I contributi da riscatto non si possono neutralizzare ai fini pensionistici. L’effetto del riscatto, infatti, è solo quello di aumentare l’anzianità contributiva dell’assicurato, non necessariamente deve comportare un aumento della misura della rendita. L’operazione, in altri termini, è intrinsecamente aleatoria e, quindi, può tradire le originarie aspettative di ottenere un assegno più succulento. Lo stabilisce la Corte Costituzionale con la sentenza n. 112 del 21 maggio 2024 depositata il 27 giugno 2024. Il caso è interessante in quanto precisa i limiti del principio di neutralizzazione già riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale.
La questione
Nel 1996, poco dopo l’entrata in vigore della Riforma Dini (L. 335/1995) un lavoratore aveva chiesto ed ottenuto dall’Inps il riscatto di 145 settimane di laurea al fine di acquisire i 18 anni di anzianità contributiva per rimanere nel sistema retributivo. L’operazione era stata guidata dall’aspettativa all'epoca di maturare, con il retributivo, una rendita più elevata di quanto avrebbe conseguito con il sistema misto, cioè con il sistema retributivo sino al 31 dicembre 1995 e contributivo dal 1° gennaio 1996.
Il tempo passa e le norme cambiano. La Riforma Fornero (Dl 201/2011) ha, infatti, introdotto dal 1° gennaio 2012 il sistema contributivo anche nei confronti dei lavoratori che al 31 dicembre 1995 vantavano almeno 18 anni di contributi. La norma è stata poi ulteriormente novellata dall’articolo 1, co. 707 della L. 190/2014 secondo il quale la misura della rendita non può eccedere quanto sarebbe stato liquidato con le norme anteriori al Dl n. 201/2011, cioè continuando ad applicare il sistema interamente retributivo sino al pensionamento.
La sorpresa arriva nel 2019 quando sceglie di incrociare le braccia con Quota 100. La rendita, calcolata con le regole interamente retributive, ammonta a 9.221€ lordi al mese in luogo dei 11.428€ a cui avrebbe avuto diritto con il sistema misto, se non avesse optato per il riscatto della laurea.
La neutralizzazione
L’interessato, pertanto, si è rivolto al giudice per chiedere l’applicazione del principio della neutralizzazione (Corte Cost. n, 224/2022) secondo il quale, come noto, la contribuzione aggiuntiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo non può compromettere la misura della rendita già maturata indipendentemente dalla natura di contributi coinvolti.
L’assicurato, al riguardo, faceva notare che il diritto a pensione con Quota 100 era stato maturato a prescindere dal computo delle 145 settimane riscattate e, quindi, era ininfluente.
Secondo la Corte la tesi dell’assicurato è priva di fondamento. I giudici precisano, prima di tutto, che la neutralizzazione può riguardare solo la contribuzione accreditata, a qualsiasi titolo, dopo la maturazione del diritto a pensione e se e solo se tali periodi abbattono la retribuzione pensionabile (cioè siano collocati negli ultimi cinque anni anteriori al pensionamento).
Il fine: evitare che l’ultimo periodo lavorativo, durante il quale si siano registrate retribuzioni inferiori rispetto a periodi meno recenti e, comunque, non necessarie al perfezionamento del diritto alla pensione, possa risultare pregiudizievole al pensionando.
Nel caso di specie, invece, la contribuzione da riscatto non sarebbe stata acquisita dopo il perfezionamento del requisito di accesso a pensione, ma in un periodo evidentemente antecedente, sicché essa non potrebbe avere determinato alcuna riduzione della prestazione già virtualmente maturata. La neutralizzazione sarebbe richiesta, pertanto, non al fine di eliminare gli effetti nocivi derivanti dal calcolo dei contributi da riscatto, ma allo scopo di transitare a un sistema di calcolo della pensione diverso, secondo una valutazione ex post del lavoratore, risultata più conveniente rispetto a quella originaria, evidentemente errata.
Il riscatto è irrevocabile
Secondo la Corte un tale diritto non è riconosciuto nel nostro ordinamento perché si risolve in una sostanziale «pretesa di scelta del sistema di calcolo del trattamento pensionistico in base a una valutazione ex post, ossia effettuata al momento del pensionamento, che si pone in contrasto con il principio di certezza del diritto che deve pur sempre presidiare il sistema previdenziale».
Il sistema della previdenza obbligatoria, spiegano i giudici nelle motivazioni, è ispirato ad un criterio solidaristico «in forza del quale tra pensioni e retribuzioni e tra pensioni e ammontare della contribuzione versata non è delineato un rapporto di perfetta corrispondenza, bensì una tendenziale correlazione, in grado di salvaguardare l’idoneità del trattamento previdenziale al soddisfacimento delle esigenze di vita».
Il riscatto, in sostanza, è inquadrabile come una sorta di negozio aleatorio, può non sortire gli effetti sperati. L’unico effetto certo dell’operazione, spiega la Corte, è quello di aumentare l’anzianità contributiva non determina necessariamente un aumento della rendita.
La Corte cita anche l’ordinanza n. 209 del 1991 nella quale ha respinto l’ipotesi di revocare il riscatto di periodi di servizio o di studio al fine di potersi giovare della facoltà di optare per il mantenimento in servizio sino al limite dei settanta anni di età. Pertanto «l’esercizio della facoltà di riscatto può anche non assecondare, per vicende successive, i concreti interessi del riscattante, senza che ciò assurga a vizio d’illegittimità costituzionale delle norme che quegli effetti prevedono».
In conclusione, la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità del combinato disposto della legge n. 335/1995 e del dl n. 201/2011, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui non è previsto il diritto del pensionato alla neutralizzazione del riscatto del periodo di studio.