La Corte ha ribadito che l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (v., fra le altre, Cass. nn. 23948 e 24532 del 2015; nn. 26662, 21376, 21207 e 8565 del 2016; nn. 4968 e 16677 del 2017) è nel senso ormai di riconoscere l'efficacia a fini del diritto alla pensione dei periodi non lavorati in caso di part time verticale incidendo la contribuzione ridotta esclusivamente sulla misura della pensione e non anche sulla durata del rapporto di lavoro. Orientamento confermato anche dalla giurisprudenza comunitaria a tutela del principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale. La Corte al riguardo menziona la pronuncia della CGUE 10.6.2010, resa nei procedimenti riuniti C-395-396/08, B. ed altri, concernente fattispecie sovrapponibile a quella sottoposta al suo esame in cui è stato sancito il principio secondo il quale, con riferimento alle pensioni, "osta ad una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell'anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive".
In sostanza i periodi non lavorati nell'ambito di un part-time verticale sono utili ai fini del diritto alla pensione al pari di quelli prestati in regime di part-time orizzontale (ovviamente fermo il rispetto del minimale contributivo richiesto dalla legge per la copertura dell'anno intero). L'ente previdenziale è tenuto, pertanto, a riconoscere tali periodi per il perfezionamento dei requisiti contributivi sia per il diritto alla pensione di vecchiaia (20 anni di contributi) sia per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi, 41 anni e 10 mesi le donne) nonchè per le altre prestazioni previdenziali erogabili dall'Ente.