Pensioni

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Una decisione della Corte Costituzionale acclara che il termine di decadenza per presentare domanda di accesso alla pensione privilegiata decorre dal momento in cui si manifesta la malattia.

Kamsin La decorrenza dei cinque anni per inoltrare la richiesta di accesso al trattamento previdenziale in caso di malattie contratte per causa di servizio scatta dal momento del manifestarsi della malattia e non dalla data di cessazione del servizio. Lo ha precisato la Corte costituzionale nella sentenza n. 43 del 19 marzo 2015, con cui ha dichiarato illegittimità costituzionale del primo periodo dell'art. 14 della legge 274/1991, in materia trattamenti pensionistici privilegiati.

Il giudizio, promosso dalla terza sezione giurisdizionale della Corte dei conti, aveva a oggetto la legittimità costituzionale dell'art. 14 per la parte in cui stabiliva che il termine di decadenza quinquennale per fare richiesta della pensione privilegiata per malattie contratte per cause di servizio dovesse essere calcolata a partire dalla cessazione del servizio. Secondo i ricorrenti, infatti, questo criterio sarebbe stato in conflitto con gli art. 3 e 38 della Costituzione, ponendosi come discriminatorio nei confronti dei lavoratori la cui, malattia, sempre legata allo stato di servizio, si fosse manifestata dopo i cinque anni.

La Consulta ha accettato questa tesi sottolineando come il «requisito imprescindibile affinché possa essere fatta richiesta per la pensione privilegiata è che l'infermità derivi in modo evidente dal servizio. Secondo la Corte, però, «far decorre il termine di decadenza per l'inoltro della domanda di pensione privilegiata per infermità dalla data di cessazione del servizio, anziché dal momento della manifestazione della malattia, anche nel caso di patologle a lunga latenza è da ritenersi in contrasto con gli art. 3 e 38 della Costituzione. È, infatti, irragionevole esigere che la domanda di accertamento della dipendenza dell'infermità del servizio svolto fosse inoltrata entro un termine in cui ancora difettava il presupposto oggettivo della richiesta stessa».

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L'Inps ha oggi evidenziato come cambieranno le pensioni dal prossimo anno con l'ennesimo incremento pari a 4 mesi. La situazione è ormai insostenibile da un punto di vista sociale. E' quindi positivo che il ministro Poletti convochi i sindacati per discutere di pensioni”. Kamsin Lo dichiara Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera. “L’argomento – spiega Damiano – e’ maturo e il tema e’ in calendario alla Commissione Lavoro della Camera, che ha intenzione di audire le parti sociali, il Presidente dell’INPS e lo stesso ministro per discutere una serie di norme a 360 gradi di revisione della Legge Fornero. Un criterio di flessibilita’ nel sistema previdenziale e’ necessario per favorire, con il turnover, l’ingresso dei giovani nelle aziende e per evitare che aumenti il numero dei nuovi poveri, cioe’ di lavoratori over 60 rimasti senza lavoro e senza pensione ”, conclude Damiano.

Ieri il ministro del Lavoro, aveva indicato che la convocazione dei sindacati per un confronto sul tema delle pensioni è all'ordine del giorno: "arriverà a breve dopo un breve confronto con l'Inps".

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L'istituto con una circolare ha ricordato le novità che entreranno in vigore dal prossimo 1° gennaio 2016. Per il triennio 2016-2019 si dovrà lavorare 4 mesi in piu'.

Kamsin L'Inps certifica la crescita dell'età pensionabile dall'anno prossimo. Con la Circolare 63 diffusa oggi l'istituto rivede al rialzo tutti i requisiti per conseguire la pensione per i lavoratori iscritti alla previdenza obbligatoria in sintonia con quanto previsto dal decreto 16 dicembre 2014. A partire dal 1° gennaio 2016 e sino al 31 dicembre 2018, per colpa della speranza di vita, bisognerà in pratica lavorare 4 mesi in più. E dal 2019 si dovrà mettere in conto un ulteriore scatto che attualmente, secondo lo scenario demografico dell'Istat, sarà di nuovo pari a 4 mesi.

Da prossimo anno, dunque, per la pensione anticipata sarà necessario perfezionare 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per donne pari, rispettivamente, a 2227 settimane e a 2175 settimane di versamenti. Il tutto indipendentemente dall'età anagrafica del lavoratore.

Per la pensione di vecchiaia, fermi restando un minimo di 20 anni di contributi, i requisiti restano differenti per le donne del settore privato rispetto agli uomini e alle donne del settore pubblico. Gli uomini, dipendenti o lavoratori autonomi, dovranno raggiungere i 66 anni e sette mesi di età e non piu' 66 anni e 3 mesi, come accade attualmente. Lo stesso requisito è fissato per le donne del pubblico impiego. Per le lavoratrici del settore privato l'aumento sarà piu' elevato in quanto l'effetto della speranza di vita si cumula con il graduale innalzamento dell'età per la vecchiaia che, entro il 2018, dovrà assicurare la totale parificazione con i requisiti vigenti per gli uomini. Per le dipendenti del settore privato serviranno quindi 65 anni e sette mesi, per le autonome 66 anni e un mese. 

L'Inps non lo dice nella circolare ma l'adeguamento alla speranza di vita colpisce anche le prestazioni previdenziali dei contributivi puri, cioè di quei soggetti privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995. Ad esempio il requisito anagrafico per la prestazione anticipata passerà da 63 anni e 3 mesi a 63 anni e 7 mesi e da 70 anni e 3 mesi a 70 anni e 7 mesi per la vecchiaia contributiva.

Novità anche per i lavori usuranti. Com'è noto nei loro confronti si applica ancora il previgente sistema delle quote di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243. Ebbene dal 2016 dovranno perfezionare 61 anni e 7 mesi di età anagrafica con il contestuale raggiungimento del quorum 97,6 con un minimo di 35 anni di contributi. Per gli autonomi serviranno, invece, 62 anni e 7 mesi ed un quorum pari a 98,6.

Lo slittamento di 4 mesi influenzerà anche la data di ingresso alla pensione per il comparto difesa e sicurezza (sul punto ci sarà un approfondimento di pensionioggi.it nei prossimi giorni) e per i comparti per i quali sono attualmente previsti requisiti previdenziali diversi da quelli vigenti nell'AGO, appena esposti (si pensi ad esempio agli ex-enpals e agli autoferrotranvieri). Naturalmente sono soggetti agli adeguamenti anche i lavoratori cd. salvaguardati ma in tal caso la normativa da prendere a riferimento è quella ante-fornero (vedi: vecchie regole pensionistiche).

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A cura di Giorgio Gori - Patronato Inas

E' quanto prevede un disegno di legge presentato ieri in Senato dagli Onorevoli Susta e Spillabotte (Pd). L'obiettivo è consentire un accesso anticipato ai lavoratori con almeno il 60% di invalidità.

Kamsin Riconoscere a decorrere dall’anno 2015 agli invalidi per qualsiasi causa, ai quali sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 60 per cento il diritto all’accesso al trattamento pensionistico in presenza di un’anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e di un’età pari o superiore a 57 anni per i lavoratori dipendenti e a 58 anni per i lavoratori autonomi. E' quanto prevede il ddl 1808 depositato ieri in Senato da un gruppo di Senatori del Partito Democratico (il primo firmatario è l'onorevole Susta).

Il disegno di legge, che sarà assegnato alla Commissione Lavoro di Palazzo Madama, intende correggere una stortura creata dalla Riforma Fornero che ha equiparato, di fatto, i lavoratori invalidi ai fini pensionistici, ai lavoratori sani. La Riforma, scrivono i Senatori, non ha infatti adeguato la normativa alla realtà dei lavoratori invalidi che dovranno continuare a lavorare fino a 70 anni di età nonostante la loro condizione di salute.

Secondo i promotori "risulta sbagliato prevedere nei confronti dei lavoratori, portatori di un’invalidità superiore ad una certa soglia, la normale prosecuzione dell’attività lavorativa nonostante le loro precarie condizioni di salute, considerato inoltre che, fra l’altro, dopo tanti anni di lavoro questi risentono, in misura maggiore rispetto agli altri lavoratori, dell’usura derivante dallo svolgimento dell’attività lavorativa. Si tratta di persone sofferenti che improvvisamente hanno visto allontanarsi l’età pensionabile. Contro l’evidenza dei fatti ed il buon senso persiste e si acuisce la palese disparità di trattamento nei confronti di questi lavoratori svantaggiati per i quali non è prevista la possibilità di accedere ad un pensionamento anticipato".

A tal fine il disegno di legge, in cui tuttavia non c'è alcun cenno relativo ai costi e alle relative coperture, prevede per gli invalidi per qualsiasi causa, ai quali sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 60 per cento (stimabili in una platea di 250.000 lavoratori), la possibilità di accedere al pensionamento anticipato in presenza di un’anzianità contributiva pari o superiore ad anni trantacinque e di un’età pari o superiore a 57 anni per i lavoratori dipendenti ed a 58 anni per i lavoratori autonomi o con contribuzione mista.

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E' ripartito alla Camera dopo uno stop di oltre un anno l'esame del ddl sui pensionamenti flessibili. Il disegno di legge prevede l'introduzione, per i lavoratori iscritti alla previdenza pubblica, di un'uscita a 62 anni e 35 di contributi con una penalizzazione dell'8%.

Kamsin Si è tenuta ieri in Commissione Lavoro della Camera la prima seduta volta ad esaminare le proposte di legge in materia di libertà di scelta nell'accesso dei lavoratori al trattamento pensionistico. L'esame di ieri è stato tuttavia il primo di una serie di incontri volti a raccogliere le proposte degli altri gruppi parlamentari; tra gli obiettivi della Commissione c'è anche lo svolgimento di un ciclo di audizioni informali con il presidente dell'Inps, Tito Boeri, e con il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

Sul tavolo della XI Commissione si è comunque avviata la discussione del disegno di legge Damiano (ddl 857) che, com'è noto, prevede uscite a partire dal perfezionamento di 62 anni e 35 anni di contributi (una sorta di quota 97) al prezzo, però, di una penalità dell'8% da applicarsi sulle quote retributive dell'assegno. Taglio che è destinato a ridursi del 2% per ogni anno sino ad azzerarsi al raggiungimento dell'età di 66 anni (in pratica la penalità sarebbe del 6% all'età di 63 anni; del 4% all'età di 64 anni e del 2% all'età di 65 anni; per le combinazioni si veda la tabella sotto). Per chi ritarda l'accesso al pensionamento oltre i 66 anni è previsto un sistema di premialità.

Nel corso dell'esame la relatrice al provvedimento, l'Onorevole Gnecchi (Pd), ha osservato che il ddl avrebbe il pregio di riguardare tutti i lavoratori iscritti alla previdenza pubblica (privati, autonomi e pubblico impiego) ma tuttavia non prende in considerazione gli effetti dell'adeguamento alla speranza di vita; una dimenticanza che rischia di vanificare l'obiettivo di flessibilizzare le uscite (dal 2016 servirebbero infatti 62 anni e 7 mesi e non piu' 62 anni come indica il disegno di legge).

Resta contraria alla proposta, invece, la Lega Nord che mette nel mirino soprattutto il sistema dei tagli. Secondo Fedriga - che ha annunciato la presentazione di un ddl complementare a quello Damiano - si dovrebbe piuttosto convergere sull'ipotesi di un'uscita su quota 99 o 100 ma senza l'applicazione di alcun taglio all'assegno.

Lavoratrici. Altro tema che ha acceso il dibattito è stata la revisione dell'accesso al pensionamento da parte delle lavoratrici e delle agevolazioni contributive per le lavoratrici madri e per i lavoratori impegnati in attività di cura familiare. In particolare sono state abbinate al ddl ben 10 proposte che intendono rivedere l'innalzamento dell'età pensionabile di vecchiaia e concedere benefici contributivi alle madri e a chi è impegnato in attività di cura familiare.

Tra le dieci proposte di legge una è di particolare attualità. Si tratta del ddl Fedriga (C. 2046) che affronta, nello specifico, la questione della cosiddetta opzione donna, estendendo fino al 31 dicembre 2018 il termine per esercitare tale scelta, al fine di consentire alle lavoratrici, in presenza di determinati requisiti anagrafici e contributivi, di avvalersi di tale regime sperimentale, che consente di accedere anticipatamente ad una pensione calcolata secondo il sistema contributivo, superando in questo modo anche le interpretazioni restrittive della normativa vigente, che hanno collegato la scadenza del termine del 31 dicembre 2015 al momento dell'accesso al pensionamento e non a quello della maturazione del diritto.

L'istruttoria legislativa sui provvedimenti proseguirà nei prossimi giorni. L'obiettivo è arrivare ad un ddl unico entro l'estate.

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Un provvedimento all'esame del Senato intende estendere i benefici previdenziali connessi all'amianto anche ai lavoratori autonomi la cui prestazione lavorativa è stata caratterizzata da attività prevelentemente personale.

Kamsin Prosegue in Commissione Lavoro del Senato la discussione dei disegni di legge in materia di riforma dei benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto. Oltre ai ddl 1645 e 8 già all'esame della Commissione, nella seduta della scorsa settimana la Relatrice Spillabotte (Pd) ha illustrato il recente ddl 1703 che interviene per tutelare i lavoratori dipendenti o autonomi la cui prestazione sia stata caratterizzata da attività prevalentemente personale.

L'applicazione concreta della normativa già specificamente prevista per l'amianto ha infatti mostrato diverse lacune per questi lavoratori, a partire dall'esclusione dai benefici previdenziali dei lavoratori autonomi la cui prestazione sia stata caratterizzata da attività prevalentemente personale. Partendo da questo quadro, il disegno di legge interviene estendendo i benefici per l'amianto anche ai lavoratori autonomi, la cui prestazione sia stata caratterizzata da attività prevalentemente personale.

Nei loro confronti il ddl determina il coefficiente di maggiorazione, attualmente fissato a 1,25 per chi è stato esposto per almeno dieci anni, in modo proporzionale alla durata dell'esposizione (0,125 per ogni anno di esposizione sino ad un massimo di dieci), questo in ragione delle caratteristiche ormai accertate della morbilità determinata dall'esposizione all'amianto.

Tra le altre novità il ddl prevede anche la non applicazione per questi lavoratori, nel calcolo della pensione, dell'adeguamento all'incremento della speranza di vita dei loro requisiti anagrafici a meno che ciò comporti un incremento del valore dell'assegno previdenziale.

Il ddl continuerà ad essere esaminato in via congiunta con gli altri ddl in materia di riforma dei benefici previdenziali sull'amianto. Sull'iter dei disegni di legge pendono tuttavia i costi delle misure sui quali i senatori attendono la valutazione del Governo e della Ragioneria dello Stato.

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