Riforma Pensioni, Giovannini: la soluzione è il prestito pensionistico

Mercoledì, 04 Marzo 2015
Nei cassetti del Ministero del Lavoro giace la proposta formulata dall'ex-ministro del Lavoro Enrico Giovannini basata sul prestito pensionistico.

Kamsin L'ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini ricorda oggi in una intervista raccolta dal quotidiano La Stampa il piano elaborato dall'esecutivo Letta per salvare coloro a cui mancano 2-3 anni al compimento dell'età pensionabile e che hanno perso il lavoro.

Professore, lei lanciò una proposta per risolvere il nodo della flessibilità pensionistica. Ce la ricorda? «È un tema su cui in tanti si sono esercitati, ma sempre scontrandosi con il problema dei costi della flessibilità. Se la penalizzazione per chi va via prima è bassa, per lo Stato l'onere può essere di molti miliardi l'anno. E anche se magari nel lungo periodo si torna all'equilibrio, nella prima fase c'è un forte esborso che crea un buco di bilancio».

Eppure il problema flessibilità c'è, e va risolto... «Indubbio: un lavoratore a 64 anni non può certo salire su un ponteggio. E anche le imprese hanno necessità di accelerare il ricambio di personale, immettendo giovani che peraltro costano di meno...»

E non sono tutelati dall'art.18... «Certamente. Per questo a suo tempo lavorammo sull'idea del "prestito pensionistico". Una soluzione mirata sui lavoratori molto vicini all'uscita: possono cessare di lavorare, ricevendo non una pensione anticipata, ma un anticipo di 7-800 euro al mese per un periodo di due o tre anni sulla futura pensione cui avranno diritto. Che rimborseranno attuarialmente dopo, a rate, prima di tornare a percepire l'assegno integrale».

Parliamo di lavoratori con pensioni medio-basse. faranno fatica a rimborsare il "prestito"...
«Non necessariamente, ma si può anche immaginare che l'azienda in cui sono occupati voglia contribuire, accollandosi parte del rimborso. Oppure può contribuire anche lo Stato».

E' una platea ampia? «No, e anche questo è un punto chiave per rendere sostenibile l'operazione. Le stime fatte a suo tempo ipotizzavano 20 30mila persone all'anno potenzialmente interessate. Oppure, bisogna trovare soluzioni più coraggiose, anche queste studiate dal governo Letta...»

Ovvero? «Il progetto che avevamo elaborato era quello del "reddito minimo", che avevamo chiamato "sostegno all'inclusione attiva". Avrebbe riguardato tutte le persone sotto la soglia di povertà, che perso il posto di lavoro avrebbero comunque goduto di una protezione sociale condizionata a comportamenti "virtuosi" da parte del beneficiario. Efficace ed universale, come c'è in quasi tutti i paesi europei».

Sarebbe costata molto... «Guardi, con 7 miliardi di euro l'anno avremmo azzerato la povertà in Italia. Migliorando in modo notevole la situazione del 7,9% delle famiglie italiane. Parliamo di sei milioni di persone in gravissima difficoltà. Se ci fossimo limitati a portare al 50% della soglia di povertà (circa 1000 euro per due persone) chi sta sotto di essa, il costo sarebbe stato di 1,5 miliardi. Però ci dissero che era troppo». 

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Zedde

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