Pensioni, L'assegno alimentare non è utile ai fini pensionistici e del TFS/TFR

Valerio Damiani Mercoledì, 30 Maggio 2018
Un documento Inps chiarisce i criteri in vigore per i dipendenti pubblici sospesi precauzionalmente dal servizio per pendenza di procedimento giudiziario. Se il provvedimento viene revocato con restitutio in integrum il periodo tuttavia sarà valorizzabile ai fini pensionistici e del TFS.
Regole in chiaro per la computabilità ai fini pensionistici dei periodi di sospensione cautelare dei dipendenti pubblici. Lo indica l'Inps nel messaggio 2161/2018 in cui l'istituto fornisce le indicazioni per lavoratori e datori di lavoro coinvolti nella misura. Come noto la sospensione cautelare dal servizio è una misura discrezionale e a carattere provvisorio a cui il datore di lavoro pubblico può ricorrere in circostanze in cui il lavoratore si sia reso responsabile di fatti per i quali pende un procedimento giudiziario il cui esito è, naturalmente, incerto.

Concretamente l'istituto della sospensione cautelare può operare quando il lavoratore non è colpito da misure restrittive della libertà personale (anche di carattere preventivo) per le quali è impossibile la prestazione lavorativa o la legge non preveda la sospensione obbligatoria dal servizio in relazione a taluni fatti compiuti dal lavoratore. In questi casi il datore di lavoro ha la facoltà di sospendere cautelare il dipendente in relazione ai fatti contestati in attesa di addivenire ad una giudizio finale che può sfociare nella revoca della sospensione, nel licenziamento oppure nella sospensione dal servizio.

L'assegno alimentare

Durante il periodo di sospensione il dipendente ha diritto alla corresponsione dell'assegno alimentare, il cui importo non è superiore alla metà dello stipendio stesso, oltre gli assegni per carichi di famiglia, fatte salve specifiche indicazioni. Ebbene l'Inps spiega che tale assegno è imponibile fiscalmente ed è pure oggetto delle ritenute previdenziali da parte del datore di lavoro (ma non di quelle ai fini del TFS nè del TFR). Dal punto di vista previdenziale nonostante l'assegno sia oggetto alle ritenute previdenziali il dipendente pubblico non potrà però valorizzare in pensione nè ai fini del TFS/TFR tale importo. Le disposizioni in materia di imponibilità degli assegni erogati durante i periodi di sospensione cautelare per procedimento giudiziario in corso non comportano, infatti, la valutabilità dei periodi per le prestazioni relative alle casse pensionistiche dei dipendenti pubblici (CPDEL, CPI, CPS, CPUG, CTPS).

La decisione finale

Il periodo di sospensione cautelare può terminare alternativamente con l'adozione di un provvedimento definitivo da parte dell'amministrazione che ne stabilisca la revoca ex tunc (cioè con erogazione degli arretrati della retribuzione); il licenziamento o la destituzione oppure con un periodo di sospensione obbligatoria.

Nel primo caso il lavoratore ha diritto al trattamento retributivo che avrebbe percepito se fosse rimasto in servizio e tale periodo diventerà utile ai fini della pensione e del TFS/TFR (restitutio in integrum). In tal caso il datore di lavoro dovrà corrispondere al lavoratore la retribuzione persa (escluse alcune voci previste dalla normativa o dalla contrattazione collettiva quali, ad esempio, indennità o compensi comunque collegati alla presenza in servizio, prestazioni di carattere straordinario) scomputando quanto corrisposto durante il periodo di sospensione cautelare, a titolo di assegno alimentare; e dovrà anche versare i contributi utili ai fini pensionistici e della erogazione delle prestazioni di fine servizio (TFS/TFR) sull'intero trattamento retributivo corrisposto.

Nel caso in cui il datore di lavoro adotti un provvedimento disciplinare di licenziamento o di destituzione, i periodi di sospensione cautelare resteranno privi di valenza previdenziale per il lavoratore ed il datore potrà chiedere all'Inps la restituzione dei contributi pagati per le somme erogate durante i periodi di sospensione cautelare che si collocano dopo la data di cessazione del rapporto di lavoro avendo il licenziamento natura retroattiva.  

Infine può accadere che il datore di lavoro tramuti la sospensione cautelare in sospensione definitiva (per sanzione disciplinare, per misure restrittive della libertà personale o per altre ipotesi di sospensione obbligatoria). In questo caso se il periodo di sospensione è inferiore al periodo di sospensione cautelare disposto in precedenza, i periodi che eccedono la sospensione irrogata dal provvedimento disciplinare sono utili ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza nella sola ipotesi di ricostruzione della carriera. Anche in questi casi il datore di lavoro può ottenere la restituzione dei contributi pagati sull'assegno alimentare per i periodi oggetto di sospensione.

In ogni caso il recupero dei contributi è effettuato per l’intera aliquota contributiva (quota a carico del datore di lavoro e quota a carico del lavoratore) dal datore di lavoro, il quale è tenuto a restituire al lavoratore la quota posta a suo carico. Eventuali diffide da parte del lavoratore per il recupero della quota a suo carico devono essere indirizzate non all'Inps, ma al datore di lavoro che ha effettuato le ritenute fiscali e previdenziali.

Personale militare

Per quanto riguarda il personale militare l’assegno corrisposto durante i periodi di sospensione cautelare è pari alla metà delle voci fisse e continuative ed è imponibile sia ai fini pensionistici sia ai fini previdenziali per l’erogazione dell’indennità di buonuscita. Non solo. Tale periodo è pure computabile ai fini pensionistici nella misura del 50 per cento a differenza di quanto previsto per i dipendenti pubblici "civili".

Se alla sospensione precauzionale fa seguito la destituzione dall’impiego con effetto retroattivo, il periodo di sospensione in argomento non è utile ai fini delle prestazioni di quiescenza e previdenza e l’Amministrazione può recuperare i contributi versati.  Nei casi di destituzione con effetto non retroattivo, i periodi di sospensione cautelare dall’impiego che si collocano prima della data da cui decorre la destituzione sono comunque utili al cinquanta per cento. Il periodo in cui il soggetto viene riammesso in servizio deve essere computato relativamente al trattamento di quiescenza e previdenza

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Documenti: Messaggio inps 2161/2018

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