Pensioni

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L'Inps ha aggiornato il report delle procedure di monitoraggio dei lavoratori cd. salvaguardati. Restano insufficienti i posti dedicati ai lavoratori che hanno assistito disabili nel corso del 2011.

Kamsin Quasi 11.000 pensioni certificate e poco più di 800 prestazioni liquidate nell'ambito della sesta salvaguardia. È quanto emerge dal report diffuso dall'Inps relativo alle operazioni di salvaguardia aggiornato al 20 marzo.

Questa la suddivisione delle certificazioni in base ai diversi profili di tutela individuati dalla legge 147/2014. Per quanto riguarda i lavoratori in mobilità ordinaria l'Inps ha emesso 1.119 certificazioni a fronte di una platea di 5.500 posti disponibili; ammontano invece a 3.773 le certificazioni per i lavoratori autorizzati ai volontari (sia con contributo versato entro il 6 dicembre 2011 sia senza) su una platea prevista di 12.000 posti; sono 1.836 le certificazioni relative a coloro che sono cessati con accordi con il datore di lavoro entro il dicembre 2012, la platea disponibile è 8.800 posti.

Continua invece a registrarsi un deficit di posti disponibili per i lavoratori che hanno fruito dei permessi e dei congedi per assistere disabili nel corso del 2011. A fronte di una capienza di 1.800 posti le certificazioni rilasciate sono infatti più del doppio, ben 3.701. A questo punto appare evenidente la necessità di un intervento ad hoc per estendere la capienza del contingente utilizzando le posizioni avanzate negli altri profili di tutela. In questo profilo, del resto, si era già avuto modo di evidenziare l'insufficienza dei posti previsti per legge già nel corso della quarta salvaguardia (legge 124 2013). In tale occasione, infatti, il legislatore aveva fatto male i calcoli fissando in 2.500 ma l'Inps certificò in quasi 5mila i potenziali aventi diritto. 

Crescono anche le prestazioni liquidate nelle altre 5 salvaguardie. Complessivamente l'Inps ha certificato il diritto in favore di circa 110mila lavoratori mentre sono 70mila le pensioni già poste in pagamento. Queste norme, lo si ricorda, consentono a lavoratori che hanno perso il lavoro entro il 2011 di mantenere l'ultrattività delle regole pensionistiche ante-fornero e quindi di accedere alla pensione prima rispetto a quanto stabilito dalla Riforma del 2011.

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Il blocco dell'indicizzazione degli assegni nel biennio 2012-2013 ha già fatto lasciare sul terreno oltre 150 euro al mese sugli assegni superiori a 3mila euro lordi.

Kamsin Com'è noto gli assegni previdenziali vengono di anno un anno rivalutati in base all'andamento dell'inflazione. In gergo questo meccanimso di chiama "perequazione", una misura "compensativa" che consente agli assegni pensionistici di recuperare il potere d'acquisto eroso dall'aumento annuale dell'inflazione. Si tratta dunque di una garanzia che il reddito del pensionato rimanga costante nel tempo.

In questi ultimi anni, però, le modalità di erogazione della rivalutazione sono state piu' volte riviste sino a generare molta confusione sul punto. Con la Riforma Fornero è stato infatti disposto il blocco dell'indicizzazione nei confronti delle pensioni che erano di importo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps (pari a 1.443 euro per il 2012; 1486,26 euro per il 2013). Le pensioni di importo inferiore sono state invece adeguate pienamente all'inflazione (+ 2,7% nel 2012 e + 3% nel 2013).

Si ricorda che prima del Dl 201/2011 la perequazione era suddivisa in tre fasce all'interno del trattamento pensionistico complessivo e l'adeguamento veniva concesso in misura piena per le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo; scendeva al 90% per le fasce di importo comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo; e ancora calava al 75% per i trattamenti superiori a cinque volte il minimo.

La legge 147/2013 ha parzialmente rimosso questa misura particolarmente penalizzante. Nello specifico la legge citata ha previsto un sistema di rivalutazione suddiviso in cinque scaglioni. Per le pensioni di importo fino a tre volte il trattamento minimo l'adeguamento avviene in misura piena (100%); per le pensioni di importo superiore e sino a quattro volte il trattamento minimo viene riconosciuto il 95% dell'adeguamento; per quelle di importo superiore e sino a cinque volte il minimo l'adeguamento è pari al 75%; per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il minimo l'adeguamento è del 50%; per i trattamenti superiori a 6 volte il minimo l'adeguamento è pari al 45% (per il 2014 l’aumento è stato del 40% ma calcolato soltanto sulla quota di pensione entro il limite di sei volte il trattamento minimo: in pratica gli assegni sono cresciuti di un valore fisso pari a 13,08 euro).

Con la legge 147/2013, va in soffitta però, almeno sino al 2016, il sistema di rivalutazione differenziata per fasce d’importo all’interno della stessa pensione. Le nuove regole prevedono che l’aliquota di aumento, spettante ad ogni pensione a seconda del gruppo in cui si colloca, venga applicata all’intero importo della pensione. Questa misura aggrava ulteriormente l’effetto limitativo delle nuove disposizioni. Per fare un esempio, con il meccanismo precedente una pensione di 2.000 euro lordi sarebbe stata rivalutata al 100% per i primi 1.486,29 euro e al 90% per la parte rimanente, che equivale all’applicazione di un’aliquota media pari al 97,42% del normale, mentre oggi l’aliquota da applicare al gruppo d’importo in questione è ridotta al 75%. Ciò comporta un ulteriore aggravio rispetto a quanto prevedeva la vecchia normativa.

Per una visione d'insieme degli effetti sugli assegni pensionistici prodotti dalle Riforme degli ultimi anni si rimanda alla seguente tabella in cui vengono comparati gli effetti della normativa ante fornero e quella attualmente vigente con la legge 147/2013.

Come si vede gli assegni superiori a 3 volte il minimo hanno lasciato sul terreno circa 100 euro al mese di mancata rivalutazione, cifra che mano mano aumenta al crescere dell'importo della pensione sino a toccare quasi i 200 euro per gli assegni superiori a 6 volte il trattamento minimo inps. La maggior parte del mancato guadagno dipende dal blocco della rivalutazione nel biennio 2012-2013 dato che gli effetti negativi della misura si ripercuotono inevitabilmente sugli anni a venire.

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A cura di Giorgio Gori, Patronato Inas

Boeri avvia lo studio di un'operazione per garantire un reddito minimo a chi ha perso il lavoro tra i 55 e i 65 anni. A giugno la proposta dell'Istituto di Previdenza. 

Kamsin Garantire una sorta di «reddito minimo» per quanti perdono il lavoro nella fascia ricompresa tra i 55 e i 65 anni. È questa la flessibilità sostenibile a cui pensa il presidente dell'Inps Tito Boeri che ha in cantiere una riforma previdenziale col doppio obiettivo di aiutare i lavoratori in difficoltà causa crisi, e rendere più flessibile l'accesso alla pensione.

Sul primo fronte Boeri vorrebbe introdurre un ammortizzatore sociale che tuteli chi è rimasto senza lavoro a partire dai 55 anni e che abbia un reddito basso, ancorato a specifiche soglie Isee (similmente a quanto avviene con l'Asdi, il nuovo ammortizzatore sociale introdotto dal Jobs Act). Questo "reddito minimo" potrebbe essere finanziato con un prelievo sulle pensioni più alte, ottenute in passato con criteri più vantaggiosi del calcolo retributivo o misto. Un contributo di solidarietà da cui, sostiene Boeri, si potrebbero racimolare 1,5 miliardi. Sul taglio degli assegni Boeri ricorda del resto che "al di sopra di un certo importo è necessario intervenire, anche se non è mai bello". La proposta del neo presidente dell'Inps, che sarà messa nero su bianco entro giugno, vorrebbe quindi tosare gli assegni dei pensionati piu' "ricchi" a dispetto dei contributi effettivamente versati.

Altro capitolo è la flessibilità in uscita, su cui sta lavorando la Commissione Lavoro della Camera. L'opzione più gettonata è consentire l'accesso anticipato alla pensione di 4 anni rispetto alla soglia standard (66 anni e 7 mesi nel 2016) ma rinunciando a parte dell'assegno: il ddl Damiano prevede un abbattimento del 2% l'anno fino a un massimo dell'8%. Ma al governo potrebbe non bastare, anche perché deve negoziare con Bruxelles. Specifiche misure, poi, dovrebbero rivedere l'età pensionabile delle lavoratrici che, in assenza di correttivi, schizzerà dagli attuali 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi dal 2016 e a 66 anni anni e 7 mesi dal 2018. Un incremento troppo ripido sul quale crescono le pressioni per una revisione. 

Secondo Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, l'ipotesi tuttavia di "tosare" gli assegni in essere liquidati con il retributivo «può essere pericolosa». Per Damiano sarebbe preferibile «affrontare per prima cosa i privilegi di chi ha goduto di contribuzioni più basse e regole più generose di anticipo pensionistico». Come i dirigenti, andati in quiescenza con l'80% della retribuzione e soli 30 anni di contributi. «Partiamo da qui, se non vogliamo colpire i soliti noti che hanno dato già più del dovuto», sostiene Damiano.

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La discussione di Riforma del sistema previdenziale si arricchisce dell'idea lanciata dal leader di Pin, Armando Siri fatta propria, secondo quanto si apprende dai giornali, dal leader della Lega Nord, Matteo Salvini.

Kamsin Una pensione con 35 anni di contributi e di un importo fisso di 800 euro al mese per 14 mensilità. Che diventano mille euro al perfezionamento di 40 anni di contributi. E senza alcun vincolo di età anagrafica. Dopo la Flat Tax nel programma economico di Matteo Salvini entra la riforma previdenziale che il Leader leghista prende in prestito da Armando Siri, leader del Partito Italia Nuova.

La proposta. Siri si rivolge soprattutto ai giovani, cioè coloro che hanno iniziato a versare successivamente al 31 dicembre 1995 e che pertanto si ritrovano nel contributivo puro con la prospettiva di percepire assegni molto modesti una volta in pensione. La proposta riguarda infatti tutti i neo lavoratori e coloro che hanno meno di 10 anni di anzianità di servizio i quali potranno ottenere una pensione con 35 anni di contributi, indipendentemente dall'età anagrafica, di un importo standard di 800 euro al mese (per 14 mensilità). E con 40 anni di contributi la prestazione salirebbe a mille euro al mese per un totale di 14mila euro annui. Inoltre, qualora l'assegno sia pari ad 800 euro, il lavoratore lo potrà sempre integrare con i volontari per raggiungere il minimo di mille euro. 

Sarebbero ammessi al nuovo sistema anche i lavoratori che hanno fino a 25 anni di anzianità contributiva a condizione che la loro aspettativa di pensione sia superiore ai mille euro al mese; in questo caso otterranno un rimborso una tantum rateizzato in tre anni per recuperare la differenza.

Minor peso fiscale per i datori. L'obiettivo della proposta, secondo Siri, è mettere piu' soldi in busta paga e garantire una prestazione standard per tutti i lavoratori, sia autonomi che dipendenti. Il tetto di contributi a carico del datore infatti non potrà superare i 5mila euro all'anno; la restante parte sarà a carico del lavoratore che dovrebbe pagare un'aliquota del 10% della retribuzione media annuale sino ad un massimo complessivo di versamenti pari a 7.500 euro l'anno. Il lavoratore che al momento in base alla sua retribuzione versa contributi superiori a 7500 euro annui riceverà questa differenza in busta paga. In questo modo, con 40 anni, si potrebbe accumulare un montante di 300mila euro (si veda la grafica in basso).

"Ci saranno più soldi durante la vita lavorativa - spiega Siri - eventualmente disponibili per forme di previdenza integrative - e poi tutti avranno una pensione uguale e dignitosa con il raggiungimento del periodo contributivo. "Il principio è lo stesso della Flat Tax. Tutti percepiranno la stessa pensione, indipendentemente dal reddito. Oggi - spiega ancora Siri - più un lavoratore guadagna, più aumenta il costo del lavoro per il datore, che paga maggiori contributi pensionistici. Con questa riforma, invece, il datore di lavoro pagherà 5mila euro l’anno per ciascun lavoratore indipendentemente dal suo reddito. Oggi il versamento dei contributi è obbligatorio per evitare che lo Stato debba sostenere costi sociali eccessivi.

La riforma mira a minimizzare i costi sociali: sempre meno persone, infatti, scelgono di non lavorare, le casalinghe sono in dimunizione. In sintesi, il costo previdenziale diventa uguale per tutti, il datore di lavoro, grazie al combinato con la Flat Tax, risparmierà sul costo del lavoro e ogni lavoratore avrà una busta paga più consistente nella certezza che, quando andrà in pensione, lo Stato garantirà a tutti una somma dignitosa per vivere".

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Attesa la risposta del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti sulla possibilità di ammettere alla depenalizzazione gli assegni pensionistici liquidati con la decurtazione tra il 2013 ed il 2014.

Kamsin Si svolgerà venerdì l'interrogazione in Commissione Lavoro alla Camera presentata dall'Onorevole Prataviera (Ln) al Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, riguardante l'estensione ai trattamenti pensionistici con decorrenza antecedente al 1° gennaio 2015 dell’esclusione dalle penalizzazioni in caso di accesso alla pensione anticipata, prevista dall’articolo 1, comma 113, della legge di stabilità 2015 (5-04899). Lo si apprende dal calendario dei lavori della Commissione Lavoro della Camera diffuso oggi dal Presidente della Commissione, Cesare Damiano.

Com'è noto la recente legge di stabilità ha provveduto alla cancellazione (seppur solo sino al 31 dicembre 2017) del taglio dell'1-2% degli assegni conseguiti con la massima anzianità contributiva prima di aver compiuto i 62 anni. Il beneficio, riguarderebbe, tuttavia solo gli assegni aventi decorrenza successiva al 31.12.2014; mentre la penalizzazione resterebbe a vita sugli assegni già liquidati prima del 1° gennaio 2015 (si stima in circa 25mila i pensionati che tra il maggio 2013 ed il dicembre 2014 sono usciti accettando la riduzione, sono soprattutto donne). 

Il testo dell'interrogazione. Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201 del 2011 – cosiddetta Riforma Fornero – ha previsto la possibilità di accesso alla pensione anticipata – vale a dire ad età inferiore ai 62 anni – in favore di coloro che possono vantare un'anzianità contributiva di 42 anni ed 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne; in tal caso, però, è applicata una riduzione pari a 2 punti percentuali per ogni anno di anticipo nell'accesso al pensionamento rispetto all'età di 62 anni;
   l'articolo 1, comma 115, della legge di stabilità per il 2015 ha cancellato la predetta penalizzazione del 2 per cento di riduzione per tutti coloro che nel triennio 2015-2017 matureranno i requisiti per accedere alla pensione anticipata con 42 anni e 6 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 6 mesi di contributi per le donne;
   la mancata previsione di un effetto retroattivo del predetto comma 115 della legge di stabilità crea di fatto una sperequazione tra coloro che – a parità di requisiti anagrafici e contributivi – sono andati in pensione nel triennio 2012-2014 avendo subito un taglio all'assegno previdenziale spettante e coloro che andranno in pensione nel triennio a venire;
   a parere degli interroganti sarebbe stato opportuno, qualora la mancanza di risorse economiche avesse impedito un effetto retroattivo della norma contenuta nella finanziaria, quantomeno sospendere le penalizzazioni per il triennio 2015-2017 anche nei riguardi di coloro che hanno acceduto alla pensione con 42 anni e 6 mesi se uomini e 41 anni e 6 mesi se donne prima del 2015 –:
   se e quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare con urgenza per sanare quella che appare agli interroganti un'evidente ed ingiustificabile disparità di trattamento

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Ma il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, frena: attenzione a ricalcolare con il contributivo gli assegni già liquidati.

Kamsin Entro l'estate l'Inps formulerà una proposta per tutelare quella fascia di persone tra i 55-65 anni che hanno perso il lavoro e sono ancora lontane dalla pensione. Lo ha spiegato ieri il neo presidente dell'Inps, Tito Boeri, parlando a “Otto e Mezzo” (La 7), precisando che nei loro confronti si penserà ad ammortizzatori sociali ad hoc abbinati all'introduzione nell'ordinamento previdenziale pubblico di una maggiore flessibilità in uscita, al prezzo di una decurtazione dell'assegno. Nessun dettaglio in piu', per ora.  

Il professore ricorda anche se "ci si concentra su alcune fasce d'età non costa molto. Sono risorse che si possono trovare risparmiando su altri fronti. Ci può fare un'armonizzazione dei sistemi, ci sono grandi asimmetrie, con un'operazione organica, sfruttando ad esempio la legge di Stabilità, "credo si possano trovare risorse importanti". La strada di far andare prima in pensione persone che accettano pensioni più basse è da sperimentare ma "credo si possa fare anche se potrebbero esserci dei problemi con l’Europa".

Per Boeri, l’Italia del resto è di fronte ad un «problema» sul fronte previdenziale legato alla crisi e agli incrementi della speranza di vita «su cui bisogna riflettere, ed è un limite delle riforme fatte durante il governo Monti». Con la crisi «il mercato del lavoro è peggiorato e gli interventi di politica economica hanno ridotto gli ammortizzatori sociali e allungato l'età della pensione, ci sono state alcune generazioni che si sono trovate in difficoltà e su questi bisogna urgentemente intervenire».

Secondo l'economista resta poi sempre in pista l'ipotesi di intervenire sui trattamenti in essere al di sopra di un determinato importo. Una misura di "eguaglianza sociale", ricorda Boeri, da cui si potrebbero trovare risorse per introdurre proprio maggiore flessibilità. Nessuna indicazione però sulla cifra che potrebbe essere considerata come tetto massimo.

Damiano: Le aperture di Boeri e Poletti confermano la bontà del nostro lavoro in Commissione. 
E’ positivo il fatto che Poletti e Boeri stiano lavorando sulle pensioni: anche noi lo stiamo facendo e abbiamo sollecitato il Governo, in tempi non sospetti, di mettere in agenda l’argomento” lo dichiara Cesare Damiano (Pd), Presidente della Commissione Lavoro alla Camera.

“Alla Commissione lavoro della Camera – ricorda Damiano – e’ ripresa la discussione sulle proposte di legge sulla flessibilita’ del sistema previdenziale: faremo le audizioni del ministro Poletti, del Presidente dell’INPS Boeri e delle parti sociali. L’ulteriore allungamento di 4 mesi del requisito per accedere alla pensione, che dal 2016 portera’ quella di vecchiaia dei lavoratori a 66 anni e 7 mesi, dimostra quanto sia insostenibile il sistema. L’aggancio all’aspettativa di vita voluto dal Governo Berlusconi, se non viene corretto, ci portera’ in un futuro non lontano ad aziende popolate da settantenni. Con buona pace del ricambio generazionale. L’idea di Boeri, non nuova, – spiega il Presidente – di ‘tosare’ le pensioni in essere liquidate con il retributivo puo’ essere pericolosa se non si affrontano per prima cosa i privilegi di chi ha goduto di contribuzioni piu’ basse e regole piu’ generose di anticipo pensionistico, magari andando in pensione con l’80% della retribuzione e soli 30 anni di contributi. E’ da li’ che bisogna partire se non di vogliono colpire i soliti noti che hanno gia’ dato piu’ del dovuto” conclude l’esponente Pd.

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