Se si crea la possibilità di andare in pensione prima, ha aggiunto Boeri, «sappiamo che saranno i datori di lavoro stessi a spingerli a ritirarsi prima: a quel punto uscirebbero con delle pensioni più basse», visto il funzionamento del sistema contributivo. Se una persona «percepisce la pensione più a lungo, perchè si vive più a lungo, è giusto anche che contribuisca più a lungo al sistema», previdenziale «altrimenti il sistema non riesce a reggere»: promuovere le uscite anticipate si riflette quindi inevitabilmente sugli importi delle pensioni perchè «col sistema contributivo più si lavora, più i trattamenti aumentano».
Dopo l'allarme lanciato ieri dalla Ragioneria dello Stato (il meccanismo è «irrinunciabile» perché «costituisce la misura più efficace per sostenere il livello delle prestazioni») Boeri ha quindi confermato che slegare l'età di pensionamento all'aspettativa di vita «è pericolosissimo» perché «può avere sia effetti in avanti che all'indietro». Rispetto al passato, ha spiegato il numero uno dell'Inps, «le generazioni che hanno già vissuto questo adeguamento, per esempio con l'aumento dell'età pensionabile di quattro mesi nel 2016, o prima ancora, di tre mesi nel 2013, direbbero: ma perché noi abbiamo dovuto pagare?». In prospettiva, ha poi ribadito citando un dato già sottolineato negli ultimi giorni, ci sarebbe invece un aggravio di spesa stimabile in 141 miliardi di euro.
Sindacati: la posizione della RGS è inaccettabile
Per la parte sindacale il continuo rialzo dell'età pensionabile è insostenibile da un punto di vista sociale. La Cgil rimarca l'assurdità di tale meccanismo che non trova eguali in Europa. Già oggi, effettivamente, l'età di uscita dal mondo del lavoro è la più alta dell'intero continente (ad eccezione della Grecia dove è stata portata a 67 anni) mentre per il segretario confederale Cisl, Maurizio Petriccioli, responsabile delle politiche previdenziali del sindacato, si tratta di rinvio «necessario e sopportabile», che ha un consenso trasversale in Parlamento. In questo contesto, l'intervento della Ragioneria Generale «somiglia molto ad un consiglio che le volpi possono dare alle galline per vivere più a lungo. L'esito è scontato».
Ad essere penalizzate maggiormente sono soprattutto le donne del settore privato: in sette anni, dal 2011 al 2018, l'età di uscita per le donne è cresciuta di ben 6 anni e 7 mesi, dai 60 anni del 2011 a 66 anni e 7 mesi, quasi un anno all'anno, lasciando senza tutele gran parte delle nate dal 1952 in poi. Anche in Parlamento, complice l'avvicinarsi delle elezioni, si registra un allineamento contro i futuri adeguamenti. Un minimo comune denominatore tra le diverse posizioni potrebbe essere raggiunto a settembre in occasione del prossimo confronto con i sindacati sulla fase "due": il blocco della speranza di vita dopo i lavori usuranti, già acquisito con l'ultima legge di bilancio, anche per i lavori gravosi, cioè le undici professioni che da quest'anno possono godere dell'Ape sociale e del pensionamento con 41 anni di contributi (infermieri, edili, maestre d'infanzia, operatori ecologici eccetera).