribuzione di poco superiore ai 100mila euro annui. La quota eccedente è esente dal prelievo contributivo e non concorre, quindi, alla misura della pensione.
In questi ultimi anni l'Inps ha avviato una serie di controlli sulla corretta applicazione della norma riscontrando parecchi errori da parte dei datori di lavoro tenuti all'assolvimento degli obblighi contributivi. L'anomalia spesso è dipesa dalla mancata comunicazione - da parte del lavoratore neo-assunto - circa la presenza di periodi di contribuzione anteriori al 31 dicembre 1995 non conosciuti al momento dell'assunzione (ad esempio la presenza di un periodo di contribuzione all'estero) oppure per fatti intervenuti successivamente all'instaurazione del rapporto di lavoro (es. l'accredito del servizio di leva, una domanda di riscatto).
Diffide in arrivo
Ai datori di lavoro incappati nell'errore l'ente previdenziale ha inviato, pertanto, una diffida con l'invito a versare - nei limiti della prescrizione - i contributi sull'intera retribuzione imponibile. Siccome un terzo della contribuzione IVS è a carico dei lavoratori dipendenti quest'ultimi devono riversare al datore di lavoro la quota di propria competenza (cioè, almeno di regola, il 9,19% della retribuzione pensionabile più l'eventuale aliquota aggiuntiva dell'1%) ristorando così parte della contribuzione anticipata dal datore di lavoro all'INPS per effetto della diffida. Si tratta di cifre spesso cospicue dato che riguardano una pluralità di annualità.
Sì alla deducibilità
Ebbene secondo l'amministrazione finanziaria anche queste somme versate al datore di lavoro sono deducibili dal reddito del contribuente in quanto costituiscono un'integrazione di contributi obbligatori per legge, a suo tempo non versati. Ai fini della deducibilità, spiega l'AdE, occorre fare riferimento al periodo di imposta in cui il contribuente rimborsa tali oneri all'ex datore di lavoro (cd. principio di cassa) e non all'annualità in cui l'ex datore di lavoro è stato chiamato a versare (ed ha versato) la maggior quota contributiva a carico del dipendente regolarizzando le omissioni contributive obbligatorie. I contributi in questione, pertanto, andranno indicati nel rigo della dichiarazione dei redditi dedicato ai "Contributi previdenziali e assistenziali" relativa al periodo d'imposta in cui tali contributi sono restituiti all'ex datore di lavoro (Rigo E21).
Per attestare il sostenimento dell'onere il datore di lavoro può rilasciare una certificazione unica (CU) che attesti le somme oggetto di deduzione con l'inserimento di un'annotazione a contenuto libero (con il codice ZZ).