I lavoratori che andranno in pensione l'anno prossimo dovranno, pertanto, rivalutare il montante contributivo accreditato al 31 dicembre 2019 dell'1,9199%, resta inteso che non si procederà ad alcuna rivalutazione dei contributi versati nel 2020, l'anno precedente all'andata in pensione.
Com'è noto, infatti, in base alla riforma Dini il montante contributivo (quel tesoretto che viene annualmente messo da parte dai lavoratori con il versamento dei contributi previdenziali) viene annualmente rivalutato in base all'andamento della crescita nominale del prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni (il cd. tasso di capitalizzazione). Il tasso di rivalutazione si applica alla parte contributiva di tutte le pensioni (di vecchiaia, di anzianità, di invalidità) erogate dalla previdenza pubblica obbligatoria (cioè dall'INPS), e quindi è importante per chi ha iniziato a versare i contributi dal 1996, perché la sua pensione sarà calcolata interamente con il metodo contributivo; è meno impattante per chi aveva meno di 18 anni di contributi nel 1995, in quanto soggetto al sistema misto (retributivo-contributivo); ed ancor meno significativo per chi aveva più di 18 anni di contributi nel 1995 dato che il metodo contributivo si applica solo ai versamenti effettuati dal 2012 in poi. L'ammontare dei contributi che ogni anno si traduce in pensione è determinato dall'aliquota di computo che risulta pari al 33% della retribuzione percepita per i lavoratori dipendenti (per gli autonomi l'aliquota è più bassa, e risulta compresa tra il 24 ed il 25% a seconda delle gestioni previdenziali in cui risulta iscritto l'assicurato). E' questo il valore che ogni anno deve essere rivalutato per la media quinquennale del Pil.
Effetti della pandemia
La crisi del PIL legata all'emergenza sanitaria da COVID-19 non produce, quindi, come già anticipato sulle pagine di questa rivista tempo fa, alcun effetto sulle pensioni che avranno decorrenza nel 2021; il tasso di capitalizzazione, come visto, viene calcolato sulla media della variazione del PIL registrata nei cinque anni antecedenti il 2019. Per cui non è necessario affrettarsi a lasciare il lavoro entro fine anno, come a volte si è portati a pensare. In futuro è lecito comunque aspettarsi un ulteriore intervento legislativo in grado di compensare gli effetti della contrazione del PIL nel 2020 come già avvenuto in occasione della crisi del 2008-2012 (dl n. 65/2015).